Riceviamo e diamo volentieri spazio a quest’altra lettera che, molto meglio dei nostri editoriali, seppur magari con meno parafrasi, rende l’idea dell’evolversi delle vicende in seno al mondo ultras. A differenza di altre, questa è una testimonianza di un pensiero con cui ci troviamo meno d’accordo del solito, ma che riteniamo comunque preziosa perché rappresentante di una delle tante facce di questo mondo del tifo. Una delle cose che è sempre mancata alla base, è la capacità critica, di elaborazione della realtà e di discernimento: per lo più il gregge vaga belante da un “No al calcio moderno” ad un “No alla tessera del tifoso”, salvo poi operare scelte apertamente in contraddizione con quanto fino a quel momento professato. Così, abilmente, il belare viene trasformato in un unico ed indistinto “non è un’imposizione ma una nostra conquista” che, per carità, è anche vero, ma non s’è mai sentito niente altro di diverso. Riconquistare la prassi critica e polemica è un passo indispensabile, di litanie ci si stanca subito ed altrettanto subito si capisce che non hanno dietro conoscenza e pensieri solidi. Ed è per questo che questo pensiero, per quanto difforme, ci sembra importante.
In questi giorni si è parlato spesso del decadimento di un “movimento” come quello ultras che, negli ultimi tempi, avrebbe subito una accelerazione improvvisa, specie dopo gli ultimi accadimenti.
Beh, sono anni che questo “presunto movimento” sta perdendo i pezzi per strada, sta rinnegando le sue origini, sta imbruttendosi ed appassendo al suo interno, accartocciato su sé stesso non tanto per le decantate e famigerate leggi repressive o per le problematiche interne, ma semplicemente perché si sta esaurendo. Ed esaurendosi sta facendo fuoriuscire tutte le peggiori scorie possibili immaginabili.
Quando entrai in curva e in un certo tipo di meccanismo, non si parlava di “movimento ultras”, o ultrà o come dir si voglia. Si tifava la propria squadra, si litigava con il rivale e con la polizia, ce ne tornavamo a casa. Stop. Era quello l’essere ultras, era quello per cui si andava allo stadio e si tentava di comportarcisi in un certo modo (se si avevano le palle, certo. Adesso vedo personaggi che non si sono neanche mai una volta picchiati in vita loro, avere ruoli di spicco e donne – donne! -a lanciare i cori dalla balaustra, e
rabbrividisco…)
Niente piagnistei, niente vittimismi. Arresto con diffida? Colletta per il processo, baci e abbracci e ci si rivede fra qualche anno.
Le leggi contro la violenza, perché violenza l’ultras pratica e predica, sono le più vecchie del mondo.
Il decadimento sistematico delle curve consiste non nel subìre leggi ad hoc e privazioni, ma il non saperle più fronteggiare, il NON VOLERLE più fronteggiare. Il sentirsi in diritto di affermare “non siamo delinquenti”, quando invece lo siamo tutti, chiunque si comporti in un certo modo lo è. È questo il punto.
Invece chiediamo permessi alle guardie e allo Stato per protestare contro le stesse guardie e lo stesso Stato che ci ha incarcerato, represso, ucciso. Sperando di cambiare qualcosa, ma cosa? Non c’è dialogo, non può esserci dialogo con chi punta solamente ad eliminarti.
Ma quali concessioni? Scontrarsi è reato, punto. Ma che pretendiamo in una società così meschina ed avulsa da certe logiche guerriere, il permesso di poter litigare in santa pace col benestare dello Stato?
L’ultras è destinato a morire, ad esaurirsi perché è la società del futuro che non lo contempla. E NON CI SI PUO’ FARE NIENTE. Bisogna solo chiudere in bellezza, senza compromettersi troppo.
Questa è una strada che non ha sbocchi, non ha mete né obiettivi. La si percorre perché non se ne può fare a meno, perché il fuoco che ci brucia dentro non può essere altro che assecondato. Chi pensa e predica il contrario, chi cerca di istituzionalizzarsi, liberalizzarsi, sdoganarsi ha interessi, punto. Niente di male, per carità. Ognuno è complice del suo destino, ma non veniteci a parlare di ultras.
Regole. Tu mi odi, io ti odio. Tu cammini nel mio territorio o io nel tuo. Litighiamo, e non vinca il migliore e poi liberi tutti. Io ti odio prima di venirti a cercare, durante e soprattutto dopo, in qualsiasi modo sia andata a finire. Nessuna stretta di mano o abbracci alla fine, non siamo pugili. Non siamo in palestra o in un dojo. Siamo per strada, e purtroppo può succedere di tutto. Questa è la prima regola. La seconda la sanno anche i bambini, che difendono il proprio amichetto davanti a tutti, sempre e in ogni caso.
Ultima nota a margine: gruppi che si fanno i “selfie” e li pubblicano su facebook prima di andare a piangere (?) una persona. Altri che si fanno fotografare in corteo mentre raggiungono la chiesa. Gruppi e città, che a livello ultras non si sono mai visti né sentiti, che espongono striscioni sputando sentenze e attaccando etichette.
Forse questo famoso “movimento” è morto già da un bel pezzo…