E’ con la Freccia del Biferno, come la definisce ironicamente qualcuno, che decido di raggiungere Campobasso per il recupero del derby molisano tra i locali e il Termoli. Una volta tanto le avversità del meteo unite all’incompetenza di chi dovrebbe gestire tali eventi, sono volte a mio favore. La gara infatti si sarebbe dovuta giocare lo scorso 4 gennaio, ma fu rinviata per neve. Cosa che probabilmente ha fatto contento solo il sottoscritto, che in quei giorni era in vacanza all’estero.

Campobasso-Termoli è una di quelle partite che ho messo in calendario sin da inizio anno. Mi incuriosiva vedere queste realtà contro, soprattutto dopo essermi trovato di fronte rossoblu e giallorossi negli ultimi due anni e aver constato l’ottimo periodo di forma che le due tifoserie stanno attraversando. Come detto mi muovo da Roma con la Freccia, in parole povere il Regionale Veloce che percorre la derelitta ferrovia per il Molise. Definire questo treno “veloce” è un po’ come non riconoscere a Magalli lo scettro di uomo più bello e affascinante della terra: un’eresia. Le sue 3 ore di viaggio per percorrere 226 chilometri, allungate da 40 minuti di ritardo, sono il biglietto da visita di questa giornata.

Devo dire la verità, sono partito senza molte aspettative, cosciente che il turno infrasettimanale avrebbe potuto dimezzare il pubblico presente, soprattutto tra le fila ospiti. Eppure già avvicinandomi al Selvapiana fiuto un’aria frizzantina. Molte sono le persone in coda al botteghino e già un’ora prima tanti tifosi circolano attorno allo stadio armati di bandiere, sciarpe e birre in mano. Venendo da una città dove in questi giorni si parla di chiusura delle curve per i “fatti” del derby (uno dei più tranquilli degli ultimi 15 anni probabilmente), divieti per non possessori di tessera del tifoso e altre amenità belle e buone, non posso che esser contento di avvertire questo clima.

Varco i cancelli, ritiro il pass e attraverso il classico tunnel per accedere sul campo del Selvapiana. Da queste parti non è uno stadio amato, perché coincide con la discesa negli inferi del calcio da parte dei Lupi. Questo mi ricorda un po’ l’avversione dei sambenedettesi nei confronti del Riviera delle Palme. Eppure secondo me ha un qualcosa di fascinoso, con quelle gradinate in cemento anni ’80 che mi ricordano i tanti servizi di 90°Minuto imparati a memoria fondamentalmente su tre videocassette comprate ai tempi che furono con la Gazzetta: “Roma Scudetto 82-83”, “Verona Scudetto 84-85” e “Napoli Scudetto 86-87”. Veri e propri sussidiari della mia infanzia/adolescenza. Visti e rivisti decine di volte, soprattutto per immortalare quei teatri festanti e deliranti. Certo, questo impianto, dovesse disputare la Serie B, forse risulterebbe inagibile secondo i pazzi standard del calcio attuale.

Il campo emana odore d’erba, intervallato da qualche zolla di fanghiglia a sottolineare che qua l’erba sintetica ancora non è arrivata. Fortunatamente. Il profumo di questa commistione è un qualcosa di bello da tenere nelle narici. Sa di calcio. Già questo non mi fa rimpiangere d’esser venuto fin qui in mezzo alla settimana dentro una vecchia littorina anni ’50.

Mi metto a centrocampo mentre abbastanza velocemente la Curva Nord va riempiendosi. Un impatto visivo importante con tutti gli striscioni dei gruppi posizionati. Poco prima del fischio d’inizio arriva il turno dei termolesi. Gli ultras giallorossi fanno il loro ingresso tutti assieme facendo davvero un bell’effetto e smontando completamente la mia teoria che li avrebbe voluti per la maggior parte rinunciatari alla trasferta visto il giorno lavorativo. Sono 170, da dati ufficiali. Un numero davvero ottimo considerate tutte le difficoltà logistiche e il penultimo posto in classifica. Ora comincio davvero a capire quanto questa sfida sia sentita. Sarà perché manca da tanti anni, sarà perché le due squadre sono tornate a buoni livelli dopo anni di oblio e sarà anche perché il confronto piace a tutti. Anche a chi non è ultras. Il “pisciaiuolo” contro “montanaro” è un classico del Belpaese e anche qua viene rispettato.

Tanti gli insulti iniziali. Poi le squadre entrano in campo, gli ultras di casa accendono qualche torcia offrendo un paio di manate compatte che fanno diventare il loro settore un vero e proprio muro. Da parte ospite, invece, viene inscenata una coreografia con una cartata e i cartoncini giallorossi marchiati TM, che equivarrebbe a un’eventuale sigla della provincia di Termoli, a rimarcare il loro non volersi sentire parte dell’agglomerato campobassano. Non smetterò davvero mai di pensarlo: questo genere di campanilismo mi fa letteralmente impazzire. Perché probabilmente è una peculiarità tutti italiana. Le province, le frazioni, i comuni, le regioni, i fiumi, i laghi, le colline. Tutti motivi buoni per dividere e creare rivalità. Mica male.

Comincia l’incontro e con esso il tifo dei due settori. Faccio la spola, un po’ di qua e un po’ di là, per avere un giudizio complessivo del tifo. Da parte termolese c’è intensità e ritmo nei cori. Ho avuto la fortuna di vederli in un altro derby, lo scorso anno a Isernia, e mi fecero la stessa, ottima, impressione. Bella anche la sciarpata su “Gente di mare”. Nel finale di primo tempo gli adriatici trovano il vantaggio su rigore, un gol che fa esplodere il settore in un’esultanza condita da torce e bomboni. Nella ripresa la qualità del tifo non cala affatto, anche se la cosa che più mi colpisce è come i ragazzi di Termoli rimangano uniti tra loro evitando il classico effetto “maglia sfilacciata”, che è diventato vizio cronico di tante curve negli ultimi anni. Compatte all’inizio e disunite dopo la prima mezz’ora. Una piccola flessione c’è giusto negli ultimi cinque minuti, dopo aver subito il gol della sconfitta. Ma direi che è fisiologica.

Per quanto riguarda i campobassani, è un piacere vedere la curva popolata. Rispetto all’ultima volta che ero venuto da queste parti (con il Chieti a inizio campionato) ho trovato giusta la scelta dei gruppi di mettersi più al centro della curva, dando una maggiore idea di compattezza. Molto belle le manate e i potenti cori a rispondere, nonostante un’acustica tutt’altro che perfetta dello stadio. I gruppi hanno lavorato in maniera impeccabile per ridare linfa a una tifoseria che per l’ennesima volta si era vista costretta a ripartire da zero. Così per me non può che essere un piacere vedere tutto questo entusiasmo attorno alla squadra di calcio della città. Non mancano le torce, i bomboni e una sciarpata che nella ripresa prende vita in buona parte del settore. Diversi gli striscioni esposti da ambo le parti, con i padroni di casa che ironizzano sull’Incendio del Castello di Termoli (una riproposizione , che va in scena ogni estate, dell’invasione ottomana del 1566 in cui questi ultimi strinsero d’assedio la città bruciandone, per l’appunto, il castello per debellare la resistenza della popolazione locale).

C’è un aspetto che però mi colpisce davvero della curva di casa, il boato ai gol. Il Campobasso trova il pareggio nella ripresa e, dopo qualche minuto, anche la rete del vantaggio. In ambo i casi il grido della Nord è assordante e l’esultanza scomposta. Finisce così con la vittoria dei rossoblu, quasi increduli di esser riusciti a ribaltare il risultato. Applausi però anche da parte dei termolesi ai propri giocatori, consapevoli di poter puntare alla salvezza dopo una prima parte di campionato a dir poco disastrosa.

Aspetto che il “Totalmente dipendente” dei campobassani sia finito per riconsegnare la mia pettorina ed avviarmi verso l’uscita. Un altro lungo viaggio mi aspetta per riconquistare la via di casa. Ma sono contento di aver potuto assistere a questa partita, una boccata d’ossigeno importante per avere ancora fiducia nel tifo e un pochino, ma giusto uno “zinzinello”, nel calcio. E, soprattutto, per ricordarsi cosa è che ti spinge a fare chilometri e non sentire mai la fatica. Chissà se al ritorno, con una capienza iper ridotta del Cannarsa di Termoli, manderanno i tifosi dei Lupi. Sarebbe bello. La speranza c’è. Ed è l’ultima a morire.

Simone Meloni