Pro Vercelli-Novara non è un derby qualsiasi. Esso ha radici profonde che affiorano nello sport (non solo nel calcio), nella storia e nell’economia. 30 Km di veloce distanza, percorribili in strada, autostrada o treno, legami indissolubili ma anche tanta differenza e rivalità. Basti pensare a quel Silvio Piola, quando le due squadre erano nell’élite del calcio nostrano, che ha iniziato la sua carriera a Vercelli per poi terminarla a Novara, col risultato di aver dato il proprio nome ad entrambi gli stadi dei due capoluoghi.

Fino a tutti gli anni ’20 del secolo scorso, parte della nostra gloria calcistica era dovuta al “quadrilatero piemontese”: Pro Vercelli, Novara, Casale e Alessandria erano tra le capitali elette del calcio, ma non c’era solo questo. Gli annali parlano di trasferte, tra le quattro città, effettuate in carovane di bici o vetturine improvvisate, coi locali pronti ad attendere la fazione opposta per delle scazzottate epiche. Il mito della Pro pluriscudettata nasce e si sviluppa in una zona che viveva a pane e calcio.

Ma quella parte di basso Piemonte, oggi un po’ ai margini dello sport nazionale, aveva sviluppato, tra il 1920 e il 1930 un’altra passione, quella dell’hockey su pista. Novara è la squadra che ha più vinto in Italia (ben 30 titoli nazionali), e già dal quarto decennio del XX secolo, stando alle cronache, anche in quell’ambito si finiva in autentiche “Royal Rumble” che non avevano nulla da invidiare ai più epici film di Bud Spencer e Terence Hill. La rivalità dell’hockey è salita in cattedra durante gli anni ’80, quando le sfide fra la Amatori Vercelli e l’Hockey Novara valevano il titolo nazionale: se, navigando su Youtube, avete voglia di guardare qualche filmato di repertorio, troverete senz’altro del materiale da lasciare a bocca aperta. Inutile dire che anche quel periodo è stato farcito da pesantissimi scontri tra le due tifoserie. Peccato che oggi quel patrimonio si sia perso: l’Hockey Novara non si è più iscritto a nessun campionato, mentre l’Amatori Vercelli vivacchia in Serie A2.

Ovviamente non bastano i pochi chilometri di distanza a giustificare una rivalità così accesa. Vercelli e Novara hanno una lunga storia di autonomia fin dal loro ingresso nel Regno Sabaudo. Una prima miccia si accese nel 1859 quando, dopo l’unità d’Italia, con l’organizzazione delle Province del Regno, Vercelli fu inclusa all’interno di quella di Novara. Ne nacquero proteste e dispute, e solo nel 1926 Vercelli ottenne, sotto il regime fascista, il riconoscimento di Provincia, benché da lì nacquero nuove diatribe con Novara sull’assegnazione di alcuni comuni.

Questo derby calcistico viene comunemente definito delle risaie: infatti, insieme a Biella, i due centri si sono sempre contesi il primato nazionale della produzione di riso, vero motore dell’economia di queste zone. Ma il riso ha un valore storico e identitario da queste parti: dopo la tremenda battaglia di Novara, snodo cruciale per le sorti della Prima Guerra d’Indipendenza, l’allagamento delle risaie fu determinante per arrestare l’avanzata dell’esercito austriaco. Queste zone furono anche rese celebri dal film “Riso Amaro” del 1948, diretto da Giuseppe de Santis e avente per protagonista un’indimenticabile Silvana Mangano.

Se una volta il “Derby delle Risaie” si svolgeva al vertice della piramide calcistica italiana, dal dopoguerra in poi esso ha avuto una fase calante in termini agonistici, con Novara e Pro Vercelli impegnate spesso in campionati diversi. La rivalità non si è mai sopita ed è arrivata intatta fino ai giorni nostri. L’ultimo derby, del Maggio 2013, ha portato ad incidenti, denunce e Daspo.

Oggi si gioca in un palcoscenico tutto sommato alto, quella Serie B che, per lunghi decenni, è stata quasi una chimera, ma le due squadre arrancano e si trovano nelle ultimissime posizioni in classifica. In questo caldo sabato sera di Ottobre, tuttavia, il pubblico è tutt’altro che scoraggiato: il “Piola”, spesso elevato ad esempio di quanto sia poco seguita la Serie B, non registra il tutto esaurito ma ci va abbastanza vicino, con 5.200 spettatori presenti tra abbonati e paganti. Il settore ospiti registra letteralmente il “sold out”, e ai Novaresi viene assegnato anche un piccolo spicchio dei distinti adiacenti. Insomma, le premesse ci sono tutte.

Arrivo a Vercelli dopo un viaggio tranquillissimo su strade quasi al limite del deserto. Al casello di Vercelli Est ci sono solo io e, lungo la strada da Borgo Vercelli fino al capoluogo non incontro nessuna volante. Anche il mio arrivo in città è all’insegna della tranquillità e dell’assenza di traffico. Complice una pessima cartellonistica, l’aiuto mi arriva sia dalla semplicità delle strade, sia dalle passate esperienze in treno: infatti mi basta individuare la stazione per andare in direzione stadio e parcheggiare senza problemi in pieno Corso ma a pochissima distanza dal “Piola”. E proprio nelle adiacenze dell’impianto cambia la situazione. Giovani e meno giovani, a gruppetti si incamminano o stazionano, cantando, nei vicini bar. Non mancano le bancarelle che vendono sciarpe della Pro e altri gadget. Si intuisce l’alta affluenza e la forte aspettativa dei tifosi.

Ritirato il mio accredito, facendo un largo giro, finisco davanti al settore ospiti: nonostante manchi un’ora e mezzo abbondante al calcio d’inizio, i numerosi pullman (di cui alcuni a due piani) sono già ordinatamente parcheggiati davanti alla curva ospiti, e lo spiegamento di polizia appare ingente ma non battagliero. Appurato che la maggior parte del contingente ha già fatto il proprio ingresso, non mi rimane che fare dietro front ed entrare i tribuna coperta, dove un addetto gentile mi fa entrare senza farmi consumare la lunga quanto inopportuna fila creatasi per il controllo dei documenti.

Sono dentro, cerco la mia postazione in tribuna stampa. La trovo, e, nonostante la gentilezza di riservarmi un posto in un settorino, protetto dal vetro, di appena 30 posti, decido di trovare una sistemazione più incline al mio ruolo. Devo raccontare ciò che succede sugli spalti, e ciò non può avvenire al chiuso, peraltro con un caldo eccessivo. Vado nel parterre, e mi sistemo nell’ultima fila, in piedi, dietro ai seggiolini, in uno dei pochi anfratti rimasti. Mi chiedo se anche qui, come in altri posti, lo steward di turno non ci metterà a sedere tutti, ma posso già anticipare che qui la visione della partita viene ancora consentita in maniera “vecchio stampo”, ovvero con molta flessibilità: buona parte del parterre resta in piedi mentre, sia nel settore ospiti, sia nella curva di casa, i lanciacori potranno apertamente stare in piedi sopra la recinzione. Magari ci fosse ovunque una simile larghezza di vedute.

Con ampio anticipo e come già detto, il settore ospiti è pieno. Sulla grata di metallo che divide gli spettatori dal campo sono esposte tutte le principali insegne del tifo novarese. Un buon 70% della curva sembra essere composto o da ultras o da gente comunque disposta a seguirli, in piedi e tifando.

Su sponda opposta, la Curva Ovest sta preparando una coreografia. Gli effettivi copriranno più o meno la metà della curva, mentre un altro piccolo gruppetto si sistema al centro dei distinti. Faccio un po’ fatica a capire queste divisioni dove l’unione dovrebbe fare la forza, ma chi canta in tribuna, il più delle volte, segue fedelmente i dettami della Ovest. Anche alcuni ultras della Pro, fuori dalla curva, intonavano “noi siamo pochi ma buoni”, mentre i Novaresi, tra gli altri temi, hanno tirato fuori proprio quello del numero esiguo di militanti della Ovest. D’altronde, demograficamente parlando, Novara ha più del doppio degli abitanti di Vercelli (104.000 contro 46.000), e anche le relative provincie seguono lo stesso andamento. In ogni caso, se la Ovest non è interamente ultras, c’è da segnalare, sin dal prepartita, la partecipazione di tutto lo stadio, specie nei già citati Distinti. Una nota di colore e di menzione va riservata al lanciacori dei Distinti: arrampicato in balaustra, a petto nudo e con la maglia di Storari (!), spesso abbandonerà i propri adepti per spostarsi in altri punti dello stesso settore, provando e anche riuscendo a far cantare normali tifosi, mamme e nonni. Insomma, un personaggio carismatico e d’altri tempi.

Inutile a dirsi, gli insulti tra le due fazioni saranno integrante e determinante parte del match prima, durante e dopo. Specie nel prepartita e nel finale, i cori contro saranno il leitmotiv di questo derby.

L’inizio del match è segnato dalle belle coreografie sugli spalti: i vercellesi coprono il loro settore con bandierine tricolori, qualche torcia accesa con cautela e uno striscione alzato nella parte alta, “Sempre a sostenere la maglia”, con la scritta “1892” composta più in basso. Non è da meno la tribuna di fronte a me, dove si agitano numerosi palloncini bianchi. La risposta novarese arriva con un bel bandierone copricurva, grazie al quale è anche possibile accendere una buona dose di pirotecnica a corredo dello spettacolo. L’antipasto è ottimo.

Capitolo tifo: le due tifoserie sono continue e incitano senza nessuna sosta o quasi, anche nei momenti di scoramento. Buono il colore da una parte e dall’altra, molto belle e fitte le sciarpate dei vercellesi. Entrambi i gruppi si mostrano molto compatti e i numerosi battimani producono un buon effetto ottico e sonoro. La partenza dei due schieramenti è notevole, ma col passare dei minuti (unica pecca), l’intensità sarà altalenante dall’una e dall’altra parte. I Vercellesi chiedono, e spesso ottengono, la partecipazione del pubblico ai “Forza Pro”, mentre i Novaresi alternano cori dove partecipa tutto il settore ad altri dove è il nucleo in mezzo a darsi più da fare.

L’episodio chiave del match arriva al23° del primo tempo: su punizione, proprio davanti ai propri tifosi, Viola acchiappa il sette e per il portiere della Pro non c’è nulla da fare: immortalo quel momento, seguito dalla squadra intera in carosello sotto al settore. Il pubblico novarese è in visibilio, i Vercellesi non demordono. Durante questa prima frazione, nella Ovest, si alzano degli stendardi “porcelleschi” dove i maiali indossano le maglie azzurre del Novara: una provocazione goliardica e molto applaudita (e immortalata) dal resto del pubblico.

Nella ripresa decido di cambiare postazione, portandomi più a ridosso del settore ospiti. Finalmente percepisco meglio i cori mentre, di rimbalzo, mi arrivano più bassi quelli dei padroni di casa: segno, questo, di una continua battaglia vocale dall’una e dall’altra parte. Il tifo rimane buono. La partita, non propriamente da standard di serie B, decolla quando la Pro, con poca tecnica e tanto cuore, comincia a fare pressione verso l’area azzurra, scaldando gli animi di locali e ospiti. La partita si accende soprattutto nei minuti finali, quando viene prima espulso l’allenatore ospite Baroni, e poi un dirigente accompagnatore reo di aver trattenuto un pallone per perdere tempo: ne scaturisce una rissa tra i giocatori, col dirigente espulso che porta con sé la propria rabbia anche negli spogliatoi dove, al suo passaggio, si scatena un ulteriore parapiglia. Aumentano inevitabilmente gli insulti da una parte e dall’altra. Anche quando l’arbitro fischia la fine, decretando la vittoria del Novara, altri focolai di rissa e di nervosismo si accendono a centrocampo. Insomma, passano le generazioni, passano i derby e ormai, col calcio moderno, in campo possono esserci giocatori tutt’altro che autoctoni e legati alla città: ma lo spirito di certe partite si trasmette come una carica elettromagnetica, e contagia anche chi, a inizio partita, pensa di giocare “una gara come le altre”. E questa, come tante altre sul suolo italico, per fortuna, non lo è.

Finisce con la festa novarese in campo, e per me, complice la già citata cartellonistica vercellese, con l’ingresso in autostrada da Vercelli Ovest: 15 km in più, difficoltà ad orientarmi e tante maledizioni al signor Benetton.

Stefano Severi.