alessandria-como-lega-pro-2016-17-27La sensazione è quella di passare dal violino imperioso e figlio di un fine artigiano rappresentato dal Toro, a un altro tipo di musica d’artista. Ancora classica, ancora prorompente e incessante ormai da più di un secolo. Sono novanta i chilometri che dividono il capoluogo da Alessandria. Novanta chilometri pieni di storie, di volti, di palloni entrati in rete e vecchi campi in cui la terra diventava presto fanghiglia negli autunni piovosi e negli inverni rigidi di queste zone. Benché questa giornata, con il suo sole e le sue colline ancora verdi e profumate che sanno fortemente di estate, lasci intendere che quei giorni sono ancora distanti.

È forse colpa di un album comprato a Roma quasi 20 anni fa, se l’Alessandria è sempre stata nel mio immaginario uno dei punti cardini dell’italico pallone. C’erano tante storie relative ai primi anni della Roma, e ovviamente non mancavano gli incontri con i grigi. Oppure è colpa del primo album delle figurine che mio padre portò a casa. Correva la stagione 1992/1993 credo e proprio non volevo mettermi in testa come si pronunciava il nome del club piemontese, mettendo ostinatamente l’accento tonico sull’ultima “i” e ricevendo puntualmente il rimprovero di mio padre. Alla fine piangerò amaro per non aver finito quell’album, ma imparerò perfettamente a pronunciare “Alessandria”.

Note di colore a parte, la sfida col Como è senza dubbio un revival affascinante per chi si ciba di calcio, tifo e storia legata alla palla di cuoio. Sì, perché se l’Orso ha scritto pagine indelebili di questo sport, rappresentando, assieme ad altre corregionali, l’inizio di un albero genealogico arrivato fino ai giorni nostri, i lariani non sono da meno. Devo aver sviluppato un certo rispetto per la compagine comasca allorquando, a inizio anni 2000, li vidi tornare prepotentemente in A con una dirompente scalata (assieme al Modena di De Biasi) dalla Serie C e contestualmente consumai una videocassetta griffata Gazzetta dello Sport in cui si raccontava, a suon di servizi di 90esimo minuto, lo scudetto del Verona di Bagnoli. In quell’anno i lombardi albergavano in massima divisione e subito mi colpì la conformazione dello stadio Sinigaglia. Il fascino che può avere un impianto posto proprio sulla riva del lago.

Insomma tutte componenti che mi spingono a considerare questa sfida più che interessante. E poi c’è il Moccagatta. Semplicemente un pezzo di storia. Quel terreno di gioco è stato calcato da Valentino Mazzola, Amedeo Amadei, Silvio Piola. Solo per citare tre nomi illustri di quei tempi. Per raggiungere lo stadio bisogna passare proprio nel cuore della città, un obbligo a cui mi presto volentieri. Un qualcosa di tipicamente retrò, oltre che piacevole, permettendomi di osservare la compostezza e la graziosità del cuore di Alessandria, per poi raggiungere quello che di fatto è un vero e proprio monumento locale. Peccato che sia ingabbiato dagli orribili prefiltraggi che questo calcio ha partorito, di concerto con il proprio declino e la propria voglia di essere laboratorio di repressione. Posso dire con tutta tranquillità che, fatte le dovute proporzioni, alla finale di Europa League di Basilea, lo scorso anno, c’erano meno sbarramenti che in questa sfida di terza divisione. Ognuno tragga le proprie conclusioni, ovviamente sapendo che Alessandria è una piazza dove difficilmente si registrano criticità (almeno negli ultimi anni) e la tifoseria ospite raggiungerà il “Mocca”, come lo chiamano da queste parti, in massimo 150 unità.

In tutto ciò riesco con fatica a realizzare un giro attorno all’impianto. Molto caratteristico. Incastonato tra i palazzi, con le mura di cinta come si usava una volta e pregno di romanticismo. Già immagino che in virtù di un’eventuale promozione dei grigi la longa manus dei nostri cervelloni istituzionali dovrà metter agire, andando a intaccare la sua bellezza. Chiaramente in nome della sicurezza.

Sta di fatto che Alessandria è una città che respira calcio e ha saputo mantenere viva la fiammella di una tradizione vecchia quasi come questo sport. La squadra è reduce da cinque vittorie di fila e guida la classifica, ciò fa registrare quasi il sold out. Ma, a onor del vero, c’è da dire che da queste parti si sono sempre visti buoni numeri e, scrutando un po’ in giro, tutti sembrano esser coscienti di cosa voglia dire esser tifosi dell’Orso. In soldoni: ci saranno pure tanti occasionali, ma è pur sempre gente che davvero tiene alla squadra e ne rispetta ogni singolo aspetto. E non dimentichiamoci che qua, geograficamente, siamo vicini a tutti i più grande club del calcio italiano: Juventus, Torino, Milan, Inter, Genoa e Sampdoria.

Capitolo a parte merita il baretto sito proprio dopo gli ingressi: roba d’altri tempi. Arredamento anni cinquanta, foto storiche appese ovunque, adesivi ultras sulla macchina del caffè e un’aria familiare che è difficile trovare ormai negli stadi italiani. Scusate questa mia sviolinata, ma essendo il cultore di determinati impianti (nella Penisola sempre più in via d’estinzione), non posso far altro che restare soddisfatto. E poi qua chiamano la tribuna dirimpetto quella coperta, “il rettilineo”. Che è un po’ come sentir chiamare il pullman “la corriera”. È una peculiarità di queste parti (anche a Novara e Vercelli sono chiamate così se non erro).

Dopo aver sorseggiato un caffè, osservando un bandiera vecchia almeno sessant’anni attaccata sul muro a mo’ di cimelio, decido di entrare in campo. Lo stadio si sta riempiendo, e anche dai palazzi posti sopra il rettilinio qualcuno espone messaggi d’amore per i grigi. Nel settore ospiti i tifosi lariani non sono ancora entrati, faranno il loro ingresso proprio pochi istanti prima del fischio d’inizio. Molto curioso vederli sbucare dall’entrata della “Torretta”, per alcuni versi si riesce a immaginare la folla armata di cappelli e fazzoletti negli anni ’40.

In Gradinata Nord non può esser presente lo storico striscione Ultras Alessandria 1974. La Questura locale, ovviamente ferrea in fatto di stadio, ne ha da poco vietato l’ingresso perché non ignifugo, seguendo a menadito e ottusamente il regolamento in fattore di striscioni. Oltre alla stupidità di talune disposizioni, viene da chiedersi cosa debba dare fuoco a chi? Artifizi pirotecnici non se ne vedono, gli accendini sono teoricamente vietati. Ma soprattutto: perché mai qualcuno, nel 2016, dovrebbe dar fuoco agli striscioni? È palese che queste siano scelte fatte per indispettire e vessare i tifosi. Se ci fosse davvero una volontà di preservare l’ordine pubblico, si capirebbe che far entrare striscioni, tamburi e megafoni contribuisce a distendere gli animi, disinnescando, di conseguenza, qualsiasi possibile livore e violenza (che, ripeto, è diminuita drasticamente in tutto il Paese). A  tal merito, bravi i ragazzi della Nord a disporsi lungo tutta la balaustra cercando di ovviare a una difficoltà oggettiva: quella di coordinare un settore grande e potenzialmente forte quanto dispersivo.

Inizia la gara ed ecco, come detto, spuntare tutto il contingente lombardo. Numericamente sono un po’ meno rispetto ai 250 annunciati, ma c’è da dire che i presenti, come spesso gli capita, si fanno valere grazie a un ottimo grado di compattezza e intensità. Fatto salvo per Pesi Massimi e Black List, sistemati nella parte laterale, i restanti supporter del Como si sistemano in Torretta dando subito sfoggio delle proprie capacità.

Facciamo una premessa fondamentale: la società lariana sta attraversando un periodo tutt’altro che semplice. Dopo la retrocessione dalla B dello scorso anno (declassamento senza appelli, palese sin da metà torneo) il club ha rischiato di non iscriversi e questo, come spesso succede, ha generato un senso di unione. Tipico delle piazze dove il calcio è ben più che uno sport. Non c’è bisogno che sia io a decantare la storia di una tifoseria da sempre attaccata alla propria squadra e alle proprie tradizioni. Nonostante la vicinanza con Milano. Non saranno più i tempi della Fossa Lariana o dei Blue Fans, ma restano pur sempre una curva di tutto rispetto. Cosa comprovata dalla prestazione odierna. Con l’undici di Gallo sotto di due gol già dopo 34 minuti, gli ultras comaschi non hanno mollato di un centimetro facendosi sentire con tante manate, cori secchi e una bella sciarpata nella ripresa sulle note del classico “Oh comasco dal cuore ubriaco”. Di certo, per loro, sul campo ci sarà da soffrire. Tuttavia sembrano gradire l’impegno profuso della squadra.

Questa è anche una sfida segnata da una storica rivalità. Acredine acuita dal playoff di Serie C2 datato 2009, quando i lombardi ebbero la meglio sui piemontesi conquistando l’accesso alla categoria superiore. Le due curve non se le mandano certo a dire e in più di un’occasione esprimono tutta la rispettiva antipatia.

Su fronte alessandrino il tifo tiene botta, con bei picchi soprattutto nel secondo tempo. Ottime le manate e i cori a rispondere che coinvolgono l’intero stadio. Belle le esultanze da cui si capisce che c’è passione e voglia di fare il grande salto in B, categoria che manca ormai dalla stagione 1974/1975, dopo il sogno in Coppa Italia dello scorso anno, terminato in semifinale contro il Milan.

Nella ripresa, nonostante i padroni di casa restino in dieci, il risultato non cambia e il pubblico festeggia la sesta vittoria consecutiva. Non si dà per vinto il contingente giunto dalle sponde del Lario e gli ultimi cori sono tutti contro i rivali e per incoraggiare la squadra, mentre, chiaramente, dall’altra parte è festa grande con i grigi a raccogliere il giubilo della Nord.

È l’ultima istantanea di questa giornata, terminata con la soddisfazione di aver visitato un nuovo e storico stadio in occasione di una sfida sentita, con due sodalizi tra i più longevi del nostro sport nazionale. Passo per l’ultima volta sotto il tunnel degli spogliatoi. Le frecce, come nel più bello dei campetti di periferia, indicano la panchina destinata agli ospiti e quella destinata ai casalinghi. L’ultimo sguardo è a una tacchetta incisa sul muro: “Alluvione del 1994”. Segna il livello dell’acqua con cui la piena del Tanaro uccise 70 persone e spaventò l’intera zona. Ecco, ora ricordo: forse la prima volta che sentii nominare Alessandria fu proprio ai telegiornali e proprio in quei giorni. E oggi è bello rivederne la faccia allegra e il suo popolo ancora fiero e attaccato alle proprie radici.

Simone Meloni.