Questa è una settimana in cui molti sembrano aver scoperto che il calcio italiano non solo è malato, ma sprizza immondizia da tutti i pori. Prima le dichiarazioni di Lotito su quanto le promozioni in Serie A di Carpi e Frosinone sarebbero sconvenienti, poi il caso Parma, con la società sull’orlo del fallimento e i giocatori che praticamente non ricevono stipendi da inizio torneo. “Chissenefrega, i soldi non gli mancano” direte giustamente voi. Altrettanto giusto dire, però, che la verità sta sempre nel mezzo. In molti si sono arrogati il diritto di sostenere che la situazione di crisi della società crociata, altro non è che una giusta legge del contrappasso dopo le annate vittoriose a ridosso tra gli anni ’90 e 2000, foraggiate da una politica economica non certo chiara da parte della famiglia Tanzi.

Io non mi trovo d’accordo. Innanzitutto ci si scorda che le vittime sacrificali di tutto questo teatrino altro non sono che i tifosi; secondo, poi credo che se ognuno di noi guardasse negli armadi delle società per cui tifa (almeno se parliamo di professionismo) troverebbe una buona fila di scheletri che varrebberro la stessa fine del Parma.

Troppo facile sputare sentenze quando non si è toccati da vicino. I metodi della Parmalat vi facevano schifo? Giustissimo, anche a me, sia ben chiaro. Ma quelli della Cirio, dei Sensi, degli Agnelli, dei Cecchi Gori etc etc, crediamo davvero fossero migliori e più cristallini? Ci si scandalizza troppo facilmente in Italia. Ma soprattutto ci si scandalizza ad orologeria e si lascia spesso correre quando bisognerebbe alzare la voce. Il tutto senza guardare mai nel giardino di casa propria per fare autocritica.

È con questi pensieri che mi avvicino a Roma-Parma. Solo una  partita, che non sarà mai come le altre per i tifosi giallorossi. Il 17 giugno del 2001 infatti, proprio contro gli emiliani, l’Olimpico festeggiava il terzo scudetto romanista. Uno stadio stracolmo in ogni ordine di posto (anzi, ben oltre la propria capienza) in cui trovarono posto persino una manciata di temerari tifosi ducali. È passata davvero tanta acqua sotto i ponti. Tante persone non frequentano più gli stadi, il calcio è cambiato (in peggio) e le curve sono solo lontane parenti di ciò che erano ormai 15 anni fa. Mi sembra ieri, eppure sono passati tre lustri da quel pomeriggio afoso in cui la città, già dalle prime ore del mattino, era imbandierata di giallorosso in ogni angolo.

Oggi fa freddo, è piovuto per buona parte della settimana e un fastidioso vento di tramontana soffia imperterrito. L’Olimpico non è certo quel palcoscenico allegro e festante dei tempi che furono. Tante, troppe le motivazioni che ormai tengono i tifosi lontani dagli stadi. Inutile star qui a parlarne, le ho ripetute mille volte. Una di queste tuttavia è ben esplicitata dalla Sud, che ad inizio partita protesta con cinque minuti di silenzio e lo striscione “Contro di voi nessuna  resa” per gli ingiustificati atteggiamenti di polizia e steward manifestati nella precedente sfida con la Fiorentina, quando circa mille persone furono costrette ad entrare ben oltre la mezzora del primo tempo a causa degli zelanti e provocatori atteggiamenti dei suddetti alle entrate.

I primi cori degli ultras romanisti, come facilmente intuibile, sono contro i responsabili di questo scempio che ormai è diventato normalità. Per il resto della gara il tifo si manterrà su discreti livelli, con i sonori fischi dopo il triplice fischio per un pareggio a reti inviolate contro l’ultima della classe, che sinora aveva realizzato la pochezza di 9 punti.

Alla mia sinistra è posizionato il manipolo di ultras del Parma. Devo dire innanzitutto che è un piacere rivedere a Roma lo striscione dei Boys, che tante volte ha accompagnato le mie domeniche allo stadio Olimpico, in adolescenza come di recente. I parmigiani fanno quadrato e tifano per tutta la gara con diverse bandierine e stendardi. In molti sono consapevoli che potrebbe essere la penultima volta nella Capitale (c’è ancora la gara con la Lazio) e la cosa sembra malinconicamente galvanizzarli. Hanno quanto meno la soddisfazione di strappare un punto alla seconda della classe.

Per quanto mi riguarda, ripercorro la strada verso casa con quel senso di nostalgia e sconforto con cui mi avvicino ultimamente al calcio. Tante volte sarebbe meglio non aver mai messo piede in uno stadio quando le cose andavano “decentemente”. Non ci sarebbe qualcosa da rimpiangere. Vivere di passato è dannoso. Non va bene. E non va augurato a nessuno.

Testo Simone Meloni.
Foto Cinzia Lmr.