Il vostro gruppo affonda le sue radici storiche in un passato alquanto remoto, ma prima di voi c’era a Pagani vita ultras o qualcosa di pur lontanamente paragonabile ad essa?

Risale alla fine degli anni ’70 la comparsa dei primi “embrionali” gruppi di tifosi (Panthers, Blue fighters, Warriors, ecc.) i quali, in modo del tutto spontaneo e folkloristico, iniziarono ad incitare la Paganese dal settore distinti.

Nel settembre del 1984 nacque in alcuni ragazzi l’idea comune di creare un vero gruppo organizzato, unendo tutti gli appassionati sotto un unico simbolo. Fu così che il 2 dicembre 1984 comparve per la prima volta lo striscione “Street Urchins” che, già da allora, vedeva posizionato al centro il simbolo del “monello bendato”.

Il primo nucleo del gruppo seguì la “Stella” fino a quando la Paganese riuscì ad essere presente ai nastri di partenza di un campionato. Seguì poi un periodo senza squadra con conseguente fase di stallo che si protrasse fino al 1990, anno che da più punti di vista rappresenta quello della rinascita del calcio paganese. Il 1990 vide infatti non solo una rinnovata Paganese pronta a disputare di nuovo un campionato calcistico, ma anche il tifo organizzato conobbe nuova linfa grazie ad un nuovo gruppo di “monelli” guidati da Salvatore Francavilla. Quest’ultimo fautore della rinascita degli “Street Urchins”, nel corso degli anni divenne pioniere e artefice della nascita vera e propria del movimento ultras paganese, movimento che vide man mano gli stessi “Street Urchins” affiancati poi da altri gruppi organizzati quali “Gioventù Azzurra”, “Wild Kaos” e successivamente anche dalle “Teste matte”. Tutto quel che ne consegue può reputarsi storia recente.

E ben trentacinque di questi anni di storia sono legati indissolubilmente al vostro gruppo…

Esatto. Gli “Street Urchins”, come detto, nascono ufficialmente il 2 Dicembre 1984 in occasione della gara interna Paganese – Canicattì. Manca ormai poco al raggiungimento del 35° anno di attività del gruppo. Prestigioso traguardo il cui raggiungimento, senza ombra di dubbio, si deve principalmente a due fattori: la voglia di trasmettere un forte ideale a chiunque si avvicini al gruppo; l’apporto dei tanti giovani che, di generazione in generazione, sono riusciti ad identificarsi nel “Monello Bendato”. Non a caso uno dei nostri più recenti motti recita appunto: “Da generazione in generazione tramandiamo la nostra passione”!

Spesso novanta minuti o il solo tifo diventano troppo ristretti per esprimere l’impronta sociale di un gruppo ultras: è così anche nel vostro caso?

Secondo il nostro credo, l’essere Ultras non si limita solo all’organizzazione del tifo in prospettiva degli impegni calcistici della propria squadra o all’organizzazione di azioni (positive o negative è un giudizio morale che lasciamo ad altri…) in merito a questioni relative la società calcistica da cui dipende la squadra stessa. Il dichiararsi attivi 7 giorni su 7, 24 ore su 24, se si limita a quanto espresso poc’anzi, almeno per noi, non è nemmeno la metà di ciò che chi crede ultras dovrebbe in cuor suo sentire il dovere di fare. Non è quindi un caso se risultiamo essere molto attivi nel sociale, ambito in cui, con criterio, accettiamo collaborazioni in cui spesso passano in secondo piano persino i colori differenti dai nostri. Volendo ricordare alcune delle ultime iniziative cui abbiamo preso parte attivamente possiamo citare la raccolta alimentare a sostegno della popolazione terremotata delle Marche; la raccolta fondi per supportare la battaglia della piccola “guerriera” Nina, in appoggio alla Curva Sud Venezia Mestre; il supporto in prima linea al piccolo Genny, bambino di Pagani affetto da una rara malattia; inoltre collaboriamo quotidianamente con diverse associazioni locali per renderci utili il più possibile per il bene della nostra città.

Dalla tessera del tifoso è partita una campagna repressiva molto più selvaggia in quanto subdola. Qual è stata la vostra scelta e la vostra esperienza?

Sulla questione “tessera del tifoso” ci sarebbero da scrivere pagine e pagine. Il ricordo più remoto risale ai primi raduni ultras in cui molteplici curve, che a nostro parere dovevano fare la differenza trovando un’intesa fin da subito, si trovarono in forte contrasto tra loro. Ovviamente non si approdò a nessuna decisione unanime all’epoca ed ogni curva decise di intraprendere la propria strada in modo soggettivo. Ma questa è storia bene nota a chi mastica Ultras.

Per quanto riguarda noi possiamo dire che, nel nostro piccolo, non ci siamo mai piegati al sistema tessera tant’è vero che la decisione fu quella di recarsi sempre e comunque fuori ogni stadio anche se sprovvisti di  tessera. Ci assumemmo delle grosse responsabilità e, pur sapendo a cosa andavamo incontro dal puto di vista legale con quel modus operandi, decidemmo di correre quel rischio. Le conseguenze furono catastrofiche se relazionate alla piccola realtà a cui apparteniamo: decimati da innumerevoli diffide, dovendo anteporre la sopravvivenza del gruppo, la decisione più saggia fu quella di non presenziare più in trasferta pur sempre portando avanti la nostra battaglia contro l’articolo 9. Nonostante non sia stato facile accettare questi atti repressivi non abbiamo potuto far altro che adeguarci al fine appunto di sopravvivere materialmente come gruppo. Da questa scelta deriva un altro nostro slogan che recita: “RESISTERE PER CONTINUARE AD ESISTERE”; insomma, si paga uno scotto al fine di poter preservare l’esistenza del gruppo, come già ribadito più volte.

Per ogni trasferta c’è sempre un aneddoto da raccontare, ma c’è qualcuna che più di tutte portate scolpita nel vostro immaginario?

La trasferta che vogliamo ricordare in particolar modo è sicuramente quella di Catania nel 2018, quando ci recammo al “Massimino” in buon numero pur sapendo che il risultato non sarebbe stato dalla nostra parte. Sotto ad una pioggia di reti in campo (perdemmo 6 a 0) e sotto ad una pioggia battente sugli spalti, il nostro tifo fu altrettanto incessante per l’intera durata dei 90 minuti di gioco ed anche oltre. Il tutto incorniciato dallo stupore generale dell’intero stadio. Quel giorno ritornammo nella nostra amata città consapevoli che la nostra mentalità, nata e cresciuta per andare oltre ad ogni risultato, poteva imporsi anche in piazze di grande spessore. Nonostante la sonora sconfitta calcistica, tornammo a casa da vincitori.

In generale, che opinione avete sul mondo ultras odierno e sul suo stato di salute?

Attualmente le curve che meritano rispetto, a nostro parere, si contano sulle dita delle mani. Pensiamo fermamente che ad oggi le piazze piccole esprimano la vera essenza ultras dati i sacrifici che hanno caratterizzato i loro percorsi e grazie al poco, o per niente esistente, business che gira all’interno delle loro curve. La cosa che ci lascia però indignati è l’assenza di lealtà durante gli scontri: tale lealtà ci ha sempre contraddistinto ed abbiamo sempre agito nel rispetto di quel famoso codice non scritto a cui dovremmo fare capo tutti.

Passando dal generale allo specifico, quali sono le vostre amicizie e le vostre rivalità?

Il nostro unico e solido gemellaggio è quello col Frosinone. Tale gemellaggio è divenuto ormai storico vantando ben 34 anni di unione. Con i ragazzi di Frosinone si va davvero oltre la partita, un rapporto fraterno tra due città che si stringono anche quando si parla di tradizioni popolari. Siamo orgogliosi dei nostri fratelli e con altrettanto orgoglio tramandiamo questo gemellaggio da generazione in generazione. Abbiamo anche delle amicizie come quella con i ragazzi di Torre Annunziata mentre, parlando di stima e rispetto, ci sono ovviamente altre tifoserie che per ora preferiamo non citare.

Per quanto riguarda le inimicizie storica è la rivalità coi cugini nocerini anche se, dopo gli episodi allo stadio Arechi, quella coi Salernitani è divenuta la rivalità più sentita. Per chi non lo sapesse avevamo un gemellaggio che pian piano è andato sgretolandosi fino alla rottura in quella fatidica sera di Salernitana – Paganese.

Come vedete e interpretate invece i rapporti con la vostra società?

I rapporti con la società camminano su binari totalmente distinti. Loro svolgono il proprio lavoro e noi facciamo il nostro dovere di Ultras disinteressandoci dei risultati. È innegabile che eventuali risultati positivi possano portare quella maggiore dose di entusiasmo che tanto ci farebbe comodo ai fini aggregativi; aggregazione che è sempre più difficile da portare avanti in quanto, per scelte generazionali, tende ad essere maggiormente selettiva ed incentrata su un’esigente mentalità.

Come ben dite, l’ultras prescinde dai risultati contingenti, ma c’è qualche vittoria o qualche momento storico che portate particolarmente nel cuore?

Tanti sono quei giorni degni di gloria e la storia che precede il nostro nome è lunga e ricca da questo punto di vista. Dovendo scegliere però, potremmo dire che ci piace ricordare ogni 2 Dicembre (giorno della loro nascita, ndr) lasciatoci alle spalle. Altro giorno degno di nota che ci piace ricordare è il 2 aprile 2006 quando, in occasione del match Paganese -Brindisi, dopo ben 20 anni di campi polverosi, riapprodammo finalmente “sui campi che contano”,  traguardo che ci condusse a tastare e confrontarci con realtà più consone al nostro blasone.

Volgendo lo sguardo dal passato al futuro, cosa vi aspettate dagli anni che verranno?

Anche se il futuro in ambito calcistico non si prospetta per nulla roseo, ci auguriamo che il nostro gruppo riesca ulteriormente a crescere in numeri, migliorarsi ulteriormente in quanto a mentalità (ambito in cui non si smette mai di apprendere, per come la vediamo noi), guardando con umiltà ma al tempo stesso con ambizione a posizioni di sempre maggiore rilievo nel panorama Ultras, difendendo e consolidando quel che ci caratterizza da 35 anni, al di là del semplice risultato, al di là della categoria, al di là dell’opinione pubblica.

Intervista raccolta da Pier Paolo Sacco