Bisognerebbe prendere uno ad uno i pennivendoli e i benpensanti che all’indomani di Avellino-Verona hanno puntato – senza minimamente riflettere – il dito contro la tifoseria organizzata dei Lupi. In uno squallido gioco a chi detiene la coscienza più pulita e può battersi il petto con più fragore. Ci sarebbe da sbattere in faccia ai fautori delle lunghe dirette televisive – Sky su tutti -, volte a invocare pene severe e “chiavi delle galere gettate via per sempre”, il provvedimento con cui quest’oggi il Gip di Avellino ha prosciolto per insufficienza di prove gli 8 supporter irpini accusati di danneggiamenti e favoreggiamento in merito alla bottiglietta lanciata addosso alla macchina che nei minuti precedenti al fischio d’inizio del match con il Verona, trasportava il presidente Setti e il d.s. Toni.

Un Toni che quel giorno infuocò ancor più l’ambiente (sicuramente il gesto fu deprecabile ma meritevole di un’attenzione commisurata all’accaduto) con interviste al vetriolo rilasciate a numerose testate nazionali e locali. Non che dovesse far passare tutto sottobanco, sia chiaro, ma per un uomo di calcio come lui si può certamente dire che quella giornata fu affrontata in maniera sin troppo veemente. Non tenne evidentemente in considerazione quale putiferio potesse scatenare e – in particolar modo – a quante persone innocenti questo polverone potesse costare una buona fetta di libertà.

Ovvio, Toni non è né il Questore né il Ministro dell’Interno, sui quali cade tutta la vergogna e l’inadeguatezza dei provvedimenti, ma di sicuro il caos mediatico ha creato terreno fertile per gli stessi. Basti pensare alla prima ritorsione di quella giornata: divieto per tamburi e striscione. Qualcuno ancora ci dovrebbe spiegare il nesso. Ma è evidentemente la stessa logica che porta ai divieti di trasferta punitivi o alla chiusura delle curve ritenute “cattive”.

Quando nei giorni seguenti si provò ad analizzare il tutto, sottolineando come la Questura di Avellino avesse colpito nel mucchio, affibbiando un vero e proprio “Daspo di gruppo” persino a chi non si trovava sul posto al momento, mirando scientemente i personaggi più in vista in maniera tale da mutilare il tifo biancoverde con la scusa dell’omertà collettiva (come se i cittadini dovessero sostituirsi alle forze di polizia per trovare i colpevoli dei reati), qualcuno si affrettò a definire ciò una “difesa d’ufficio dei violenti”.  Come spesso avviene, la notizia di oggi non solo smentisce i precoci estimatori di un ordine costituito che evidentemente continua ad abusare erroneamente dei propri poteri al cospetto dei tifosi, ma conferma per l’ennesima volta quanto gli stadi siano divenuti una zona franca dove mettere in atto una bieca repressione da dare in pasto ai media di regime.

Resta l’amarezza nel constatare come – probabilmente – decaduto il procedimento penale, resterà in piedi quello amministrativo: il Daspo. Interdizioni dai 3 ai 5 anni che, alla luce di quanto deciso oggi, sono state emesse in maniera del tutto pretestuosa, ma che vanno a intaccare la libertà individuale dei soggetti colpiti. Oltre che la loro dignità personale, in una società come la nostra dove si fa fatica a prendere distanza dallo stereotipo “ultras=feccia”.

Ecco. Per una volta mi sembra giusto esulare dal discorso tifo. Perché questo è il genere di notizie che poi si ritrova sui giornali di seconda fascia o nei trafiletti, mentre alla “prefazione” della storia è stato dato risalto massimo. Ovviamente senza alcun abbozzo di analisi e dubbio su quanto successo. Del resto il fatto che una bottiglietta di plastica lanciata provochi otto denunce e altrettante diffide già dovrebbe mettere la pulce nell’orecchio di un cronista che si rispetti. Ma la domanda è questa: a livello nazionale e mainstream esistono ancora cronisti che si rispettino e soprattutto che vogliano fare seriamente il proprio mestiere? Il dubbio resta e diventa sempre più grande con il passare degli anni.

Siamo veramente il Paese dei paradossi e da questi ultimi è ormai difficilissimo uscire. Gli schemi mentali che hanno portato a ritenere normale tutto ciò che avviene spesso arbitrariamente e abusivamente nei confronti dei movimenti d’aggregazione, sono disarmanti e infinitamente pericolosi.

Con difficoltà – oggi come oggi – riesco a guardare una curva italiana e a non pensare al suo excursus repressivo che l’ha ridotta, in un modo o nell’altro, nella lontana parente di ciò che era qualche anno fa. Sebbene la passione permanga e alberghi ancora nella mente e nel cuore di tanti calciofili italiani. Sebbene in lunedì come questi al Matusa si possano osservare oltre mille tifosi ospiti al seguito di una squadra che annaspa nelle zone basse dalla classifica. Sebbene, malgrado gli ottimi rapporti tra le tifoserie, il perimetro attorno al Matusa sia comunque ridotto a check-point con migliaia di soldi pubblici letteralmente gettati nel secchio.

Su quest’ultima cosa ci dovrebbe essere la levata di scudi di tutti. Sono soldi nostri, presi dai nostri stipendi e sottratti dal nostro welfare. Ma evidentemente è troppo tardi: il lavaggio del cervello ha parzialmente funzionato e si è arrivati a credere che, per un barlume di finta sicurezza in più, valga la pena sacrificare i propri soldi e i propri spazi vitali di libertà.

Chi non si abituerà mai a tutto ciò è destinato a pagarne care le conseguenze. Patti chiari, amicizia lunga.

Simone Meloni