L’inizio del campionato di basket offre all’appassionato, come il sottoscritto, di avere una scialuppa di salvataggio in caso di apatia o insofferenza verso un calcio sempre meno credibile.

Per carità, ci si sta provando in tutti i modi a rendere nociva anche la palla a spicchi. Le recenti polemiche Fiba-Eurolega in nome del Dio denaro, la malagestione dei Play Off di serie A2 della scorsa stagione e le crisi societarie di molti club storici offrono di che riflettere anche al purista di questo sport americano.

Tuttavia l’idea di poter finalmente assistere ad una gara interna di Cantù, nel contesto di una partita di alto interesse sportivo, mi dà la spinta per seguire con un certo entusiasmo questa prima giornata del campionato italiano di basket.

Sia in casa Cantù, sia in casa Reyer Venezia di cose ne sono successe ultimamente, e vanno raccontate.

Cantù è alle prese con la costruzione del Palasport, diventata un misto tra la famosa tela di Penelope e una torbida quanto classica storia di malaffare tipicamente italiano.

Come gli appassionati sanno, Cantù di solito gioca al Pianella di Cucciago, che non è Cantù. Quindi, qualche anno fa, qualcuno disse “Beh, OK, è ora che una squadra titolata come la nostra giochi dentro le mura cittadine”.

Il Pianella piace e tanto al tifoso canturino. Ma l’idea non fu ritenuta del tutto sballata. Era il 1991 e si cominciò a costruire quello che verrà poi ironicamente chiamato il Palababele. Dopo 20 anni l’opera resta incompiuta e si cerca di ricostruire tutto daccapo. Nessuno ci crede, e infatti il Comune nel 2013 ha bloccato tutto definitivamente e ora chiede alla Turra, la società di costruzioni incaricata di realizzare il nuovo impianto, 6 milioni di Euro per risarcire il danno.

Si resta al Pianella, quindi, ma va ampliato. Mattatore del nuovo progetto il patron ucraino Dmitry Gerasimenko, imprenditore nel settore del gas naturale ed ultimamente noto alla cronaca per i suoi problemi giudiziari in Russia.

Nonostante le preoccupazioni di qualche tifoso, il patron e la moglie (nominata intanto presidente) Irina, vanno avanti sia nel progetto sportivo, sia nella costruzione del nuovo Pianella, che potrebbe chiamarsi Palagera proprio in onore del mecenate ucraino. Non si sa quanto i tifosi, di solito tradizionalisti, approvino un’eventualità del genere, ma per ora la sintonia tifosi-società resta sovrana.

Non a caso, prima della partita d’esordio in campionato contro Venezia, gli Eagles Cantù alzano uno striscione in caratteri cirillici per augurare un buon compleanno al loro magnate.

In attesa del nuovo palasport da 5.600 posti, quindi, si gioca al Paladesio, dove Cantù ha già giocato più volte nel recente passato. La promessa è che dalla prossima stagione si torni già a Cucciago, ma i tempi tecnici non sono ancora chiari. Intanto la società, previa una quota di 30 € annuali, mette a disposizione dei tifosi delle navette dal Pianella al palazzetto brianzolo.

La squadra canturina è stata allestita lastminute ed è in deficit di preparazione, ma il collettivo appare abbastanza esperto e i tifosi, al netto della curiosità naturale, restano ottimisti.

Reyer Venezia, altra sponda, altra storia. Tra il presidente della squadra veneta Brugnaro e i suoi tifosi più fedeli, i Panthers (la cui fondazione risale all’ormai lontano 1996), non si è mai instaurato un buon feeling. E ultimamente la situazione a Taliercio sembra di nuovo assai tesa.

La Reyer Venezia nasce nel 1872 come società di ginnastica, mentre la sezione basket vedrà la luce del 1925; in tempi ormai lontani è stata due volte campione d’Italia.

Le sorti del club lagunare non sono sempre state felici.

Nel 2006, dopo anni di dimenticatoio e di serie B2, Venezia risale in Serie B d’Eccellenza (la terza serie della piramide cestistica italiana) e viene acquistata dall’imprenditore Luigi Brugnaro, tra l’altro sindaco di Venezia dal 2015.

La società riunisce anche la Reyer femminile e si fonde con i Bears Mestre, dando vita ad un “Veneziamestre cestistico” il cui nome ufficiale è “Umana Reyer”. Umana, per chi non lo sapesse, è l’agenzia di lavoro interinale di cui il patron veneto è a capo.

Se nel basket l’aggiunta del nome dello sponsor è una consuetudine provvisoria che può cambiare di anno in anno, Brugnaro ha inserito il nome dell’Umana nella denominazione ufficiale della società. Riassumendo, non più Reyer, quindi, ma Umana Reyer. Ovviamente per i tifosi è Reyer e basta, in nome della tradizione.

L’idillio tra i Panthers e Brugnaro si era già spezzato nel 2014, quando lo stesso Brugnaro voleva estendere l’area di appartenenza della squadra a Treviso e Padova. Una mossa imprudente ma poi è tutto rientrato in nome dell’unità e degli ottimi risultati della squadra, dal 2011 stabilmente in serie A1 con ambizioni di titolo permanenti (nonostante, almeno finora, non si sia mai superato lo scoglio delle semifinali Play Off).

Pochi giorni fa la Reyer, o meglio la Umana Reyer, alla scuola della Misericordia di Venezia ha festeggiato i 10 anni di vita del club. Per i tifosi della curva l’unica data da festeggiare è l’anniversario del 1872, e la celebrazione avvenuta per il decennale non ha ragion d’essere.

In tutto ciò si sono aggiunte polemiche per l’assenza del logo della Reyer sulle maglie da gioco (anche se la società ha specificato che è una disposizione attuata dalla Lega da quest’anno) più una diatriba con il Basket Mestre perché il numero 1 della società reyerina, durante il suo discorso alla Misericordia, avrebbe confuso i Bears Mestre proprio con il Basket Mestre.

Un calderone di quelli densi ed abbondanti. Tanto per ribadire la cosa, i pochi tifosi presenti al Paladesio si presentano con lo striscione “C. Reyer Venezia 1872”. A scanso di equivoci.

Sul contingente ospite veramente poco da dire: circa 30 i tifosi nel settore, di cui una metà Panthers, si limitano a seguire in assoluto silenzio la partita, non so se per contestazione o necessità. Sulla pagina Facebook del gruppo veniva organizzato un pullman ma, evidentemente, le adesioni non sono decollate.

Eppure Venezia è considerata, insieme a Reggio Emilia, l’anti-Milano per la conquista dello scudetto, e qualcuno è pronto a scommettere sull’entusiasmo della tifoseria lagunare. Per ora, almeno in trasferta, la previsione non sembra rispettata. Vengono rispettate, invece, le quote rosa, almeno a giudicare dalla demografia del settore ospiti di Desio.

Arrivo al palazzetto dello sport con un certo anticipo. Nello spiazzo accanto al Paladesio dei pakistani giocano, mazze alla mano, a cricket, mentre il pubblico ignaro affluisce.

L’aria è veramente rilassata, poche le forze dell’ordine impegnate e anche i tifosi di Venezia possono tranquillamente transitare, ben riconoscibili, in mezzo al grosso della folla canturina.

La postazione in tribuna stampa, gentilmente concessami dalla Pallacanestro Cantù come ripiego, non mi consente di scattare bene, così finisco più che volentieri nel secondo anello, dove ho una visuale perfetta su ciò che interessa a me, ma anche verso il parquet.

Il Paladesio arriva ad una capienza di circa 8.000 spettatori e, a conti fatti, è ben riempito per oltre la metà. Si può facilmente stimare un’affluenza oltre i 4.000 spettatori. Buona la risposta della curva, dove si sta preparando una coreografia complessa con tanto di istruzioni per l’uso.

Il più dei tifosi veneziani entra una decina di minuti prima della partita ma, come anticipato, essi non lasceranno il segno.

Cantù, e la Brianza in generale, è terra di mobilieri. E proprio a questa tradizione si rifà lo spettacolo degli Eagles: un bandierone raffigurante una pialla (per i non appassionati del bricolage trattasi di un utensile per la lavorazione del legno) scorre da sinistra a destra del settore e, subito dopo il suo passaggio, si alzano gradualmente dei cartoncini blu e bianchi. Indovinato lo striscione in balaustra: “Con un colpo di pialla Desio diventa il Pianella”.

Facile a dirsi nelle intenzioni, un po’ meno nella pratica. Al Pianella magari ci sarà qualche spettatore in meno, ma il perenne “tutto esaurito” e la vicinanza al campo rendono difficile per qualunque squadra espugnare l’ostico parquet.

A Desio l’impianto è più dispersivo, maggiore la distanza dal campo; aggiungiamoci qualche seggiolino vuoto, il gruppo in curva non compattissimo ed ecco emergere qualche logica difficoltà di riorganizzazione.

Problemi di rodaggio e ambientamento a parte, quella degli Eagles è, come ormai ci hanno abituato, una buona prova. Tanti i battimani, lunghi i cori, coordinato il battito dei tamburi, silenzi praticamente zero. Sempre piacevoli i bandieroni che sventolano in mezzo al gruppo.

Oltre a ciò Cantù resta avanti per buona parta del match e solo la stanchezza, unita all’imprecisione sui tiri liberi e su quelli da tre, costituisce quello che sarà il 99 a 92 finale per Venezia, emerso solo nell’ultimo quarto.

Tra l’altro, proprio nell’ultimo quarto, la curva canturina delizia il palato con una buona sciarpata, alla faccia dello strascico estivo di questi primi giorni di Ottobre.

Il resto è affidato alla cronaca sportiva. Prima del risultato finale i parziali sono stati 27-20, 49-45 a metà partita e 70-69 prima del sorpasso e del definitivo affondo ospite.

Alla fine applausi per tutti, dall’una e dall’altra parte. Dopo parecchio tempo, posso affermare di aver visto del basket di qualità, unito ad uno spettacolo sugli spalti non da meno.

Stefano Severi