Dopo vertenze e soprusi delle recenti stagioni, una speranza sacrosanta sarebbe stata quella che nulla potesse superare le restrizioni e le misure di “tutela” già in atto. Biglietti nominali, tessere del tifoso, tornelli elettronici, trasferte ridotte o addirittura abrogate, propagande incessanti e fluttuazioni insistenti di capitali, volte alla mercificazione degli ideali che per anni hanno trainato il baraccone pallonaro, soprattutto in Italia. Un’ampia circoscrizione di cuore, anima e passione, scaduta in una voragine di profitti troppo aitanti per desistere e poco similari alla propensione al tifo disinteressato.
Un meccanismo impossibile da contrastare e tremendamente efficace nell’attuarsi, che ha inibito la realtà ultras sino a renderla vittima e forse artefice di un inesorabile destino. Da un lato, la resa definitiva e la frustrazione nell’inerzia e nella impotenza di reagire. Dall’altro, la consapevolezza però che l’imprescindibilità di una Curva, lo spirito di condivisone di attimi fungenti e da cogliere all’improvviso, l’appagamento di rincasare afoni, non possano soccombere sotto gli sferzanti colpi di una non sana e nemmeno trasparente prostrazione al vile altare del quattrino.
Considerando dunque che anche l’intoccabilità della Storia stia sopportando la svendita al miglior offerente, vuol dire che qualcosa debba essere indubbiamente revisionato; perché ne va dell’orgoglio e dell’immortalità di racconti da tramandare ai posteri, perché è necessario che alcuni criteri sensazionali restino fuori dalla grinfie dei magnati.
Ultima in ordine cronologico è stata la cessione denominativa del Bernabéu all’ennesimo petroliere emiro e un episodio del genere valica anche i limiti della semplice operazione commerciale. È un’evidente dimostrazione di come l’egemonia del denaro sia riuscita a reclamare indebitamente persino la gloria e l’onore del trascorso di una compagine blasonata e di un’intera città, virando sempre contro l’impalcatura della struttura, ossia il tifoso.
Le sponsorizzazioni si sono invischiate nelle subdole e segrete stanze dei Palazzi e l’epopea di strutture quasi secolari è soggetta ad un assurdo baratto pecuniario: le pagine storiche lì scalfite verranno prima scartate e poi incenerite dai vertici dell’odierna gerarchia dei valori, in cui il mercantilismo è prerogativa assoluta.
Un principio è però incompreso: la mastodontica eccezionalità di ogni singolo stadio collima con l’emotività che lo stesso dovrebbe trasmettere. Da fruitori di ideali e mentalità dell’aggregazione ultras, non accetteremmo mai che la tana dei nostri Colori venisse dislocata in qualsiasi area fosse lontana da quella di origine, poiché quelle rampe, quei gradoni, quei sediolini, quella passionalità strabordante nell’arco di ore domenicali, sentimentalmente intensissime e pregne di amore puro e limpido, non possono che trovare riparo tra l’imponenza di un pulsante catino di amore semplice e puro.
Acquisire la certezza che tutto ciò un giorno nemmeno troppo lontano dovrà essere soggetto ad aste, a speculazioni o comunque al mercimonio becero e lucrativo delle multinazionali, o di industrie dell’intrattenimento sviante e psichedelico, che trascinano le già menomate scatole craniche dei beoti del Terzo Millennio all’ammasso, è demotivante e fallimentare. Ed è triste che l’ecosistema ultras nulla abbia smosso affinché ciò non si concretizzasse. A discapito delle emozioni, a detrimento dell’incuranza delle cifre, a diniego dell’etica morale del precedente.
In un tempo estremamente vicino e non remoto, l’impresa di conquistare l’Anfield Road o restare indenni all’Old Trafford resterà una sfumata reminiscenza sulla sbiadita diapositiva di una sensibilità smarrita, subendo dai facoltosi finanzieri di passaggio l’anteposizione di malsane logiche di “brand”, “marketing” e “business” (sarà un caso, ma le nefandezze più atroci hanno consuetamente radici etimologiche nell’angloamericanesimo dilagante!) al cardine della sobrietà emozionale.
Il transatlantico del supporto sta affondando per mezzo dell’ascendenza del “Calcio Finanziario”, che sta deprimendo il retaggio del “Calcio Passionale”, per proprie – l’incapacità di sovvertire quest’ordine tramite una rivoluzione di pensiero e di priorità – ed altrui – la fame di utili dei signorotti e dei colletti bianchi, disponenti di tasche dalla profondità illimitata – responsabilità: è forse giunta l’ora di una scossa?
Alex Angelo D’Addio.