Un pensiero ricevuto in redazione e che condividiamo nel vero senso del termine. Non solo rendendolo pubblico ai nostri lettori, ma sottoscrivendone ogni parola.

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Tra web e televisione, questo week-end ho avuto modo di assistere allo sdegno di molti personaggi per quanto accaduto Domenica a Torino e per quanto, a loro dire, accade quotidianamente nei nostri stadi. Ho letto una dichiarazione, che domenica sera mi ha colpito particolarmente, non tanto per il suo contenuto, è un ritornello che gira da diversi anni, quanto per come mi ha fatto ripercorrere la mia giornata, e ripensare a quanto visto e vissuto in quello stesso giorno.
La frase di cui parlo è quella di Allegri : “Oggi è da folle portare i bambini allo stadio”. Ed allora, sentendo quelle parole ecco che ripercorro la mia giornata domenicale.
Stamattina mi sono alzato presto, come faccio da tre anni a questa parte, per andare a seguire la mia squadra locale. La scelta di avvicinamento al calcio dilettantistico è stata in gran parte dovuta alla necessità di poter tifare liberamente, da uomo libero, come piace a me, senza sborsare un patrimonio, e per assistere ad un calcio che è fatto più di passione e meno di soldi e spettacolo. E poi è la squadra del mio quartiere, il quartiere di una grande città, ma poco importa se molti siano attratti da squadre di maggior caratura, se  a seguirla, da un manipolo che eravamo all’inizio, siam rimasti solo io ed il mio compagno di battaglie. Per me non c’è mai motivo valido per  non mettere la sveglia, preparare le nostre pezze, l’asta, la bandiera, qualche torcia e partire con i mezzi pubblici per le mete che il calendario di Promozione del nostro team ci propina. Oggi siamo diretti verso uno stadio comunale da 2.500 posti, ed una volta arrivati a destinazione ci sistemiamo nel settore ospiti, separato con tanto di vetrata dalla tribuna, ma con l’accesso in comune. Ci aspettiamo di non incontrare alcuna tifoseria, dato che nel girone ce ne sono solo due di squadre con un gruppo effettivo al seguito, ed invece abbiamo davanti a noi una piacevole sorpresa.
Nel nostro settore entrano un gruppo di circa 10 bambini, tra gli 8 e 12 anni, con bandiere con i colori sociali della loro squadra e fare curioso nei nostri confronti.
Gli spieghiamo che siamo i tifosi avversari, con fare paterno gli sistemiamo il nastro sulle bandiere ed ecco che loro si sistemano poco più avanti.
La partita comincia, e questi dieci meravigliosi ragazzi cantano e lanciano piccoli petardi (miniciccioli, magnum, raudi ecc.) sulla corsia di atletica, prendendosi i rimproveri di qualche custode, ma continuando comunque ostinatamente nel loro operato.
Noi (io e il mio amico) assistiamo al match sventolando e accendendo una torcia al vantaggio della nostra squadra. I piccoletti apprezzano molto la torcia, e ci chiedono, con la stessa insistenza con cui un figlio chiede un giocattolo al padre, di regalargliene una. Ci offrono soldi, ma ovviamente rifiutiamo, e durante il secondo tempo li accontentiamo. Gli spieghiamo la differenza con un fumogeno, il quale dicono di conoscere, e li invitiamo, mostrandogli come, a stare attenti nel non bruciarsi.
La ripresa comincia con loro che accendono il loro trofeo ed inneggiano ai loro giocatori, ed ovviamente insultano i nostri, ma è quanto di più giusto e bello possa esserci. Un bambino di 10 anni con la torcia in mano che tifa la sua squadra, la incita, la difende. Un bambino allo stadio. I bambini allo stadio. Oggi.
La nostra squadra raddoppia il vantaggio, noi esultiamo accendendo un’altra torcia, esaurendo la scorta giornaliera per il dispiacere dei locali.
Con il risultato a loro sfavore il numero di ragazzi si dimezza, perché altri 5 optano per due calci al pallone dietro la gradinata, mentre i 5 più arditi li rimproverano suggerendogli con toni accesi di restare a cantare, senza successo. I 5 superstiti non ci stanno ad accettare risultato e situazione, si spostano nella parte bassa del settore, fanno esplodere i loro petardi, prendono a calci la recinzione, e lanciano qualche oggetto sulla corsia di atletica, fanno di tutto per farsi notare, ma non fanno altro che chiedere ai loro calciatori di dare di più.
Mentre noi imprechiamo, la nostra squadra si fa rimontare ed i piccoli gioiscono e impazziscono. Quando la loro squadra passa in vantaggio il boato è forte e richiama sugli spalti anche gli altri 5, accolti con insulti: “ora tornate a giocare a pallone, non vi vogliamo, merde!”.
Sono d’accordo con chi dice che la personalità e l’indole di una persona si forma quando questa è ancora bambino. Di quei 10 ragazzi, del resto, è già chiaro quali saranno quelli fedeli, quelli che resteranno al loro posto in ogni  situazione, e quali saranno invece gli occasionali, quelli pronti a voltare le spalle quando le cose andranno male o a salire sul carro dei vincitori quando invece tutto girerà al meglio.
A fine match, compatti, invitano i giocatori a salutarli sotto il loro settore, e vengono accontentati. I nostri giocatori invece, sconfitti, se ne vanno a testa bassa; la passeggiata della squadra verso il settore ospiti per il saluto ai due tifosi, è nostro romantico privilegio solo in caso di rara vittoria esterna.
Ma più che la nostra amarezza oggi conta la gioia di quei bambini.
Allegri non ha tutti i torti a dire che oggi sarebbe folle portarli allo stadio ad assistere ad una gara di Serie A.
Sarebbe folle pagare biglietti a prezzi così alti per vedere giocare calciatori strapagati e viziati; sarebbe folle vedere perquisito tuo figlio dalla testa ai piedi dopo svariati controlli e vederlo privato della sua bottiglietta d’acqua.
Non potresti vederlo sorridere quando altri tifosi colorano il settore con bandiere, torce e fumogeni, né potresti indicargli come fare ad accenderne uno senza fare male a nessuno come ho fatto io oggi, perché è tutto vietato. Non potresti vederlo arrabbiarsi con i giocatori avversari che in campo insultano e scalciano i suoi beniamini, perché un buu o un coro offensivo porterebbero alla squalifica del suo settore la domenica successiva.
Ma tutto questo, ciò che non hanno capito istituzioni e pezzi grossi, è così semplice che cominciano a capirlo anche i bambini, non più “folli” al punto da mandare in crisi finanziaria il padre per andare a vedere una partita di Serie A, e consapevoli che divertirsi andando autonomamente a tifare la squadra locale, è la libertà più bella.
Un anno fa vidi ragazzi tifare con fumogeni e bandiere dei loro coetanei, nella categoria Giovanissimi. Quest’anno ho visto un gruppo di ragazzi attorno ai 15 anni, meno accesi di questi, ma sempre sistemati dietro uno striscione, a cantare per la loro squadra in un’altra trasferta.
Oggi ho avuto la definitiva conferma che anche i bambini vanno allo stadio, e ci vanno anche da soli, specie se il campo sta dietro casa. Ho capito che lo stadio per loro è già un momento di aggregazione, di appartenenza ad un luogo, è libertà ed è soprattutto divertimento. E che ci possono stare tranquillamente se non c’è un sistema calcio fatto su misura per vietargli tutto ciò.