Che a Glasgow la gente viva per l’Old Firm lo capisco fin dal mio arrivo in città, il giorno precedente a Celtic-Rangers. Il clima è già molto teso (nonché gelido, se vogliamo parlare di meteo) e girando per le strade del centro è facile imbattersi in gruppi di tifosi che parlano della partita: per loro scontrarsi di nuovo nel derby è come tornare a respirare dopo un lungo periodo di apnea.

La sera incontro due conoscenti italo-scozzesi che vivono a Glasgow, John e Fabiola: insieme andiamo a bere qualche pinta di buona Tennent’s al Brazen Head, uno dei pub Celtic più grandi della città. Entrambi hanno dei parenti a Lucca, precisamente a Barga, paese di provenienza di molti migranti in terra scozzese all’inizio del secolo scorso. Lì il legame con la Scozia è rimasto forte e proprio a Barga c’è un Celtic Supporter Club molto attivo, che spesso organizza trasferte per le partite dei “Tim” in giro per l’Europa. Il pub è pieno e l’atmosfera è molto calda: la gente è eccitata in vista della gara e i cori del Celtic Park risuonano sempre più forti con l’aumentare del tasso alcolico, in un tripudio di bandiere e maglie biancoverdi appese nel locale.

Parlando con John e Fabiola cerco di capire qualcosa in più rispetto a quanto non sappia già in merito alla rivalità con i Rangers: “Loro sono falliti tre anni fa, questa è una squadra nuova – mi spiega Fabi – gli Huns fanno finta di nulla, ma per noi sono morti nel 2012. I Celtic invece verranno attaccati per la sconfitta del referendum sull’indipendenza della Scozia – continua – sostenuto dai biancoverdi e avversato dai blu”. Si parla di grande mobilitazione di forze dell’ordine per evitare scontri, tant’è che i fans delle opposte fazioni avranno a disposizione treni dedicati per raggiungere Hampden Park: “Rispetto agli anni ’80 e ’90 la situazione si è tranquillizzata – ci racconta John – ma la rivalità non finirà mai. Le partite si giocano all’ora di pranzo per evitare che i tifosi bevano troppo prima del match – prosegue – mentre all’interno dello stadio non è possibile bere birra né fumare. In città però, soprattutto nel dopo-gara, basta poco per far scattare la scintilla”. “Loro sono più violenti di noi – interviene Fabi – in Europa fanno danni ovunque vadano, mentre noi Celtic siamo più aperti, ci piace fare festa con i tifosi avversari”. Al termine della piacevole chiacchierata ci salutiamo, con John che mi maledice scherzosamente perché io ho il biglietto per la partita mentre lui non è riuscito a trovarlo.

Domenica mi sveglio con largo anticipo, l’eccitazione è tanta e voglio arrivare allo stadio per tempo in modo da godermi tutto il pre-gara. Alla stazione centrale ci sono già diversi tifosi, ma la situazione è distesa e rilassata. Intorno a mezzogiorno sono davanti ai cancelli di Hampden Park e anche qui l’atmosfera è tranquilla: probabilmente in molti saranno ancora davanti alla tv per tifare Murray nella finale degli Australian Open, tanto la partita inizierà alle 13.30. Gli spalti iniziano a riempirsi circa 40 minuti prima del “Kick Off”, i posti sono equamente divisi tra Celtic e Rangers (gara secca, in palio l’accesso alla finale di Coppa di Scozia). Partono i primi cori, le squadre intensificano il riscaldamento, sventolano le bandiere irlandesi da una parte e le “Union Jack” dall’altra, la tensione è palpabile, lo schieramento di forze dell’ordine è imponente. Il Celtic è nettamente più forte dei rivali e sulla carta non dovrebbe avere problemi a vincere, per questo i tifosi biancoverdi sono leggermente più rilassati. I blu invece sperano nel miracolo, consapevoli che battere i nemici in condizioni di manifesta inferiorità sarebbe uno smacco epocale.

Le squadre entrano in campo, Hampden Park erutta in un boato pazzesco. I 51.000 presenti (ovviamente un tutto esaurito, se si esclude la zona cuscinetto) sono tutti in piedi per incitare i propri giocatori, urlando a squarciagola i rispettivi inni. La Green Brigade srotola una piccola ma significativa coreografia: “At the going down of the Huns, and in the morning, we will remember them: 1872-2012“, chiaro il riferimento alla morte dei rivali dopo il fallimento, proprio come mi aveva anticipato Fabi. Palla al centro, l’arbitro fischia, finalmente si parte. 28 maggio 2012 – 1 febbraio 2015: l’attesa è finita, l’Old Firm è tornato.

Sul campo, come da previsioni, non c’è storia: al decimo minuto il Celtic passa in vantaggio con il colpo di testa di Griffiths e alla mezz’ora chiude virtualmente la gara con la bella conclusione di Commons. I Rangers non riescono quasi mai a passare la metà campo, viceversa gli uomini di Ronny Deila collezionano altre palle gol. I tifosi biancoverdi sono in delirio e sfoderano tutto il repertorio canoro del Paradise, compreso il “Just can’t get enough” sulle note dei Depeche Mode. I Gers rispondono intonando a più riprese “We are the people”. Difficile descrivere il clima dentro l’Hampden Park, in questo caso meglio affidarsi alle immagini piuttosto che alle parole. Il secondo tempo scivola via senza ulteriori cambiamenti di risultato, anche se il match è davvero piacevole perché i ventidue in campo non si risparmiano per niente lottando come dei leoni fino al triplice fischio. Proprio per questo alla fine i tifosi dei Rangers non possono che applaudire i propri giocatori, nonostante la sconfitta, mentre i vincitori sono osannati dalla folla biancoverde in festa. Il Celtic conquista la finale, ma quello che conta veramente è aver ribadito la supremazia cittadina.

Nel post partita scorre tutto tranquillo, la macchina della sicurezza ha funzionato alla perfezione e la giornata si chiude con appena 19 arresti per esplosioni di petardi e cori offensivi – un’inezia rispetto a quanto visto qualche anno fa. Adesso ci sarà da aspettare come minimo la prossima stagione per rivivere un altro derby, ammesso che i Rangers conquistino la promozione (attualmente sono secondi, a buona distanza dalla capolista Hearts). Noi speriamo vivamente che ci riescano, Glasgow e i tifosi di entrambe le fazioni hanno bisogno dell’aria dell’Old Firm per tornare a respirare.

Alessandro Benigni