ROMA-SASSUOLO20SET2015_0022L’Italia non è certo un paese celebre per la sua puntualità. Non lo è stata mai storicamente. Negli accordi, nelle scadenze e nel rispetto degli impegni presi nei confronti dei propri cittadini. Prendiamo un qualsiasi programma elettorale degli ultimi 30-40 anni, ad esempio, e sfogliamolo con cura. Quanti sono i punti rispettati e quanti quelli disattesi? Vogliamo proprio farci del male in questa maniera?

Neppure la stampa, in Italia, ha mai avuto una precisa solerzia nel riportare determinate notizie. L’agenda setting l’ha sempre fatta da padrona, e più che un bisogno di dare informazioni si è quasi sempre risposto alla necessità di manipolarle per conto di determinate lobby. Dai grandi gruppi editoriali mossi ad hoc dai partiti politici, alle ingerenze dirette e palesi dei poteri forti. Sappiamo bene, o almeno dovremmo saperlo, che su un quotidiano a tiratura nazionale nulla è riportato per caso. Persino l’ordine con cui le notizie sono stampate, gli occhielli, i catenacci e le rifiniture sono ben studiati. “Qua va questo, qua va quest’altro”. E spesso a determinare questi studi non è propriamente l’importanza e la priorità della notizia, quanto il momento storico e sociale che si sta attraversando.

Riavvolgiamo il nastro. Marzo 2015. Otto mesi fa. La Roma viene malamente estromessa dall’Europa League per mano di una Fiorentina che rifila un secco 0-3 ai giallorossi, davanti agli occhi attoniti del proprio pubblico. E’ il culmine di un periodo sportivo grigio per i capitolini, con il pubblico che inscena una contestazione. E’ ovviamente la Sud a tirare le redini del malcontento (anche se va sottolineato come quella sera piovvero fischi ed insulti da parte di tutto l’Olimpico, come in ogni contestazione subita dalla Roma dal 1927 a oggi), chiamando i giocatori sotto al boccaporto.

Ciò che fino a qualche anno fa è sempre stata normale routine, diventa tutto d’un tratto reato di lesa maestà. I ragazzi della curva sono degli “animali a tre teste”, come li definirà il questore D’Angelo qualche mese dopo, e a questo cliché narrativo debbono volenti o nolenti aderire, per la politicamente corretta opinione pubblica italiana. Meritano la gogna, lo sostiene anche Morgan De Sanctis, portiere sulla via del tramonto che vuole mettere i puntini sulle “i” essendo prossimo al ritiro. Ma non è questo il luogo dove analizzare il comportamento dei giocatori, troppo inclini a ricever con gaudio applausi e cori, poco furbi ed umili per ricevere critiche e contestazioni da parte di chi paga regolarmente un biglietto d’ingresso. Anche se qualche tempo prima il mondo intero li ha “pizzicati” in flagrante fuori a qualche night club, poche ore dopo l’ennesima prestazione barbina.

Dopo quella serata partono delle indagini sul comportamento di alcuni esponenti della Curva Sud. Per mesi il silenzio più totale. Silenzio. Silenzio. E ancora silenzio. Il signor Franco Gabrielli da Viareggio, sospinto dall’edonismo Dannunziano del questore D’Angelo, divide le curve a metà e riduce l’Olimpico a mera zona di guerra. Un check-point in piena regola. Con filtraggi asfissianti e polizia schierata provocatoriamente in curva, neanche fossimo al Mondiale di Argentina 1978, con il regime di Videla che orchestra e comanda a bacchetta.

Forse non ci avrebbe creduto neanche lui. Il viareggino di cui sopra, concittadino di Eugenio Fascetti e Marcello Lippi. Eppure la gente non ci sta. Colpita nel suo orgoglio e ferita nella sua convinzione di vivere, almeno la domenica, un giorno spensierato e divertente. Lontano dalla logica dell’oppressione e della frenesia che attanaglia il romano medio durante la settimana. La curva si svuota e sin da subito la ragione del Super Prefetto, a cui nel frattempo il Premier ha affidato compiti speciali in vista del Giubileo e in concomitanza con la vacillante posizione del sindaco Ignazio Marino, si sostiene su basi alquanto fragili. Ci mettono il carico da undici persino alcuni giornali nazionali, oltre alla sfilza di radio e quotidiani a tiratura regionale che sin dalla prima ora bersagliano spietatamente l’operato di Questura e Prefettura. In ultima battuta è anche la Roma a parlare chiaro: le barriere non solo non le vogliono, ma ritengono il modus operandi con cui viene gestito l’Olimpico, a dir poco fuori da ogni logica degna di una società civile.

E allora è qua che entra in scena la maestria del potere, assecondato dalla carta stampata. E qua ritorna prepotente anche il Roma-Fiorentina succitato. C’è un derby da disputare, e un’ovvia pessima figura da fare agli occhi del mondo. La stracittadina sarà, per la prima volta nella sua storia, svuotata del suo fascino principale: il pubblico. Con le sue coreografie e i suoi colori. Il pubblico è il Derby di Roma. Senza sarebbe una partita normale. Persino noiosa e di poco appeal, visto che a disputarla sono due squadre non certo vincenti e potenti, da un punto di vista storico. Eppure “Sor” Franco c’è riuscito. E bisognerà pur tentare di far credere che un atteggiamento simile è necessario? Almeno il tentativo bisogna farlo, anche se ormai si ha tutti contro. Ma del resto, all’arroganza dell’italico potere è interessato mai qualcosa dell’opinione altrui? Oppure di quella di chi ha provato a mettere in tavola discorsi riguardanti la legalità o meno di atti osceni in società pubblica, come quelli perpetrati ai danni dei tifosi capitolini? No. Ovviamente.

Ed ecco, signori, scendere in campo la magnificente stampa. Il caso vuole, ohibò, che proprio il sabato prima di questo derby malamente pubblicizzato, su Il Tempo esca un’inchiesta relativa a quella chiacchierata tra squadra e giocatori, ai margini del match di Europa League. “Hanno sputato sulle nostre maglie, ci hanno tirato oggetti e minacciati”, questo il titolo che richiama a dichiarazioni di Totti e De Rossi rilasciate agli inquirenti. Potremmo star qui un anno a disquisire sui fatti accaduti quella serata. Poniamo subito l’accento su un fatto: le esagerazioni vanno punite. Le contestazioni, da parte di chi compie il proprio lavoro lautamente pagato, andrebbero accettate. E se minacce e sputi sono senz’altro da censurare, dove sta il delitto nel chiamare la squadra sotto la Sud per contestarla? Voglio dire, è così difficile, una volta nella propria vita, assumersi le proprie responsabilità nei confronti di chi spende tempo e soldi per seguire la squadra ovunque?

La Questura di Roma si è fatta pubblicità con l’istallazione di nuove telecamere all’Olimpico. C’è bisogno di montare tutto questo teatrino quando oggi, grazie alla tecnologia, è possibile capire anche cosa c’è nel panino di Tizio seduto in Curva Nord? Inoltre, ripeto, la contestazione venne da tutto lo stadio. Con insulti e improperi che partivano anche dalle tribune. Se ci scandalizziamo per una tifoseria che chiama la squadra sotto il settore per contestarla, dobbiamo fare anche lo stesso quando la curva elogia e sostiene i giocatori ad oltranza. Allora facciamo una cosa: pretendiamo il silenzio assoluto. Ha ragione Gabrielli, paradossalmente.

Ma torniamo a monte (“al Monte dei Pegni”, direbbe bonariamente “Er Pomata” in Febbre da Cavallo, riuscendo a far sorridere anche la seriosa incapacità di questi cervelloni). Perché si decide di far uscire una notizia del genere proprio il giorno prima di un derby del genere? Dopo un’intera settimana in cui le istituzioni hanno favoleggiato su scontri, invasioni dall’estero, Linee Maginot valicate e Muri di Berlino scavalcati (pardon, non diciamo la parola “muro” alla presenza del Super Prefetto…). Bisognerà pur giustificare e legittimare scelte che sinora appaiono, se non immotivate, quanto meno assurde e di dubbia utilità. E allora bisogna sbattere il mostro in prima pagina. Mi sembra ovvio. Se a sputare e minacciare sono state cinque o sei persone, occorre tirarsi dietro l’intero settore, diviso e vessato (colpirne cento per educarne uno, funziona al contrario in questo Paese). Del resto è la stessa Questura a dire che la Sud è sotto scacco di poche centinaia di facinorosi (perbacco, davvero potenti costoro! Così forti da tener fuori circa 7.000 persone che hanno pagato il loro abbonamento in anticipo. Neanche la Mafia con il pizzo ha questa efficacia!).

La macchina del fango è il simbolo estremo e più veritiero di come funzionino le cose in Italia. Con la macchina del fango si può accedere a posizioni poste in altura, a stanze importanti e a carriere luminescenti. Poco importa che dietro ci sia, nella maggior parte dei casi, la menzogna e una manipolazione meschina della verità. Ormai all’interno dei nostri confini tutto è legittimo. Si può, anzi si deve, fare informazione a comando. Punto e basta. Il male da perseguire è sempre il dito e non la mano. Perché la mano deve muovere i fili e mettere i burattini dove meglio crede. “Forti con i deboli, deboli con i forti”. Sostituitelo quanto prima al vetusto “Fratelli d’Italia”.

Simone Meloni.