Il regionale per Borgo San Lorenzo arresta la sua corsa bruscamente. Una signora con la sciarpa viola al collo scivola, reggendosi al marito che la ritira su baciandola dolcemente. Le porte si aprono e il convoglio si svuota alla stazione di Campo di Marte. C’è un qualcosa di retrò in quella massa gigliata che sale le scale, per poi girare a sinistra e riscenderle in direzione Artemio Franchi. Lo stadio di Firenze. Una delle tante opere lasciate in eredità da Luigi Nervi. Scale, muri, cancelli e strutture, in pieno stile razionalista, che potrebbero raccontare centinaia di storie e che sono entrati di forza nella cultura popolare calcistica del Belpaese. Se solo non fossero inglobate dalle inferriate carcerarie dei prefiltraggi, e circondate da un plotone più consono a un fronte di guerra, ci sarebbe ancora un qualcosa di romantico in tutto ciò.

Firenze è la Fiorentina. La Fiorentina è il simbolo massimo di una città orgogliosa, campanilista, dispettosa, irriverente. La folla di Campo di Marte incarna ancora questo spirito. Inconsapevolmente si è trasferita là nel 1931, quando lo stadio, all’epoca Comunale Giovanni Berta, fu inaugurato. Fino ad allora i viola, nei loro primi cinque anni di storia, avevano giocato al Velodromo Libertas, lo storico campo di Via Bellini, fatto erigere dalla Sas Costruzioni Pontello. Già, proprio quei Pontello che negli anni ottanta diverranno proprietari della Fiorentina. Un campo inizialmente casa della Libertas, club che nel 1926 contribuirà a dar vita al sodalizio gigliato assieme al Club Sportivo. La curiosità che ci riallaccia alla gara di oggi e mantiene unito il filo storico/calcistico, si consuma il 22 settembre 1929, quando il marchese, nonché presidente, Luigi Ridolfi, fa giocare per la prima volta in viola una Fiorentina sino a quel momento scesa in campo con maglie biancorosse. L’occasione è un’amichevole proprio contro la Roma, le motivazioni ancora incerte: c’è chi parla di un candeggio sbagliato e chi di una scelta dal valore storico da parte di Ridolfi, facendo leva proprio sull’araldica cittadina, con il giglio e il suo forte richiamo al colore suddetto.

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Ricordo di aver letto tutto ciò su una vecchia edizione de Il Calcio Illustrato, ringrazio internet per avermi dato conferme su diversi siti di riferimento. Evidentemente ci sono malati mentali più gravi di me. E vado avanti, nel vialone che mi porta verso la tribuna coperta. Fiorentina-Roma non è mai una partita come le altre da queste parti. Ci sono storie che si intrecciano, storie dimenticate e storie da raccontare. Il pullman della squadra ospite transita davanti alla tribuna. “Sudici!”, “Merde”, gli urlano dai marciapiedi circostanti i tifosi presenti. Un’usanza rimasta ancora ben radicata da queste parte, che non solo evitiamo di condannare, ma osserviamo con il sorriso sulle labbra di chi sa che questo fa parte del gioco e resta un qualcosa di meramente folkloristico. E al folklore tante volte si dovrebbe guardare con ironia, anziché con ridicolo moralismo da quattro soldi. Ma non è evidentemente questo il caso, considerato lo schieramento massiccio di forze dell’ordine e la solerzia con cui gli agenti in borghese ricacciano indietro chiunque provi ad attraversare la strada, neanche volesse compiere un attentato dinamitardo.

Curva Fiesole e Curva Sud, un tempo addirittura amiche. Gemellate. Poi rivali, acerrime. Raccontano gli Ultras Viola nel loro libro che la goccia che fece traboccare il vaso fu l’ennesimo episodio di razzia, da parte giallorossa, avvenuto nel campionato 81/82. Vetrine del centro spaccate e negozi derubati provocarono l’ira dei sostenitori toscani, facendo registrare una giornata alquanto turbolenta, che si ripeté l’anno dopo. Diversi accoltellati e tanti fermi della polizia, con il seguente scioglimento degli Ultras Viola, messi anche alla gogna dai media. Storie che si perdono nel tempo, ma che, a chi ha l’opportunità di sentirle raccontate su ambo i fronti, sembra di rivivere, tornando per qualche istante in quel mondo e in quegli anni. No, non mi interessa cadere nel pietismo nostalgico, ma è giusto fare una piccola genesi della rivalità. Perché anche i più giovani, tra cui ovviamente mi annovero, debbono sapere il perché si mandi a quel paese questa anziché quell’altra tifoseria. Proprio per rispettarla e ricordarsi di quanto la cultura di curva che ci è stata tramandata sia affascinante, unica e preziosa. Si chiamano radici e non andrebbero mai disattese, almeno credo.

Oggi, nell’era dei controlli invasivi e della sicurezza usata come arma di repressione, tante cose sono scomparse, ma il clima attorno a questa sfida resta comunque di attesa. Anche grazie alla vicinanza delle due città e alla passione per il calcio che le contraddistingue. Il Franchi rimane uno dei pochi stadi italiani a far registrare sempre buoni numeri, nonostante una squadra che alterna discreti campionati a tornei anonimi. Dall’altra parte c’è il pubblico giallorosso, con tutti suoi problemi, le sue limitazioni e la sua ormai atavica diaspora dall’Olimpico. Gli esodi degli anni che furono sono lontani, resta nitido il ricordo di quel “Semo tutti parrucchieri” che annunciava l’invasione nell’anno che fu del terzo scudetto, nel 2001. Di lunedì, malgrado già all’epoca si provò a contrastare in ogni modo l’arrivo massiccio di una tifoseria ospite. Calcisticamente Firenze non regalò nulla, e segnò una delle tre sconfitte di quella Roma tricolore. E del resto i biglietti a prezzi assurdi, gli orari impossibili, le limitazioni e i divieti hanno fatto il loro bel lavoro. Inutile star qui a ripeterlo.

Ritiro il mio accredito ed entro nella pancia dello stadio. Buona parte del contingente giallorosso è già entrato a un’ora dal calcio d’inizio, e anche la Fiesole presenta un buon colpo d’occhio, con tutte le pezze appese. I motori si scaldano poco dopo, con i primi insulti che già volano tra le opposte fazioni e il “traditore” Salah fatto oggetto di fischi e improperi dal pubblico di casa. Parte la storica Canzone Viola, inno della Fiorentina dal 1931, quando Enzo Marcacci ne scrisse le parole e l’Ordine del Marzocco, una sorta di club dei tifosi dell’epoca, distribuì un volantino con le parole allo stadio di Via Bellini per farlo cantare a tutti i presenti. La versione attuale, che tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita, è cantata da Narciso Parigi, che negli anni sessanta ne acquistò i diritti rendendolo l’inno ufficiale del club.

Assolti i compiti canori, possiamo tornare alle gradinate. Le squadre fanno il loro ingresso in campo  e ovviamente i decibel si alzano. Il settore ospiti si mette in evidenza con le classiche manate e cori tenuti abbastanza a lungo. In assenza di torce e fumogeni, che per anni sono stati il sale di questa sfida, bisogna saper sopperire in altri modi e i sostenitori capitolini sfoderano comunque una prestazione di tutto rispetto. L’unica nota negativa in casa Roma non viene dagli spalti, bensì dal campo. E non è tanto la sconfitta causata dal gol di Badelj, quanto la terza maglia indossata dai giocatori. Un vero e proprio “cafolavoro” marchiato Nike. Colori giallini e arancionastri che sembrano vestire, a scelta, 11 Solero, 11 Fanta o 11 evidenziatori. Una volta si diceva che se una maglia indossata per la prima volta coincideva con una sconfitta, non si sarebbe dovuta più mettere. Speriamo che questo atto scaramantico ancora sia osservato a Trigoria. E neanche mi perdo in discorsi di tradizioni e storia, del resto oggi con quei colori e quello stemma, si capiva che giocava la Roma solo e soltanto perché nel settore ospiti c’era la Curva Sud a incitarla.

Per quanto riguarda la Curva Fiesole, dopo la bella sciarpata iniziale, noto un ottimo coordinamento in balaustra. Rispetto alle ultime volte che sono capitato da queste pari, i viola appaiono più compatti e coordinati, con un’ottima distribuzione di lanciacori lungo il muretto. Ciò comporta un tifo più omogeneo almeno nella parte superiore, condito dal costante sventolio di bandiere e da qualche fumogeno acceso qua e là. Purtroppo la Serie A di oggi, con un pubblico spesso lobotomizzato dalle giocate dei calciatori, ci ha insegnato che è quasi impossibile far cantare settori da oltre 10.000 posti. Tuttavia la loro prestazione è più che buona, con discreti picchi di tifo e la bella esultanza al gol che fa da eco a uno stadio che ancora segue il match inveendo, protestando e rumoreggiando anche nei settori lontani dalla curva. È chiaro che le grandi curve risentano tantissimo della mancanza di uno strumento come il tamburo. Salvo entità abituate da anni a tifare senza il ritmo di quest’ultimo, e quindi con cori cadenzati appositamente, è difficile spesso dare intensità a un coro senza il tamburo. Il divieto arbitrario per questi oggetti resterà sempre una delle più grandi spiegazioni di come a Questura e Prefettura non interessi tanto debellare la violenza dal calcio, quanto destrutturare l’aspetto folkloristico e aggregativo delle curve.

Finisce così, con il pubblico di casa a festeggiare la vittoria e quello ospite a rimuginare su una sconfitta tutto sommato immeritata. I tifosi defluiscono e le gradinate man mano si svuotano. Volano gli ultimi insulti tra le due curve e cala il buio sull’ennesimo Fiorentina-Roma giocato sotto i fari del Franchi. Un’eterna sfida che si incastona alla perfezione nel libro delle memorie calcistiche e del tifo della nostra Italia pallonara.

Simone Meloni.