Football culture. Forse in realtà non ne abbiamo, o almeno non con una accezione inglese della cosa. I vari mesi che ho trascorso in Gran Bretagna, spalmati su più anni del decennio appena trascorso, mi hanno permesso di notare come là sia abbastanza sensato districare la propria settimana tra tabellini dei giornali, stadi e chiacchiere al pub sui risultati delle squadre più o meno locali. La massima serie viene seguita da una grandissima maggioranza della popolazione di ambo i sessi, gioca al sabato e lascia spazio il giorno successivo alle basse leghe. La nostra bella Italia, quella delle Cento Città, che ha in fondo al cuore l’illusione che, se gestito in maniera oneste e limpida, si potrebbe vivere di turismo, invece vive il calcio in una maniera altrettanto maniacale ma più tendente ad un qualcosa di intimamente sporco; sarà la nostra educazione in fondo cattolica e tendente ad una vita proba e socialmente utile che ci porta ad interpretare così l’esistenza. Moravia, in A quale tribù appartieni, spiega che il cattolicesimo vede anche l’ultimo dei selvaggi come una persona che, se educata, può benissimo integrarsi e vivere una vita socialmente accettabile. Andare a vedere il gioco del pallone diviene una piccola colpa, un qualcosa di sano ma solo se distaccato; la sensazione di collettività che si crea negli stadi e soprattutto nei settori più popolari di essi non va sponsorizzata o messa in luce.

Gli ultimi dieci anni hanno visto una vera e propria criminalizzazione del calcio vissuto sui gradoni, con successivamente un ritorno a norme riguardanti la vendita dei biglietti più ragionevoli, dietro cui comunque si celano severi inasprimenti delle leggi riguardanti reati legati ad un ambito calcistico. A sovrastare e soverchiare ogni cosa rimane il mondo colorato, dinamico ed intrigante della pay tv, che, con l’impero dei mass media attraverso cui ognuno di noi ormai si districa ogni giorno, ha appiattito il sentimento di normalità che circondava il pallone. Come ogni altro ambito della società, si registra anche qui il distacco tra territorio e territorialità, creando tifosi occasionali di squadre di plastica. Ma se oggi sono qui a vedere una partita di bassa classifica di serie C, penso sia per abitudine, per respirare ancora una volta, perpetuandolo, quel sentimento strano che provo nel vedere una partita di calcio, nel restare fermo a vedere ripetersi delle trame che in fondo sono sempre diverse. Quanto detto finora vale per tutti, tifosi ospiti e locali; il calendario della terza serie viene stilato con ampio anticipo e ciò permette, a chi ci tiene, di prendere giorni di ferie a prescindere da orari vari successivamente decisi. Spesso perdiamo di vista la realtà e scusiamo ogni cosa, dimenticando come sia facile muoversi ed accettando così numeri risicati presenti sulle tribune. Da un paio di decenni a questa parte infatti sugli spali in trasferta ci sono solo gli ultras, almeno per quanto riguarda la quasi totalità delle realtà dalla B in giù. Il settore ospiti vede una buona rappresentanza riminese, con cori convinti e adeguati al loro numero, a dimostrazione di quanto detto. Il grigiore della lamiera e la fredda serata emiliana vengono ravvivati da varie bandierine, colorata manifestazione di una fede ultimamente consunta e bistrattata in ogni modo, sia dalle scelte del presidente Grassi che dai vari Daspo. Essere provinciali al giorno d’oggi non paga, e lo sanno bene i tifosi di casa, che hanno fatto quadrato negli ultimi mesi e messo in piedi un gruppetto abbastanza rispettabile; il cuore cittadino però rimane più legato al basket e al Bologna calcio, lo dimostrano i cori abbastanza continui ma già noti, segno di un tifo non storicizzato e di recente nascita. Come ho già avuto modo di dire, mantenere la categoria potrebbe voler dire compattare un gruppo rendendo più solido un percorso iniziato da qualche anno, punto fondamentale sarebbe però avere un pubblico più numeroso tra cui “pescare”. Sul campo i tre punti preziosi vanno ai rossoblu, i tifosi ospiti durante la ripresa sono meno continui nel sostegno. Rimane il bandierone nero Diffidati Rimini a sventolare libero nel gelo, mentre la dirigenza viene contestata duramente e si invita la squadra a darsi una svegliata. Andando alla stazione, la luce bluastra degli schermi televisivi illumina le stanze di alcune case che si affacciano sulla strada, rendendo estranea al contesto la mia presenza in questa anonima notte della pianura. Ma stasera forse qualcuno ha fatto una scelta differente, spegnendo la TV e cercando di sentirsi meno solo.   

Testo di Amedeo Zoller.
Foto di Gilberto Poggi.