Tutti noi – anche voi che state leggendo, non lo negate – quando leggiamo una località, una città o una provincia, volgiamo il nostro primo pensiero alla squadra locale e alla sua tifoseria. Nomi, nomignoli, abbreviazioni e striscioni che ci rivengono in mente con una spontaneità quasi malandrina. Malefica oserei dire! Io, ad esempio, per una vita, ogni qual volta ho letto “Imperia” sulla cartina geografica, su un cartello o su un giornale, non ho potuto fare a meno di pensare ai Samurai Ultras. Attenzione: non lo dico con fare ironico. Ci pensavo davvero, perché ancora oggi ritengo quel nome uno dei più originali e fantasiosi mai partoriti dal mondo ultras, nonché una sintesi chiara e forte di cosa sia fare l’ultras in una realtà così particolare: bisogna essere lottatori. E non semplici combattenti ma, per l’appunto, Samurai. Il ricordo dei Supertifo a scuola e del fantasticare su gruppi così lontani da casa mia, con i quali però riuscivo a condividere la stessa passione, credo renda perfettamente l’idea di cosa sia stato e, parzialmente, sia tutt’oggi il mondo del tifo. Un ponte in grado di far comunicare, conoscere, amare e odiare persone che mai nella loro vita si sarebbero conosciute o confrontate!
Il treno cammina accanto al mare, incurvandosi e prendendo simbolicamente la forma della Liguria. I chilometri che mi separano dalla Francia, per la precisione da Nizza, sono pochi e per ingannare il tempo comincio a studiare classifiche e partite su Tuttocampo (giustamente, mica potevo leggere un libro o riflettere sulla vita, sarebbe stato troppo impegnativo!), fin quando risalta ai miei occhi la sfida tra Imperia e Sestri Levante. Incredibile, il fato mi sta dando un assist che non posso mancare. Un rigore a porta vuota che – forse – persino Artem Dobvyk riuscirebbe a buttar dentro. La meta finale è il match di Europa League tra Nizza e Roma, ma con i tempi ci sto dentro tranquillamente, tanto che, una volta arrivato a Ventimiglia, ho anche il lusso di tornare indietro per raggiungere lo stadio “Nino Ciccione” ed esaudire inaspettatamente uno dei desideri stagionali. Sì, perché dopo aver visto lo scorso anno il derby tra Sanremese e Imperia, mi ero ripromesso di metter piede anche nello storico impianto imperiese. Cosa mai facile in un girone dove spesso latitano le tifoserie ospiti e le distanze da casa mia sono comunque importanti. E invece eccomi qua!
L’attuale capoluogo di provincia più a ovest della Liguria, ha una storia relativamente giovane, essendo stato costituito soltanto nel 1923 grazie all’unione di due comuni precedentemente autonomi: Porto Maurizio e Oneglia. Altri due nomi che risuonano nella mia testa grazie alle due, omonime, vecchie stazioni ferroviarie, dismesse nel 2016 per favorire l’apertura del nuovo scalo ferroviario cittadino, posto peraltro a pochi metri proprio dallo stadio. Affacciata maestosamente sul mare, col sole che oggi bacia sia le acque ancora tiepide che le strade alquanto affollate, Imperia è anche celebre per la produzione di olio d’oliva e della pasta. Parlando, in generale, del Ponente ligure, ammetto che ogni volta che vi capito non fatico a comprendere perché sia così gettonato a livello turistico: paesaggi mozzafiato che fondono mare, colline e montagne, città e paesi intriganti dove ci si perde tra caruggi e crueze, cibo di altissimo livello e un miscuglio culturale dovuto alla vicinanza con il confine francese (Mentone dista da qui solo sessanta chilometri) che dona quell’ulteriore tocco di fascino. Ecco, se non avesse un miliardi di difetti nel suo sistema, ma soprattutto se non fosse un Paese ormai totalmente avversario dei propri cittadini e del loro benessere, l’Italia si potrebbe amare davvero senza grossi patemi d’animo!
Lasciandomi alle spalle la vena poetica, posso tornare alla gara di oggi. Una volta sceso dal treno mi incammino verso lo stadio, incappando quasi subito in un cospicuo cordone di polizia e carabinieri, appostato a pochi metri dalla curva di casa, dove transiteranno i tifosi del Sestri. Sì, avete capito bene: gli ospiti devono passare nei pressi della curva imperiese, dovendo prender posto in uno stadio completamente incastonato tra case e abitazioni, che profuma di vecchio calcio in modo incredibile. Tra le due fazioni non corre propriamente buon sangue e notoriamente la tifoseria nerazzurra fa parte di quella cerchia di gruppi non numerosissimi ma tutt’altro che semplici e comodi da trovarsi di fronte (del resto la storica amicizia con i ragazzi di Nizza non può essere casuale!).
A mezz’ora dal fischio d’inizio decido di entrare, districandomi nelle viuzze e passando per una porticina, dove gentilmente un inserviente della società mi fa entrare. Essendo un amante profondo degli stadi con una storia e soprattutto con un’anima, non posso che provare subito attrazione per l’impianto dedicato a Nino Ciccione, caporale imperiese caduto durante la Prima Guerra Mondiale. Innanzitutto mi preme sottolineare come lo stadio sia ubicato in Piazza d’Armi, un qualcosa che ci ama la storia del calcio non può ignorare: in origine, infatti, la maggior parte dei campi erano costruiti proprio nelle Piazze d’Armi delle varie città, che logicamente si prestavano grazie agli ampi spazi a disposizione. Negli anni la struttura è stata rivista e riammodernata, chiaramente. Quella attuale è figlia dei lavori che, nel 1969, le hanno dato l’attuale conformazione: due curve e due tribune, un qualcosa di importante se pensiamo a molti stadi che in Italia fanno anche la massima divisione. Notevole la Gradinata – attualmente chiusa – pittata interamente di nerazzurro e sormontata, nella parte centrale, dal drago, storico simbolo del club imperiese, ma molto belli anche gli altri settori, con particolare menzione alla Curva Nord, dietro la quale, di tanto in tanto, si vedono sfrecciare treni Regionali e Intercity impiegati sulla Genova-Ventimiglia (praticamente un sogno per me!).
Ho iniziato accennando ai ricordi ultras in ambito nerazzurro, ma non da meno sono quelli legati alle prime figurine acquistate e in particolar modo alla stagione 1999/2000, quando il club, dopo tantissimi anni, tornò a disputare un torneo professionistico: l’allora Serie C2. Campionato tuttavia finito con l’amara retrocessione arrivata dopo i playout persi con il Novara. Di fallimenti e cambi denominazione ce ne sono stati diversi dal 1923 a oggi, mentre, malgrado i fasti degli anni settanta – quando i liguri parteciparono ripetutamente alla Serie C – e la fugace apparizione del 1999, il club non è mai più riuscito a tornare tra i professionisti, raggiungendo a fatica la D in varie occasioni e finendo, spesso, a dover ripartire dai bassifondi calcistici regionali. Motivo per cui in queste realtà non è affatto facile o scontato portare avanti un discorso di tifo organizzato e anche solo per i medesimi motivi chiunque si metta dietro uno striscione e decida di portarlo assiduamente in trasferta, merita il massimo rispetto. Mentre scrivo – con colpevole ritardo – nel girone A si sono giocate sette partite e l’Imperia ha miseramente racimolato solo due punti. Un qualcosa che la dice lunga sull’attuale situazione e che da molte parti avrebbe già favorito l’allontanamento degli ultras, cosa che per ora non è avvenuta. Malgrado, oltre alle sventure sportive, i nerazzurri siano stati costretti anche a giocare le prime partite casalinghe lontano dal “Ciccione”, tornato praticabile proprio contro il Sestri.
Insomma, questa trafila tutt’altro che positiva, descrive alla grande il clima che si respira da anni in città. Ma in generale – mi permetto – anche quello che ammanta un po’ tutte le storiche società del Ponente ligure, veramente in difficoltà nel rinverdire i fasti del passato. Sta di fatto che poco prima delle 15 gli ultras di casa espongono il loro materiale, posizionandosi dietro allo striscione Ultras Imperia, che da qualche anno identifica il tifo organizzato dei Draghi. Ultras che cominciano a farsi sentire all’arrivo dei tifosi ospiti, a ridosso del fischio d’inizio. Da Sestri Levante giungono una quindicina di supporter (un numero dignitoso, considerato che la maggior parte dei ragazzi facenti parte del tifo organizzato sono stati raggiunti da provvedimenti Daspo dopo il derby di Chiavari dello scorso anno), i quali, in questo mercoledì lavorativo, si sono sobbarcati i 172 chilometri disseminati tra le due città, per una sfida che mette contro le due anime latitudinalmente opposte della regione. I padroni di casa non vanno troppo per il sottile, ricoprendo immediatamente d’insulti l’ingresso dei corsari. Sarà così per tutta la partita, con i rossoblù che a più riprese risponderanno. L’esiguo numero fa sì che il loro tifo non sia continuo, sebbene durante i novanta minuti i sestresi si facciano sentire, esultando per la vittoria della loro squadra, che travolge 5-0 gli avversari.
Ora, come immaginate voi la prestazione di una curva a sostegno di una squadra già sotto di tre gol dopo 16 minuti? Considerato che oggi si contestano anche squadre prime in classifica o fresche vincitrici di coppe e campionati, mi sento di dire che non biasimerei neanche troppo se i tifosi si facessero prendere da una sensazione di sconforto. Eppure la reazione degli ultras imperiesi è diametralmente opposta alla performance dei loro giocatori: supporto a oltranza dal primo al novantesimo minuto, cori tenuti a lungo e cantati per il proprio orgoglio e i propri colori, battimani, canti a rispondere e una sciarpata finale a coronare una grande prova di tifo, che oserei definire “l’essenza” dello stare in curva. Esattamente quell’andare oltre ed essere un qualcosa in più rispetto al tifoso medio. Cosa che mi fa intuire ancor più quanto dietro a quelle pezze e a quelle bandiere ci sia un’importante storia curvaiola, che nelle proprie radici e nella propria militanza butta anche l’anima, confermando la gran bella impressione che già avevo avuto lo scorso anno a Sanremo.
Purtroppo al triplice fischio non ho molto tempo per i convenevoli, dovendo prendere dopo pochi minuti il treno. Immortalo le ultime scene, cerco invano un biglietto per la mia collezione e poi riconsegno la pettorina incamminandomi verso la stazione. Una brezza fresca d’improvviso si è alzata, costringendomi a indossare la felpa e a rinunciare alle mezze maniche. Sintomo che la sera sta scendendo, così come il sipario su questo pomeriggio imperiese. La soddisfazione è doppia, sapendo quanto sarà difficile che ricapiti da queste parti e quanto di interessante ho potuto vedere e toccare con mano. Resta una certezza: il mondo ultras non ha categorie – e questo si sa, forse è anche diventato retorico -, ma soprattutto riesce nell’impresa di aprirti scorci e visioni che l’uomo medio non vedrebbe mai, né avrebbe la fantasia di immaginare. Ci penso proprio mentre il convoglio riparte, lasciandosi alle spalle il centro abitato e affacciandosi maestosamente sul blu del mare. Qualcuno è ancora intento a fare il bagno, qualcun altro pesca e altri ancora si rincorrono sulla spiaggia semivuota. Sono i migliori titoli di coda che si possano immaginare dopo una giornata di viaggio e un pallone che ne ha dettato ritmi e scelte!
Simone Meloni






































