• Roma-Chievo è nel suo piccolo una partita che ha segnato diversi momenti della recente storia romanista. A memoria, ad esempio, ricordo un Roma-Chievo datato 2004 giocato sul campo neutro di Palermo a causa della squalifica inflitta all’Olimpico per il celeberrimo Derby del bambino morto. Un finale di stagione, quello, che vide la Roma giocare le ultime tre partite casalinghe nel capoluogo siciliano. Se oggi, con tutta probabilità, a nessuno salterebbe in mente di dare ai tifosi la chance di seguire la squadra nonostante quegli avvenimenti, forse anche buona parte degli stessi tifosi, lo riterrebbero giusto, allora andare a Palermo per tre volte consecutive rappresentava un motivo in più per fomentarsi. Del resto parlano i numeri: se la mente non mi inganna nelle tre partite La Favorita fu popolata mediamente da 5/6.000 romanisti. Quasi tutti provenienti dalla Capitale.

Un’altra era geologica, in cui la cultura del viaggio al seguito della propria squadra non solo esaltava i più, ma costituiva un vero e proprio collante generazionale in grado di creare rapporti che poi si espandevano anche nella vita di tutti i giorni. Prendete un viaggio in treno per Palermo. Chi non l’ha mai fatto non può veramente rendersi conto di cosa significhi. Quattordici ore – quando ti andava bene – dentro a un vagone. Condividendo tutto, ma davvero tutto, pure quello che ti dava mortalmente fastidio, con persone che a Termini erano perfette sconosciute e a Salerno già ti sembrava di conoscere da una vita.

Di quel Roma-Chievo vanno ricordati, con ammirazione, i 19 tifosi veneti giunti praticamente dall’altra parte del Paese (così come empolesi e perugini che timbreranno regolarmente il cartellino negli altri due match). Anche loro con il treno. Costretti ad uscire prima dalle forze dell’ordine. In barba al fatto che avessero un biglietto per l’intera partita e non fossero arrivati esattamente da Carini. Ma questa è una storia vecchia, già disquisita.

Saltando “di palo in frasca”, come si dice da queste parti, un altro Roma-Chievo meritevole di considerazione è senz’altro quello della stagione 2008/2009. Con i giallorossi che annaspano in campionato, la Curva Sud decide di contestare. Ma non con i classici striscioni e cori. Bensì organizzando un torneo di calcetto tra gruppi nell’antistadio. Una trovata goliardica che lancia il sarcastico messaggio “oggi giochiamo noi”. La curva vuota e lo stadio silente. Mentre al di sotto dei boccaporti centinaia di ragazzi si divertono seguendo con cori e striscioni le gesta dei loro compagni di curva divenuti per un paio d’ore calciatori. Uno dei tanti modi per fare aggregazione e tenere in vita quello spirito che per anni ha animato (e fortunatamente anima ancora tanti settori) il movimento ultras. Che poi è un po’ la differenza sostanziale tra fare del tifo in maniera organizzata e andare semplicemente a vedere la partita.

Un vuoto diverso quello. Diverso da questo Roma-Chievo. L’ultimo, il più brutto. Ci sono le barriere, ci sono le multe e c’è ormai tutto un marchingegno perfettamente innescato che ha reso le partite all’Olimpico un vero e proprio cimitero di passione e tifo. È anche stucchevole star qui a ripetersi, ma proprio perché questa sfida cade in prossimità del Natale, e quindi della fine di questo anno solare, non si può fare a meno di tracciare un piccolo computo. Manco a dirlo negativo e desolante. Per descriverlo sarebbe sufficiente osservare i clivensi, sistemati in un angoletto remoto della Monte Mario. Laddove, un tempo, venivano relegate le tifoserie straniere quando giungevano a Roma in numeri davvero esigui o quelle italiane quando l’Olimpico aveva bisogno dello “spicchietto” ospite per accontentare l’alta richiesta di biglietti (su tutte mi viene in mente la partita contro il Parma valevole per lo scudetto, nel 2001). Di certo oggi questo problema non si pone più. E in fondo a mastri burocrati e legiferanti impazziti, la situazione va più che bene: l’obiettivo di svuotare gli stadi è in parte riuscito.

Giornali e lacchè di corte possono dire e scrivere ciò che vogliono, ma quando in partite come questa, con una squadra seconda e ben lanciata in campionato, si raggiungono a malapena i 25.000 spettatori (dato ufficiale, ma vistosamente inferiore) vuol dire che il modello tanto propinato in questi anni, quello che avrebbe dovuto riportare le famiglie allo stadio, non solo ha fallito, ma ha creato un danno probabilmente irreparabile. Certo, occorre sapere se per costoro davvero si tratti di un danno. Se da una parte, infatti, si piange la diaspora dei tifosi, dall’altra si preme per spostare la Serie A a Doha, giocare partite a Natale e immettere altre novità che col nostro calcio hanno davvero poco da spartire. Si foraggia l’ascesa del tifoso iper consumatore, quello che preferisce pagare una birra analcolica 10 Euro per andarsene al 70′ evitando il traffico. Se, almeno in A, gli spettatori sono già clienti oggi si vuole che questi diventino clienti passivi. Stupidelli anche. Quelli che preferiscono fischiare un giocatore dopo una prestazione negativa anziché incitarlo (perché è la strada più facile), basti pensare al comportamento tenuto da molti dei presenti nei confronti di Bruno Peres. È vero che l’ex Torino non sta certo facendo sfaceli da inizio campionato, ma è altrettanto vero che la differenza tra un pubblico valido e uno composto da cialtroni senza consistenza è tutta là. E l’assenza della Sud ha fatto emergere tutto ciò.

La Sud, in passato, copriva con applausi e cori questo genere di reazioni. Oggi vengono a galla prepotentemente. Quasi non si capisse, inoltre, che fischiare un giocatore in difficoltà non può di certo aiutarlo a ritrovare la serenità. Non occorre essere psicologi per comprenderlo, basterebbe aver giocato una decina di volte a pallone o semplicemente porre prima del parere personale, l’amore per la propria squadra e tutto ciò che essa rappresenta, ma mi rendo conto che oggigiorno dire ciò è forse un qualcosa di desueto.

Nel futuro che probabilmente ci aspetta, la passione non è ovviamente contemplata. Queste sono barriere che, assieme a quelle fisicamente apposte all’interno dello stadio, fanno desistere in tanti e non so se mai ci sarà questo ricambio del target che il sistema calcio sembra auspicarsi. Volendo essere catastrofisti bisognerebbe soltanto augurarsi che questo circo sgangherato resti da solo a mandare in onda i propri spettacoli. Proprio come durante quest’ultimo Roma-Chievo.

Simone Meloni.