Ne avevano parlato ampiamente le cronache: la notte dello scorso 7 febbraio, presso la sua abitazione sulla riviera di Pescara, furono date alle fiamme le due auto del presidente del sodalizio abruzzese Sebastiani.

Era all’indomani della pesante sconfitta in casa contro la Lazio per 2-6, apice di una stagione maledetta e in cui, nonostante non fosse stato ancora scritto matematicamente l’esito, ormai tutti si erano rassegnati alla retrocessione. Quella partita, fra le altre cose, fu pure segnata da scontri fra le due fazioni, ma l’attentato incendiario non pareva interessare la tifoseria. Almeno non quella organizzata. Nelle successive ricostruzioni della cronaca locale infatti, e stranamente, si sottolineava come le indagini degli inquirenti andassero a parare su ragazzi “contigui al tifo ma estranei a qualsivoglia gruppo organizzato”.

Allo stato attuale risultano sospettate 5 persone, sottoposte a perquisizioni, intercettazioni ambientali e individuate anche grazie ad alcune telecamere a circuito chiuso della zona. Uno di questi, un 21enne, per quanto incensurato e (al pari degli altri quattro) mai finora destinatario di daspo, è stato fatto oggetto di uno strano quanto non nuovo provvedimento restrittivo delle libertà personali quale il cosiddetto “divieto di dimora”.

Il ragazzo, in ottemperanza a questa misura (paradossalmente ritenuta meno afflittiva degli arresti domiciliari), sarà costretto – fatto salvo il buon esito del già annunciato ricorso del suo legale, avv. Virgilio Golini – a lasciare la sua abituale dimora in quel di Pescara.

Praticamente “cacciato” dalla sua casa e dalla sua città, facendosi prendere da un’analisi emozionale dell’accaduto emersa anche a mezzo stampa locale, ma razionalmente e purtroppo questo è quel che prevede la legge, su cui il GIP ha potuto far leva anche in virtù di tutta una serie di altri indizi penalizzanti a suo carico. Oltre ai già citati riscontri, risultano 18 contatti fra il suo telefonino e le celle telefoniche vicine alla casa di Sebastiani. Tutto questo, ovviamente, a processo ancora in corso e con le responsabilità individuali ancora da delineare: senza voler fare del familismo amorale e assolutorio, resta comunque una certa distanza dal concorso ideologico alla pratica “delittuosa” vera e propria. Allo stato attuale non è ancora dato sapere chi e in che misura ha partecipato a questa azione, ma nel frattempo il 21enne è stato punito in maniera più aspra solo perché, a differenza degli altri, è risultato più riconoscibile per via della sua fisicità e questo è uno dei tanti risvolti in cui la legge finisce per diventare strumento di rappresaglia, esempio deterrente, aspetto che non si confà certo all’immagine democratica e garantista che tutti si augurerebbero la legge stessa avesse.