Dopo la prima inchiesta sugli ultras della Juventus, il programma “Report” di Rai3 è tornato a occuparsi del mondo del tifo con una puntata dal titolo “Mandati al Diavolo” (che potete rivedere integralmente a questo link). Anche se già a partire dalla semantica, fa un errore abbastanza marchiano: una qualsiasi analisi in cui il campione non sia realmente rappresentativo, è un’analisi grossomodo inutile; non si può prendere una parte del tutto per trarne conclusioni e giudizi così trancianti, non si possono decontestualizzare i precedenti penali dei singoli e farne il carico pendente di un collettivo così vasto e multiforme come quello che anima le gradinate dello stadio.

Non è assolutamente un tentativo di nascondersi dietro un dito, oltretutto all’interno dello stesso mondo ultras certe curve non sono propriamente considerate ortodosse in termini di “ideali”. C’è un florilegio di striscioni e cori lì a dimostrarlo. Ma al di là di tutto ogni realtà, da sempre, è speculare al suo bacino sociale di riferimento e in certe curve non tira una bella aria esattamente come non la tira in giro per le strade di quelle stesse città.

Al netto di analisi sociologiche un tanto al chilo, la puntata di “Report” questa volta convince ancora meno della precedente. Per prima cosa perché nella sua parte iniziale, quella nuovamente dedicata al tifo della Juve, non è altro che lo stesso servizio solo rimpastato e rimandato in onda. Da un certo punto di vista persino in maniera più meschina e pavida: se nella prima puntata sembrava quasi che sul suicidio (omicidio? suicidio indotto?) di Bucci ci fossero le mani sporche della Juventus, questa volta (a pensar male, si direbbe dopo esser stati presi per le palle dall’ufficio legale della stessa società bianconera) lo fanno dire alla moglie di Bucci a cui l’ha detto la cognata a cui l’ha detto la moglie di un presunto boss a cui l’avrebbe detto suo marito. Solidità probatoria, insomma.

La storia di Bucci resta centrale nella narrazione ma questa volta, come detto, la presunta inchiesta anziché chiarire rende più nebuloso capire se si sia trattato di omicidio, suicidio o suicidio indotto. Oltretutto, detto con brutale sincerità, non è che questo interessi molto, sarebbe invece più interessante capire i motivi, ma pure questi – dalla granitica inchiesta – non si evincono. Viene buttato là, alla “complottarda”, un sms dello stesso Bucci in cui, poco prima del suicidio, si diceva certo di “aver bruciato la sua posizione”: il giornalista ipotizza ci fosse in atto una sorta di collaborazione con la polizia. Lo ha chiesto alla polizia? No. Ne parlano le carte processuali? No. Solite solidità giornalistiche. Più verosimile che Bucci avesse avuto contiguità con alcuni malavitosi afferenti alla Ndrangheta e per questo la sua posizione (lavorativa? O all’interno del sodalizio criminale?) fosse ormai bruciata. E stando almeno a quanto emerso, non era Bucci a passare loro i biglietti, quindi più probabile che i problemi fossero legati al riciclaggio di denaro proveniente dalla vendita dei biglietti a cui probabilmente si prestava.

D’altro canto, tornando alla “centrale” storia dei biglietti, forse si sovrappongono e confondono un po’ le cose: visto che al centro di questa inchiesta per infiltrazioni mafiose c’è Rocco Dominiello, fondatore di tale club “I Gobbi”, passaggio formale necessario per interagire “legalmente” con la società nel richiedere e poi rivendere i biglietti ai propri associati. Ora, innanzitutto parliamo di un club e non di un gruppo ultras che sono due entità completamente differenti nella sostanza, anche se a “Report” non ne fanno menzione nemmeno alla lontana. Che poi onestamente, ma chi li ha mai sentiti nel mondo ultras questi “I Gobbi” prima che salissero agli onori delle cronache (nere)? Il dubbio ancora più cortocircuitante però è: se gli ultras della Juve fossero stati già di loro infiltrati e comandati dalla malavita, che ragione avevano questi Dominiello di fondare un altro club quando già avevano i gruppi ultras esistenti come canali di approvvigionamento? Non è più probabile che, semplicemente, si volevano ritagliare la loro fetta di torta in quel grande business che erano i biglietti della Juventus, specie nei primissimi anni del nuovo “Juventus Stadium”? I toni di un’intercettazione ambientale lo confermerebbero («Non ho un cazzo da fare, mi butto dentro gli stadi e vaffanculo…»), stendendo un velo pietoso su altre affermazioni della stessa («Adesso i fratelli Ercolino mi hanno chiamato che stanno fondando una curva…») che già dalla loro totale e goffa estraneità al gergo tecnico degli stadi (come si fonderebbe una “curva”???) fanno capire quanto poco questi avessero a che fare con gli ultras e, al contempo, quanto poco ci abbiano capito i magistrati e pure i giornalisti, anche se poi buttare ugualmente la croce addosso agli ultras fa sempre molta presa in termini di sensazionalismo.

Nelle stesse intercettazioni, si evince come i “Viking” – se ci possiamo permettere questa licenza – siano parte lesa nella vicenda, in quanto quota dei loro tagliandi sia stata tagliata tempo addietro e smistata ai Dominiello: stante queste palesi conflittualità, è evidente che la realtà narrata dal punto di vista giornalistico e giudiziario non sia così amalgamata e indistinta, anche se a vedere la prima puntata sembra quasi che parlando di Loris Grancini dei “Viking” e dei Dominiello si stia parlando della stessa cosa e non è effettivamente così.

A proposito dei “Viking” inoltre, è proprio conoscendo la loro lunga querelle con la società bianconera che suona meschina l’ultima puntata di “Report” che, ad un certo punto, fa – più o meno testualmente – i complimenti alla Juventus che nel frattempo ha trovato il coraggio di tagliare i ponti con questa parte malata del tifo. Sembrerebbe quasi merito di questa arditissima inchiesta che ha messo i suoi attori spalle al muro se poi, gli stessi, hanno avviato un repulisti generale. Peccato solo che già due anni prima che andasse in onda la prima puntata, agli stessi “Viking” era stato bandito l’ingresso allo “Stadium” sull’onda delle prime indagini relative all’inchiesta “Alto Piemonte” della Magistratura.

Il programma che fu della Gabanelli sfora poi nel patetico quando tira dentro nel mucchio questo presunto gruppo ascendente nella gerarchia del mondo ultras juventino. Si tratta di tali “True Boys” che negli ultimi mesi erano diventati virali sul web per la loro contrapposizione trash al gruppo “Tradizione”. Oggetto del contendere i cori anti-Napoli che però, questi sedicenti “True Boys” deprecano in virtù delle loro origini napoletane. Peccato che lo stesso maitre a penser (perdonate la bestemmia) dei “True Boys” in un altro video diventato virale, si era fatto riprendere nello stadio del Napoli vuoto definendolo “cesso per 60 mila munnezze” e questo già dà la dimensione di quello su cui stanno perdendo tempo certi giornalisti: poco più che “troll” come si chiamerebbero nel gergo del web, o in termini più alla nostra, mitomani in cerca di facile notorietà e che poco o nulla hanno a che fare con il mondo ultras vero e proprio. Basterebbe d’altronde la dichiarazione dello stesso a chiudere la questione: intervistato da Federico Ruffo, l’inviato di “Report”, ammette in maniera candidamente disarmante che loro a Torino non ci possono mettere piede. Per codificare certi fenomeni ivi compreso quello ultras è imprescindibile la giusta chiave di lettura: chi il mondo ultras lo conosce da vicino e ne comprende linguaggi e dinamiche, rischia di ricavarne una lettura capace di trasformare un programma di inchiesta in uno comico…

Poi sì, ci sarebbe la seconda parte sugli ultras del Milan ma anche lì il copione è lo stesso: una dose di approssimazione, un terzo di generalizzazione, un pizzico di luogo comune e la solita abbondante spolverata di assurdità grottesche, mischiate fra loro in un cocktail i cui ingredienti c’entrano poco o niente fra loro, ma il cui colore brillante fa molta presa sugli allocchi che sono lì a guardare improbabili barman acrobati che li shakerano. Chiosa veloce che la mia solita verbosità ha preso già abbondantemente il largo e non so quanti e come arriveranno fino a queste ultime righe: a testimoniare la (scarsa) bontà del servizio, basti dire che la storica triade FossaBrigateCommandos che per anni ha retto le fila del tifo rossonero, viene ridisegnata a favore degli Sconvolts, questo a causa dei guai giudiziari di uno dei suoi fondatori (anche il suo avvocato si potrebbe considerare parte di questi guai, per la mitomania con cui parla…) che venivano comodi alla costruzione di questa narrazione intossicata di una realtà certo non bucolica, ma non di meno così assurda e contraddittoria. Certo, poi ognuno può decidere se credere ai “giornalisti terroristi” allorquando vanno a denigrare tifoserie rivali, ma ci sarà poi poco da lamentarsi quando, con queste lenti distorte, verrano a scattare una fotografia anche al resto del movimento, che certo non ne è uscito bene in toto da questo servizio.

Matteo Falcone