Se mi chiedete cosa è per me Inter-Atalanta in una sola parola, direi “scooter”. Il ricordo di quel clamoroso lancio, da inserire di diritto nel Guinness dei Primati, è ancora assai vivo. Un gesto esaltante dal punto di vista della filosofia estetica, quanto poco ragionato dal punto di vista delle conseguenze materiali.

Un episodio così eclatante poteva accadere solo nell’ambito di una rivalità vera, storica, in anni dove le possibilità di azione degli ultras, o dei cani sciolti, equivalevano ad infinite praterie.

Quella di oggi è l’ennesima sfida tra una provincia orgogliosa e tenace, una delle poche che non ha mai ammiccato ai grandi squadroni, ed una tifoseria senza frontiere dove l’appartenenza geografica è relativamente importante.

Da una parte abbiamo una realtà che sta vestendo, da qualche anno, per la prima volta i panni della grande squadra; dall’altra abbiamo un club storico in fase di rilancio che quest’anno punta, senza mezzi termini, a tornare perlomeno campione d’Italia.

Nonostante lo scenario del 2020 sia sempre peggiore per chi ama vivere lo stadio non dico alla vecchia maniera, ma perlomeno in maniera umana, questo Inter-Atalanta ha un indubbio interesse sugli spalti, e i circa 70.000 biglietti venduti confermano questo dato. Così come in campo, d’altronde, visto che questa partita, almeno sulla carta, rientra nella top 10 delle più interessanti del campionato.

Poi certo, ogni volta che metto piede a San Siro, anche a distanza di breve tempo, lo spettacolo mi sembra sempre più adatto alla NBA americana anziché ad una sfida di calcio. Un frontman che a centrocampo “intrattiene” il pubblico, lo “sparamagliette”, le inquadrature al pubblico che saluta, i giochi di luce, i teloni a centrocampo. Ma il pubblico ha mai realmente chiesto tutto questo? O sono le società, che dall’alto, stanno cambiandone i gusti, gli atteggiamenti, le scelte e i gesti (anzi, diciamo che in parte, li hanno già cambiati)?

Personalmente, mentre migliaia di smartphone riprendono nel buio la scenografica presentazione delle squadre, io già non vedo l’ora che l’americanata finisca. E in fretta. Il prepartita e l’ingresso delle squadre, per quanto mi riguarda, è delle curve. Delle tribune. Del pubblico. Di chi viene a tifare e non ad assistere. Di chi è tifoso e non consumatore. Il resto è solo impostura di un sistema basato sul profitto e sul controllo.

L’unica nota fuori posto, in questo frangente, sono i cori dei 4.000 tifosi atalantini (situati nel terzo anello e separati da 3 teloni posti in mezzo alla curva) contro i dirimpettai. 

Interisti che, dal canto loro, pochi istanti prima della partita, tolgono gli striscioni in segno di una annunciata protesta: nei primi 15 minuti, infatti, la Nord si astiene dal tifo per contestare la decisione delle autorità di non far entrare tamburi e impianto di amplificazione.

Che poi, personalmente, mi chiedo quanto senso abbiano ancora queste proteste, per quanto sacrosante. Ormai, nell’epoca post-ultras, le tifoserie hanno accettato di tutto, troppo per poter dar valore alle proprie battaglie: tessere, biglietti nominativi, certi cori no non li facciamo, altri sì purché non siano troppo politicamente scorretti, cori politici no, torce no, striscioni contro no, coreografie sole se autorizzate, telecamere ovunque, steward arroganti, biglietti in casa e fuori a prezzi folli, codici di gradimento, partite ad orari e giorni Asia-friendly, diffide con condanne che neanche l’associazione mafiosa ecc. ecc. ecc. Il massimo che si possa riottenere indietro, quindi, se sua santità questura vuole, è qualche contentino, “basta che fate i bravi”.

Tornando al primo quarto d’ora della partita, questo è solo di marca bergamasca, con qualche coro iniziale assai potente che poi va a scemare.

Come scoccano i 15 minuti, gli striscioni interisti tornano al loro posto e i primi due cori sono indirizzati ai rivali, con la risposta atalantina che non si fa attendere.

In realtà, nonostante l’immediato vantaggio dell’Inter di Lukaku su azione di rimessa dopo 4’ – sarà magari il freddo piuttosto intenso – il clima d’entusiasmo stenta a decollare, da una parte e dall’altra. Se i padroni di casa fanno comunque il loro onesto tifo (si nota piuttosto marcatamente l’assenza dei megafoni), nel settore ospiti veramente pochi i decibel da segnalare, se non qualche acuto. Ma poco degno di nota.

In campo, il primo tempo si conclude 1-0, con la partita che, al netto di tutte le aspettative, ha confermato un’ottima qualità di gioco delle due squadre, sebbene i dati dicono che l’Atalanta abbia avuto un 64% di possesso palla. Sul fronte del tifo ci si poteva decisamente aspettare più, specie con questi numeri altisonanti in tutti i settori.

Nel secondo tempo il canovaccio è simile: a parte un paio di cori di buona intensità, il settore ospiti rimane o muto o comunque spento, senza sussulti fino alla sciarpata interista. Infatti, in quel momento, sia i nerazzurri di casa (che fino a quel momento hanno fatto il loro onesto tifo, pur senza grandi picchi di intensità rispetto al potenziale), che quelli ospiti hanno i loro due minuti d’entusiasmo e su entrambe le sponde si nota persino qualche torcia accesa con la massima prudenza (come le stesse istruzioni indicano).

Immediatamente dopo, ad un quarto d’ora dalla fine, pareggiano, più che meritatamente, gli ospiti, veri dominatori del campo, con un tocco di Gosens a pochi metri dalla porta, a seguito di un’azione un po’ disordinata ma efficace. 

In questo momento, i bergamaschi, nella loro interezza, cominciano a fare ciò che non avevano fatto prima: tifare bene, raggiungendo dei veri boati, con un settore in movimento e ribollente di passione. Nonostante ormai sia cosciente di certe dinamiche, ancora resto sorpreso da quanto sia il risultato a condizionare il tifo anziché viceversa. Se non altro, a livello personale, vedo qualcosa che mi posso portare nell’album dei ricordi.

La Curva Nord prova a rialzare la testa ma si sente nell’aria una certa demoralizzazione: demoralizzazione che potrebbe diventare depressione quando, sul finale, Muriel si fa ipnotizzare da Handanovic dagli 11 metri, a seguito della concessione di un giusto calcio di rigore a favore dei bergamaschi. San Siro esulta come un gol, l’Atalanta ci prova fino alla fine ma il risultato non cambia più.

Sarà la vecchiaia, ma quest’oggi ho apprezzato più le gesta degli uomini del maestro Gasperini piuttosto che le dinamiche sugli spalti. Magari ho solo beccato la partita sbagliata. Che poi, col movimento ultras storpiato nel suo senso, esistono ancora partite giuste?

Testo di Stefano Severi.
Foto di Stefano Severi e Remo Zollinger.

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