“La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento”.

L’incipit di “Titanic” di Francesco De Gregori credo possa descrivere al meglio cosa vuol dire essere stivati nel terzo anello del settore ospiti dello Stadio Meazza – San Siro.

Quanti siete? 100, 1.000, 10.000? Dal campo vi si sentirà a fatica. Figuriamoci dai dirimpettai. Vantaggi? Esserci. E basta. Svantaggi? Tutto il resto possibile e immaginabile.

L’idea di quel surrogato di settore ospiti mi ha spesso fatto desistere da una mia presenza a S.Siro, con tanti rimpianti per il vecchio primo anello.

Non incrocio il Benevento e la sua tifoseria da 18 anni, una vita fa in tutti i sensi. La Strega di allora era per me un avversario, i suoi tifosi di curva gente sana e da rispettare.

Da allora è cambiato più o meno tutto.

Il Benevento è di passaggio in Serie A, e senza troppe pretese e qualche illusione di miracolo, si sta già preparando per il rientro tra i cadetti.

La Milano ultrà offre sempre la sua classica essenza, con la sua gente mix perfetto tra top borghese e giovani che provano a vivere un minimo di strada ed aggregazione.

Lo stadio di San Siro, oggi, nel prepartita, è una compilation perfetta di spot pubblicitari e musica buona solo a fracassarti i timpani.

Lo dico mentre i beneventani nel settore ospiti (vetta del Monte Everest) iniziano i loro primi cori carichi, nonostante tutto. Però Cesare Cremonini negli stadi per il tour 2018 è ora decisamente più importante per il pubblico pagante.

Stato Sociale, “una vita in vacanza” a 10.000 decibel mentre i sanniti continuano a saltare e a cantare. Facile cantare di valori e disoccupazione da un palco sponsorizzato dal sistema. Intanto su al terzo Anello i suoni si perdono nel vuoto.

La partita sta per iniziare. Scontata. Da una parte una squadra blasonata ed affamata di punti (anche se le prestazioni sul campo e di certi giocatori svogliati sembrerebbero suggerire l’esatto contrario), dall’altra una con un piede e mezzo in Serie B.

E com’è bella la vita stasera tra l’Inter che tira e uno speaker che predica, per noi ragazzi di terza classe che per tifare si va in teleferica.

La Curva Nord parte in sordina e nei primissimi minuti non sortisce un grande effetto, prima di ingranare e far partecipare, in alcune fasi, tutti i suoi effettivi.

I vuoti sono tanti nel secondo anello della Nord, un po’ ai lati, molto nella parte superiore.

Partono bene i beneventani, accompagnati dal loro tamburo. Sono circa un migliaio, e gli striscioni “Milano” e “Stregoni del nord” fanno capire che non tutti si sono sobbarcati quasi un migliaio di chilometri sola andata. In prima linea, ovviamente, i gruppi della Sud campana.

Per quasi tutta la gara è il Benevento a giocare meglio, ma ciò non cambia le carte. Purtroppo è una favola vista e rivista nel calcio nostrano: la squadra spacciata gioca una gran partita ma, alla fine della fiera, alla favorita basta il minimo sindacale nel secondo tempo per avere la meglio.

La Nord, in alcuni frangenti, mi ricorda un po’ – con le dovute proporzioni – il Commando Ultrà della Roma di fine anni’90: 7 tamburi (almeno quelli che ho contato io) col loro rullio prepotente e troppa poca voce sotto, questo nella maggior parte dei cori.

In alcune situazioni non sono onestamente riuscito a capire la base del coro che qualcuno stava cantando. Nonostante la presenza di almeno un megafonista in mezzo allo striscione di ogni gruppo principale, coordinamento e voglia non si sono manifestati granché.

Certo, quando la Nord decide di cantare all’unisono e fare dei battimani il risultato è notevole, ma ciò accade con una frequenza troppo bassa nell’arco dei 90 minuti. Segno come anche qua il potenziale ci sia tutto, ma venga in parte gettato nel deposito dell’inerzia.

Il culmine arriva con l’1-2 nerazzurro del secondo tempo che serve a riaccendere San Siro e a spegnere più di qualche mugugno che affiorava dagli spalti.

I Beneventani fanno la loro prova di orgoglio, si esaltano in alcuni frangenti, ma poi si perdono nell’immensità del terzo anello. Non è mancata la continuità, ma i picchi di intensità sono stati anche qui pochi se si fa un calcolo complessivo. Ma, per tanti motivi, era difficile chiedere di più.

La partita finisce con la tregua annunciata tra il pubblico interista e la sua squadra, in attesa di nuovi sviluppi e di una reazione più veemente chiesta più o meno da tutti.

I tifosi ospiti non possono che applaudire la loro squadra, benché colpevole di aver cominciato con troppo ritardo a giocare in Serie A.

Stefano Severi