Avevamo tradotto e pubblicato, qualche tempo fa, un’interessante intervista agli “Ultras Sur” del Real Madrid nella quale, oltre a pesanti addebiti alla dirigenza madridista, si tratta anche di questioni interne. Tra queste, spicca la diatriba con i vecchi leader del gruppo e la nuova guardia, in particolare è a José Luis Ochaíta che i giovani addossano diverse colpe. Quella che segue, invece, è la voce del diretto interessato su questo e su tanti altri argomenti attinenti. A differenza dell’intervista precedente agli US, l’approccio giornalistico è molto meno neutro, in certi punti fazioso e strumentale, ma aiuta comunque a farsi un quadro più ampio sulla situazione nella capitale spagnola.

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OchaitaNel 2009, durante un concierto dei Pimpinela (n.d.t..: gruppo pop argentino), un uomo si avvicinò a José María García (giornalista sportivo spagnolo, n.d.t.) e gli disse: “Non sai chi è quell’addetto alla sicurezza? È José Luis Ochaíta”. García puntò i suoi occhi sulla figura di Ochaíta, storico leader degli Ultras Sur. Il gruppo che, nella curva del Bernabeu, aveva mostrato davanti alle telecamere un fantoccio impiccato con le sembianze del giornalista durante una partita; alla maniera dell’Inquisizione quando eseguiva le condanne a morte dei fuggitivi. Erano passati 15 anni. García si era ritirato e Ochaita proteggeva i Pimpinela. La moglie del giornalista si rivolse verso di lui “Hai fatto passare delle brutte nottate a mio marito!”. Nel frattempo, la stella della radio e l’ultras, che non si conoscevano, si abbracciavano.

 

– Lei è un neonazista?

– Ma che neonazista. Non sono mai stato in curva per la politica, solo per il calcio. Ho fatto a botte per il Madrid, mai per altro. La politica è arrivata più tardi tra gli Ultras Sur, io c’ero e dovevo conviverci. Sono di destra-destra, sono franchista. E basta.

 

Però era il capo di un gruppo noto per le esibizioni di svastiche e aggressioni agli immigrati fuori dallo stadio.

– Non c’entro nulla con queste cose, nulla. Sono cose avvenute dopo, più tardi, Io credo nell’integrazione e nella convivenza.

 

– Più precisamente conviveva con gente che non aveva questi valori e che sfoggiava simboli nazisti nello stadio Bernabéu.

– Io rispondo di me stesso. Chiedete a chi tiene a me, alla gente che mi conosce davvero. Le cose che hanno detto non mi appartengono. Se poi pensi che per il solo fatto di stare lì avrei potuto cambiare la gente attorno a me…

 

José Luis Ochaíta ha 49 anni, è ingrassato e ha capelli rossi e occhi azzurri. Viene da un paese, Gargoles de Abajo, nella provincia di Guadalajara. Padre di famiglia numerosa, astemio e cattolico, ha lavorato con i sacerdoti di San Raffaele dell’Ordine di San Giovanni di Dio. La scorsa settimana, nei suoi momenti liberi, era a Valdebebas a fare uno striscione che ha esposto nel Bernabéu con il messaggio “Né violenza né razzismo”.

Un anno fa era in compagnia di alcuni neonazisti nel Drakkar, il bar degli Ultras Sur nella Calle Marceliano Santamaría, e cercava di resistere a un’aggressione di un altro gruppo neonazista più numeroso, composto da gente più giovane, nel covare di un conflitto che era sorto all’interno dell’organizzazione in cui milita sin dalle origini.

Ma se si domanda all’Ultrasur più famoso di Spagna se si è pentito, dice di no.

– Io venivo dal paese le domeniche a vedere il Madrid. Avevo una ragazza e cominciai a frequentare gli altri. E così fondammo il gruppo e lo chiamammo ultras, come quelli italiani.

È impossibile pensare che Ochaita sia stato il leader degli Ultras Sur senza conoscere gli Ultras Sur degli anni ’80, che era un gruppo violento, composto da gente che veniva dalle provincie nei giorni delle partite, metallari del quartiere del Pilar, ragazzi e fighetti. Mundi, il Largo, Punkoy, Imperdible, Paranoico, Tachenko, i Fachas, che erano due fratelli, il Chistera. Anche il Calipo, famoso per essere stato l’unico nella storia della curva che appese una bandiera del Che Guevara. Divenne famosa a quei tempi una pezza dei Tarzen, un gruppo di hard rock che aveva registrato un videoclip con i metallari che erano tra gli ultras.

 

La gente allora cominciò a frequentare la curva perché lì c’era animazione, cori e “valanghe” quando il Real segnava. Due risse celebri, a Valladolid e a Oviedo, li resero famosi. Ci fu un momento in cui molti diventarono Skin, anche come effetto imitazione delle Brigadas Blanquiazules, teste rasate di Barcellona. Diventarono Nazi senza accorgersene, adottando l’estetica poi per coscienza. E Ochaíta, un uomo venuto dalla provincia che terminava le frasi con “grande!”, provocando le risate dei ragazzi della Madrid bene, non si mosse. Fu più furbo degli altri e fiutò l’affare: riuscì a legarlo alla sua passione, il Real e le risse fra le sue attitudini. “Comandava il gruppo. Sempre nella gradinata. E se c’era movimento era grazie a lui. Con moltissima rabbia: in un gruppo così, il leader non lo fai se sei un bravo ragazzo. Comanda il carisma e la violenza”, dicono nel gruppo. L’Ocha, come lo chiamano, era il diplomatico degli Ultras Sur: quello che gestiva la rivendita, il merchandising, che si relazionava con il club, che aveva contatti in tutto il mondo, anche con i capi dei gruppi rivali; Álvaro Cadenas era invece nel gruppo l’uomo di carriera e favella sciolta, portava il peso ideologico ed era il polo d’attrazione per i nazisti più giovani.

 

Ochaíta è completamente diverso dall’uomo ritratto nelle due fotografie conservate all’interno dello stadio, una che lo ritrae mentre consegna una targa a Roberto Carlos il giorno del suo addio nel 2005, e l’altra più polemica che risale al 2003, quando omaggiò Redondo sul prato del Bernabeu, mentre lo abbracciava con un cappello e una bandiera attaccata alla cintura; mezz’ora prima di questa partita aveva avuto luogo una battaglia campale degli ultras contro la polizia. Si agita, e lo fa varie volte durante l’intervista, quando si parla di razzismo, un termine che sui giornali è sempre stato legato al suo nome. “Puoi dirlo quante volte vuoi, non mi convinci: io non sono mai stato razzista nella mia vita. Quelli che mi conoscono te lo possono confermare”. “L’Ocha non ha alcuna ideologia e non se ne interessa. È franchista o chissà che altro, ma non nazista, questo è sicuro. O meglio: è stato con i nazisti, che è un’altra maniera di esserlo, non migliore della prima”. Dice un vecchio componente degli ultras.

La prima grande rissa degli Ultras Sur avvenne ad Oviedo, durante la festa di San Matteo. Ochaita, Cadenas e vari membri del gruppo assaltarono un locale, il Topu Farton, nel quale si teneva una festa della Lega Comunista Rivoluzionaria. Ne nacque una gigantesca battaglia campale, un asturiano fu accoltellato e furono arrestati 24 ultrasur.

Subito dopo Luis de Carlos disse: “O esiste il Real o gli Ultras Sur. Le due cose sono incompatibili”. Luis de Carlos perse le elezioni contro Mendoza, in parte grazie agli Ultras Sur, e cominciò l’era dorata del gruppo. Il comportamento di Mendoza con loro era quello di un anziano con dei ragazzi ribelli, come quello di Arzalluz e i suoi ragazzi della benzina (n.d.t.: il riferimento è alle parole di Xavier Arzalluz, il politico basco del PNV che così definì con fare paterno gli etarras e gli agitatori della “kale borroka” – i disordini e le violenze provocati nelle strade delle città del Paese Basco). In ogni caso US agitavano l’albero e Mendoza raccoglieva i frutti. Lo storico presidente del Real apprese di aver vinto le sue ultime elezioni contro Perez nel ’95 mentre faceva pipì. Lo raggiunse lì Lorenzo Sanz con i risultati. Mendoza chiusa la cerniera e uscì a brindare come ai vecchi tempi. In sua compagnia, nella braceria basca Asador Donostiarra, c’era Josè Luis Ochaita con una maglietta dell’Espanyol.

Mendoza diceva sempre: “Se non si fanno risse non si viene arrestati. Non puoi ammazzarti per il calcio. Non vale una vita”. Coltellate, botte e arresti tracciano la strada del gruppo sin dagli anni ottanta, e in quasi tutte le grandi risse, molte delle quali bestiali, c’era l’Ocha. Fu arrestato ad Oviedo, e anni dopo in Germania per aver mostrato le svastiche.

 

– Nemmeno a Bonn c’erano nazisti?

– Fu una cosa goliardica. Il club ci aveva avvisato che in Germania era reato, ma alcuni di noi le tirarono fuori lo stesso, e per colpa loro ci arrestarono tutti. La Polizia ci aspettava in aeroporto, scendemmo e ci arrestarono. Io avevo portato con noi la banda del mio paese, e ora mi dirai che erano nazisti anche loro…

 

L’arresto più celebre di José Luis Ochaíta fu quello del 1997, quando lo presero per aver provocato risse durante la finale della Liga di pallacanestro nel palazzo degli Sport. Era salito su una barriera al lato degli spogliatoi e si rivolgeva fuori di sé ai giocatori del Barcellona che avevano vinto. Resistette all’arresto, ma quando lo bloccarono non gli trovarono armi. Fu “diffidato” per tre anni dalle manifestazioni sportive.

 

– I giocatori del Madrid pagavano una “imposta rivoluzionaria” agli Ultras Sur? Floro lo domandò direttamente ai giocatori.

– Mai, lo giuro, andiamo. Mai.

 

– Si disse che avevano chiesto un contributo natalizio per pagarsi le trasferte, e che Martin Vázquez si rifiutò, per questo lo fischiavano.

– Lo fischiavamo perché se ne era andato al Torino e non avevamo gradito il suo ritorno.

 

“È uno spilorcio schifoso. Gli Ultras Sur non faranno mai cori per questo maiale”, dichiarò all’epoca Ochaita al Mundo Deportivo. I rapporti con i giocatori, salvo occasionali contrasti, sono stati sempre pacifici. Molti si facevano foto con loro. “Io avevo buoni rapporti con molti di loro. Qualcuno conosce qualcuno, te lo presenta ed è tutto. Ma nulla di più”, dice.

 

– Non c’è mai stato qualcuno di colore in curva.

– Io avevo un amico nero che voleva venire tra di noi. Gli dissi che non poteva, che così stavano le cose lì, che era una stronzata. Ma che potevo fare?”.

Ochaíta non vuole parlare della sua fama. Un amico che gli è vicino dice che di recente, più di una volta ha sentito parlare di lui.

 

– Quando è stata la tua ultima rissa?

– Un anno fa. Ero nel Drakkar con Alvaro e gli altri, e vennero questi ad attaccarci. Successe di tutto. Mi sono preso una bottigliata in testa, vedi di che pasta sono fatti.

Si riferisce ai nuovi leader degli Ultras Sur, che hanno minacciato lui e i suoi ex sodali. Poco tempo fa, al funerale della moglie di un ultras, la vecchia guardia si riunì per l’estremo saluto. Arrivarono i membri degli Outlaw, il gruppo neonazista che ora controlla gli US, per prendere Alvaro Cadenas. Due agenti, di nascosto, aspettavano fuori dalla chiesa in una macchina. Quando Cadenas si vide circondato tirò fuori la pistola. Gli agenti uscirono dall’auto e lo arrestarono. Il funerale terminò con una fuga precipitosa collettiva.

 

– Capii che ero un peso per il gruppo. Dovevo andarmene.

 

Ad Ochaita il nuovo direttivo non perdona il fatto che, nonostante sia stato un simbolo degli Ultras Sur, si sia integrato con i nuovi della Grada Joven (n.d.t.: il nuovo gruppo organizzato filo-societario che ha preso il posto degli US, sfrattati dal loro settore dalla dirigenza). Molti tifosi non riescono a capire perché nel nuovo gruppo ci sia proprio lui, l’uomo più famoso della leggenda nera del gruppo, che ha spadroneggiato per anni con decine di risse.

Non appena uscito dagli Ultras lo spinsero a fondare i Veteranos, il gruppo che ora si compone di 1.080 tifosi, molti di loro cinquantenni, spinti dal suo carisma, che rifiutano la violenza e continuano a rispettare l’Ocha, come lo chiamano. I nuovi ultras a volte riescono a riunirsi il tanto che basta per cantargli “Ochaíta figlio di puttana”. I Veteranos rispondono rallegrandosi. Un tifoso della Tribuna sintetizza: “Nemmeno in un manicomio si vedono cose di questo tipo”.

 

– Per la prima volta vado al campo con i miei figli. Non avrei mai potuto portarli in curva. Il più grande si mette al tamburo, ogni tanto. Non voglio che segua le mie gesta, che si ripeta la storia. Voglio che sia madridista in un altro modo. Vado in trasferta tranquillo adesso, senza pensare in quale strada mi faranno gli agguati.

 

– Quello che facevano i tuoi avversari.

– Anche. Guarda quel povero ragazzo del Depor. Così si finisce. Credi che ne valga la pena?

Sono le 11 di sera e nei dintorni del Padre Damian c’è ancora gente. La figura di Ochaita è minuscola rispetto allo stadio. Anni addietro la sua ombra aleggiava su tutto il Bernabeu.
Traduzione Sport People.
Articolo originale su “El Mundo”.