Come da tradizione consolidata, laddove possibile, laddove gli autori non siano irreperibili o permalosamente indispettiti da legittime critiche, dopo le nostre recensioni ai libri, spesso facciamo seguire un’intervista con chi quel libro l’ha scritto. Per capirlo meglio, per offrire uno spazio di replica ai punti che abbiamo riscontrato come deboli e per approfondire, in senso lato, la discussione.

Eccoci dunque faccia a faccia con Gianluca Ciccone, autore di “È da considerarsi persona pericolosa”, libro la cui ultima nostra recensione trovate a questo link.

11733273_10207695059444563_877992054_n1. Partiamo dall’inizio, Gianluca: si intuisce da subito che il libro è fortemente biografico e poggia su una tua vicenda privata. Perché hai deciso di scriverlo? Scrittura terapeutica per superare il trauma? Oppure semplice intento di testimoniare giornalisticamente una verità sommersa?

L’idea di scrivere di questa avventura ha radici lontane. Proprio nelle prime ore della vicenda ho avvertito come un forte impulso che mi ha stimolato a tal punto di riportare per iscritto ciò che mi è capitato. O meglio, all’inizio è partito tutto da un’idea, una semplice lampadina che mi si è accesa in testa mentre ero rinchiuso in camera di sicurezza. Un progetto che però ho potuto e voluto portare a termine a distanza dall’accaduto. I fatti risalgono al 2007, ma il libro è stato pubblicato ad agosto 2014. Ciò è dovuto solo ed esclusivamente all’attesa di nuovi sviluppi giudiziari della vicenda che, qualora si fossero palesati, sarebbero entrati di diritto nelle pagine del libro. La scelta di scrivere questo libro parte dal cercare di far conoscere un aspetto della vita di un ultras mai raccontato prima. Attimi, aneddoti ed emozioni che difficilmente sono stati raccontati da chi li ha vissuti.

2. Ci sono state difficoltà a tradurre in parole e pensieri concreti qualcosa di così intimo come il tuo stato d’animo di fronte al lato barbaro della repressione? Oppure l’immedesimazione ha favorito il tuo lavoro?

Cercare attraverso le parole di far immaginare a chi legge ciò che tu hai vissuto sulla pelle non è un compito facile. Ho scritto, cancellato, riscritto, strappato metaforicamente pagine di word, rielaborato, riformulato, cercando di dare una certa linearità a situazioni ed emozioni che non possono essere raccontate con efficacia, ma vanno vissute per capire, o tentare di farlo, lo stato d’animo di chi cade sotto i colpi della repressione. Il fatto di aver vissuto ed esser stato trattato alla stregua dei veri criminali, mi ha facilitato il compito, perché non ho dovuto ricorrere alla fantasia per cercare di attrarre il lettore, non ho dovuto immaginare, ma mi sono limitato a riportare la realtà dei fatti, nuda e cruda.

3. Lo stile è molto semplice e ti ha aiutato ad arrivare emozionalmente al lettore, ma in certi frangenti abbiamo avuto la sensazione che fosse penalizzante ed appiattisse troppo sia i personaggi che la complessità ed i tanti risvolti (umani, giudiziari, ultras, ecc.) che la storia ha. Quali valutazioni hai fatto che ti hanno spinto ad insistere sulla linea della semplicità?

Il primo passo da fare quando si scrive un libro è l’immedesimarsi nel lettore. Ho pensato che uno stile lineare, senza fronzoli, potesse facilitare la comprensione di molti, non tralasciando il fatto che la semplicità dello stile agevola anche chi non ha un buon rapporto con la lettura. Ho tenuto ben presente il fatto che Daspo, diffide e repressione sono argomenti sconosciuti anche agli stessi ultras, figuriamoci a chi del calcio conosce solo i nomi dei campioni e la moviola. Da ciò viene fuori la scelta di un libro che ha come fine ultimo quello di sprono per chi ha vissuto simili vicende ed ha pagato un duro prezzo per difendere la propria fede calcistica. Uno sprono affinchè questo libro non rimanga il solo a trattare questo tema. Chi legge il libro deve immedesimarsi nel protagonista e deve poterlo fare senza pregiudizi di sorta. Volutamente non c’è nessuno accenno ai colori della mia sciarpa, proprio perché questa non è la storia di Gianluca Ciccone, ultras della squadra X, ma è una storia, simile ad altre migliaia. La mia è la storia di tutti gli ultras diffidati, che non hanno colori, ma un ideale comune e questo dovrebbe venir fuori dal mio libro. Ma purtroppo, non scopriamo oggi che il mondo ultras attuale vive soprattutto di gelosie e preconcetti, ecco dove ha origine la scelta di tener fuori da queste pagine ogni pur minimo riferimento geografico e temporale che potrebbe influenzare il giudizio personale di chi accettasse di leggere queste pagine. Certo, sono consapevole che tutto ciò rende forse piatta e ridondante tutta la storia, ma è il prezzo da pagare se si cerca di parlare di argomenti mai trattati in precedenza, che non offrono punti di riferimento e analisi soddisfacenti.

4. In quanto a scelte, parliamo di quella di perseguire la strada dell’auto-pubblicazione: oltre al lavoro creativo, ti sarai dovuto anche accollare quello tecnico e non avrai avuto margini decisionali sui prezzi. Quali sono i vantaggi in tutto ciò, oltre aver bypassato gli editori spesso insensibili a questi temi e poco disposti ad investire in un libro simile?

Se avessi inviato il mio file word a qualche casa editrice, a quest’ora sarebbe già stato cestinato, forse a ragione, ma penso che chi ha voglia di “urlare” qualcosa al mondo debba farlo comunque, con i mezzi a sua disposizione. Io non mi sono arreso ed ho deciso così di affidarmi a Youcanprint. Ho scelto la strada del self-publishing perché penso sia la migliore strategia per un autore alle prime armi, che non gode di fama e soprattutto che vuole pubblicizzare un libro che affronta tematiche poco conosciute e considerate. Youcanprint si limita a stampare su richiesta le copie del libro che vengono ordinate in più di 4mila librerie sparse in tutta Italia, oppure attraverso le piattaforme web. Il print on demand limita così sia i costi da parte dell’editore, sia un danaroso investimento da parte dell’autore. Il self-publishing ha sì dei grossi limiti, ma si è rivelata una strategia azzeccata per il mio libro.

5. Restando più o meno nel solco della precedente domanda, che riscontro hai avuto del libro? Quante copie vendute, quante presentazioni fatte? Soprattutto, anche in questo caso, fin dove frutto del tuo impegno, dove invece della casa editrice?

Un numero esatto non esiste ed una stima sarebbe comunque fuorviante, visto che i report che riguardano le vendite del mio libro hanno lunghissimi tempi di gestazione: una copia cartacea acquistata in una libreria a novembre, può impiegare anche sei mesi prima della registrazione. Parlare di copie vendute poi è sempre relativo perché, personalmente, preferisco che il libro venga letto e l’acquisto non è sempre sinonimo di lettura. Riguardo le presentazioni effettuate anche oltre regione, sono particolarmente soddisfatto, poiché con le sole conoscenze personali sono riuscito a portare queste cento pagine lì dove la Youcanprint non può certo arrivare. Questo ad esempio è un grosso limite del self-publishing, ovvero il fatto che la casa editrice non reclamizzi a dovere le opere prodotte, ma ciò è cosa nota fin dall’inizio quando si sceglie questa strada. Basta però un po’ di ingegno per poter ovviare e pubblicizzare a dovere il proprio libro.

6. L’autocritica, come abbiamo scritto nella nostra recensione recente, è uno degli elementi mancanti nel tuo racconto. Una peculiarità, tra l’altro, tipica del mondo ultras che, negli anni, ha sempre saputo criticare gli errori del calcio, della politica, del potere in genere, ma ha sempre peccato appunto di auto-analisi. Non avrebbe restituito maggiore credibilità, secondo te, percorrere una strada del genere? Non si rischia di diventare autoreferenziali se non addirittura vittimisti? Non avrebbe fatto maggiormente breccia verso il mondo “esterno” ampliare il punto di vista?

Sincerità per sincerità, non sono assolutamente d’accordo. Partiamo dal presupposto che la credibilità in questo Mondo viene concessa solo ed esclusivamente a determinate figure. Tra i casi più noti basta ricordare le notizie circolate subito dopo l’omicidio Sandri. C’è voluto del tempo prima che si aprissero gli occhi su una vicenda chiarissima già dalle prime battute, eppure si è dato credito solo ed esclusivamente alle parole del Questore di Arezzo, pur sapendo che era comunque una visione di parte, tesa a celare la vera dinamica dell’accaduto.

Per quanto mi riguarda, mi si è presentata l’occasione per poter parlare di qualcosa di cui nessuno aveva mai voluto raccontare e l’ho fatto, consapevole dei rischi. Da anni vengono pubblicati libri che raccontano le gesta di gruppi ultras, che non centellinano auto-proclamazioni, quelli forse possono essere definiti autoreferenziali. Ripeto, la mia storia è quella di molti altri ragazzi, che sono costretti a star lontani dalla propria passione, magari anche per aver introdotto in uno stadio un semplice fumogeno. Volevo raccontare come nasce un diffidato, non quanto sia figo sentirsi affibbiare tale appellativo. L’ho fatto, poi sta agli altri giudicare.

7. Metterti a scrivere ha voluto dire farti “media di te stesso” e della tua storia. Il mondo degli ultras, dai singoli ai gruppi, perché non riesce a mettersi sufficientemente in gioco da questo punto di vista e riequilibrare la disinformazione dei mass-media tradizionali? Siamo solo indietro con i tempi e prima o poi recupereremo? Oppure siamo irrimediabilmente ostaggio dell’esaltazione aprioristica, acritica dell’omertà?

Che il mondo ultras sia riluttante ai mass media è cosa ormai risaputa. Quei pochi tentativi di approccio, fatti in passato, hanno riportato risultati deludenti. Non mi va di citarli, si conoscono ampiamente. Non sono un esperto per poter elencare quali siano le linee guida da seguire, per poter far in modo che il nostro mondo assuma credibilità. Forse a noi stessi sta bene così, che tutto resti immutato. O forse, ci si è resi conto che qualsiasi cosa provenga dalla parte degli ultras non viene considerata a dovere e viene sistematicamente condannata, e quindi è venuto meno il bisogno di urlare ai quattro venti che la parola “ultras” non è solo ciò che i media servono in pasto alle platee. Molte realtà hanno preferito sfilare piuttosto che combattere tutti uniti. La lotta alla Tessera del Tifoso è durata quanto un girone di andata. E la cosa peggiore è che chi continua a combatterla viene deriso da chi fino alla domenica prima indossava t-shirt contro l’art.9. La mancanza di unità di intenti è da sempre il limite di questo mondo, troppo preso di sé, troppo avvezzo alle mode.

8. Oltre l’approccio informativo, come vedi più in generale il futuro del mondo ultras? Gli ultras sono davvero morti come sostiene qualcuno, oppure stanno semplicemente cambiando e adattandosi ai nuovi barbari tempi, allo Stato di Polizia e al telecontrollo esasperato?

Qui potremmo stare a parlare per ore, ma mi limito a dire che uno della mia età ha poco o niente da condividere con le nuove generazioni, che non sono altro che occhiali da sole e cappello da pescatore. Naturalmente, non voglio generalizzare, ci sono isole felici in Italia dove l’ideale ultras si tramanda ancora di padre in figlio. Ci sono realtà in cui la coerenza ha ancora un valore assoluto e non viene barattata con un primato in classifica. Tanto tempo fa si diceva “oltre il risultato”…

9. Il tuo futuro di militante, invece, come lo vedi? Avendo vissuto tempi sicuramente migliori nel passato del nostro tifo, dove e come eventualmente cercherai la spinta per proseguire questo cammino? Gli ideali riescono ancora ad essere più forti di tutta la mercificazione (interna alle curve ed esterna al campo di gioco) del cosiddetto e vituperato calcio moderno?

Nel mio passato c’è un’esperienza di curva di Serie A, terminata quasi sul nascere. Mi sono bastate poche trasferte per capire alcune dinamiche che erano lontane anni luce dal mio modo di intendere l’essere ultras. Ho deciso così di seguire la squadra della mia città e non l’ho più lasciata (se si esclude l’ultimo periodo abbastanza travagliato del quale preferisco non parlare). Una piccola realtà, piccolissima, che ha sempre guardato solo ed esclusivamente in casa propria, senza scopiazzare qua e là, lontana, lontanissima dal business del calcio moderno. Sono però consapevole del fatto che i tempi andati non torneranno più e mi spiace per quei giovani ragazzi che iniziano a frequentare la curva con tanti sogni e aspettative.

10. Infine, questa tua parentesi da autore avrà un seguito? Hai qualche altro progetto editoriale nel cassetto? Qualunque sarà la scelta, ti facciamo comunque i nostri migliori auguri (anche e soprattutto per la vicenda giudiziaria ancora in corso) e ti ringraziamo per aver, con il tuo lavoro, buttato un sasso nello stagno ed aver in certo qual modo aperto alla produzione di “cultura ultras”, al confronto e alla discussione interna al nostro mondo.

Spero di sì. Ho già qualcosa su cui lavorare, ma non riguarda tematiche legate al mondo del calcio. Spero di iniziare al più presto a scrivere, anche perché in questo caso non dovrò attendere alcuna sentenza.

Grazie di tutto, grazie per lo spazio concessomi e per aver creduto nel messaggio che sto cercando di lanciare attraverso il mio libro.

 

Intervista raccolta da Matteo Falcone.