Quando metto la testa fuori l’uscio di casa l’orologio segna le 3:30. Un buio pesto si confonde con un fastidiosissimo quanto pungente freddo invernale, che almeno per ora non mi fa rimpiangere la scelta di indossare materiale termico. Per salire sul treno delle 5 con destinazione Napoli mi “sorbisco” il solito giro sui bus notturni, stavolta desolatamente vuoti ma quantomeno veloci e puntuali. Con l’aliscafo in partenza dal Molo Beverello alle 8:55 non posso permettermi ritardi sulla tabella di marcia, tanto che una volta sceso a Napoli Centrale mi fiondo letteralmente verso la metropolitana che, altra notizia di giornata, passa praticamente dopo trenta secondi dal mio arrivo sulla banchina.

Ischia è una di quelle mete che da tempo bramavo: realizzare il servizio su un’isola, viaggiare via mare, approfondire una tifoseria che sin dagli anni novanta ha destato la mia curiosità per la sua particolare posizione geografica e per una militanza che complessivamente si è ben tramandata ed è riuscita, negli ultimi anni, a ridar linfa nuova al seguito dei gialloblù. In origine doveva essere il match con la Cavese, a inizio stagione. Alcune vicissitudini personali si sono frapposte con questo appuntamento, provocando in me più di qualche preoccupazione. Il fatto che nel Girone G non ci siano molte piazze con seguito organizzato e il match con la Nocerina venga programmato in infrasettimanale (nonché in un momento nero, sportivamente parlando, per i molossi) mi fa temere fino all’ultimo che i miei programmi vengano nuovamente stravolti. Mettiamoci poi le scelte di quegli psicolabili dell’Osservatorio – che fortunatamente stavolta neanche “attenzionano” la sfida in oggetto – e direi che i miei timori sono più che fondati.

Poco prima che gli imbarchi aprano vengo raggiunto dai miei due compagni di viaggio. Il tempo per qualche battuta e siamo a bordo. Un cielo terso ammanta il capoluogo campano, restituendo un’aria tiepida, che comincia – ora – a farmi maledire la scelta del vestiario. Più tardi, infatti, sarò costretto a capitolare e mettere da parte almeno la giacca. Quando gli ormeggi vengono mollati lentamente la costa si allontana, lasciandoci ammirare il panorama che metro dopo metro volge verso la costa flegrea. Da lontano distinguo nitidamente Posillipo, Bagnoli con lo scheletro dell’Italsider, Pozzuoli con Monte Nuovo a dominarla e poi Monte di Procida. Dietro cui, in una giornata senza foschia, a volte si arriva a vedere persino il promontorio del Circeo, sito nella provincia di Latina. Qualche anno fa, per diverse settimane, ho letteralmente “perlustrato” queste zone, osservando Ischia e Procida davanti a me e curiosando tra fumarole, bradisismo, laghi costieri e tutta una storiografia assolutamente avvincente che riguarda i Campi Flegrei. Eppure posando lo sguardo sulla distesa blu e incrociando l’inconfondibile sagoma ischitana, mi sono sempre domandato quando sarebbe arrivato il nostro primo appuntamento. Certo, chiedo venia: la giornata di oggi è sicuramente troppo breve per farsi un’idea totale di quella che è l’ottava isola italiana. Un territorio vasto, con una storia ancor più grande e millenaria. Perdonatemi sin d’ora, pertanto, se non potrò essere totalmente esauriente.

Come detto, il viaggio in aliscafo rappresenta una delle parti più attese. E non solo per il bellissimo panorama, ovviamente completato dal Golfo di Napoli che si estende sinuoso alle falde del Vesuvio e in cui mi diverto a individuare città e paesi. Il contatto con il mare riesce sempre a darmi gioia, così – dopo avere fatto tappa nella bella Procida – quando le coste del porto d’Ischia cominciano a intuirsi, sono pronto a respirare le ultime vibranti folate di vento cariche di salsedine, prima di metter per la prima volta piede sull’Isola Verde. Pensate che con tutta probabilità questo è il primo stanziamento di coloni greci (provenienti dalle città di Eretria e Calcide) in Italia, i quali nel 770 a.C. rinominarono il loro insediamento Pithecusa, letteralmente “popolata dalle scimmie”. Denominazione legata alla leggenda dei cercopi, abitanti delle isole flegree macchiatisi di furti e razzie contro la popolazione locale e per questo puniti da Zeus, che li avrebbe trasformati in cercopitechi. In realtà una teoria più “scientifica” sembra essere quella che lega il nome alla parola pythos (anfora), suffragata dal vasto rinvenimento di questi contenitori, utilizzati per il trasporto delle derrate alimentari e in particolar modo del vino, di cui le vigne isolane erano rinomate produttrici.

Siamo in una zona che si è formata in seguito alle molteplici eruzioni dei Campi Flegrei e che con le sue quattro isole (Ischia, Procida, Nisida e Vivara) costituisce uno degli arcipelaghi più complessi e delicati del Paese da un punto di vista geologico. Ma anche un fiorente nodo commerciale, dove non a caso l’uomo ha sempre vissuto e diverse culture e civiltà si sono avvicendate, lasciando in eredità santuari, chiese e, forse simbolo più celebre dell’isola, il Castello Aragonese. I romani la assoggettarono al loro dominio dopo la vittoria nelle Guerre Sannitiche, trovando un posto dove ampliare la loro industria manifatturiera e le loro fonderie, ma anche dove in molti fuggiaschi riuscirono a trovare protezione. È il caso di Gaio Mario, generale inseguito dal dittatore Silla, in età repubblicana: quest’ultimo quando riuscì a scoprire il suo nascondiglio sottrasse l’isola alla “provincia” napoletana, mettendola direttamente nelle mani del Senato di Roma. Solo Augusto, qualche decennio dopo, la restituì a Napoli, tenendo tuttavia per sé la prediletta Capri (che tutt’oggi rimane la più esclusiva ed esosa tra le isole campane, evidenziando quanto l’epoca che viviamo sia sempre figlia della storia antica). Per gli appassionati del genere, Ischia è anche citata da Virgilio nell’Iliade (col nome di Arime), venendo associata alla figura di Enea, che qui avrebbe fatto scalo.

Se con la caduta dell’Impero Romano l’isola verrà presa d’assalto da pirati che la saccheggeranno, nel medioevo si distingueranno sicuramente i domini normanni e aragonesi. Proprio durante quest’ultimo, Ischia finirà nuovamente sulle pagine di un libro presente tutt’oggi sui banchi di scuola: l’Orlando Furioso. Ariosto, infatti, dedica molto spazio all’eroica difesa della roccaforte posta in essere da Innico II d’Avalos, che riuscì a respingere le truppe capitanate da Ludovico Sforza, inviate dal momentaneo governatore di Napoli, il re francese Carlo VII. Si potrebbe continuare all’infinito nel narrare vicende e sfumature storiche di questo lembo di terra circondato dal mare, ma ciò detto sinora credo renda bene l’idea di quanto Ischia sia stata e sia tutt’oggi rilevante, sia da un punto di vista “politico” che nella cultura popolare. A tal proposito, rimane un luogo celebre per le sue acque termali, ovviamente figlie della natura vulcanica del territorio. Un fenomeno conosciuto e apprezzato già dai greci, che qui vi mandavano sovente i propri soldati a curare ferite e malanni. E che ancora oggi rappresenta una fonte importante di sostentamento in chiave turistica. Sebbene, come avrò modo di dire, Ischia non è solo turismo e non è quella trappola mangia soldi che in molti credono, associandola forse erroneamente a Capri.

Con le poche ore a disposizione, in attesa di mettere piede al Mazzella, l’unico lusso che possiamo permetterci è quello di camminare per il comune capoluogo, che conta attualmente 19.000 abitanti, e arrivare fino alla sua frazione di Ponte. Ai piedi del maestoso Castello Aragonese, sotto al quale si stagliano calette e spiagge incredibilmente popolate. Non possiamo fare a meno di scambiare quattro chiacchiere con una signora intenta a fare il bagno. Come biasimarla? Mi maledico, ora totalmente, per la mia tenuta da neve. A saperlo avrei patito il freddo inizialmente, ma ora potrei essere beatamente a mollo. In pieno dicembre. Praticamente un sogno (oltre che un lusso davvero invidiabile per gli abitanti). Mentre un signore si abbandona alla brezza marina, addormentandosi seduto su una panchina a picco sul mare, mi viene da guardare allo spettacolare contrasto tra la roccia dei monti ischitani e il mare. L’Epomeo, con i suoi 788 metri, rappresenta la vetta più alta. Un pezzo di placca alzatosi in uno dei tanti fenomeni tellurici che riguardano la zona, nonché una macchia verde che trasmette voglia di pedalate, scampagnate e trekking. Mi ritorna in mente quella signora che scendendo dal traghetto si lamentava perché era dovuta venire a lavorare sull’isola per qualche giorno. Beh, direi che ci sono posti ben peggiori!

La Ischia di oggi, ovviamente, è anche un tassello ben incastonato nella cultura campana e in particolar modo napoletana. Il capoluogo dista cinquanta minuti di aliscafo e circa un’ora e mezza di traghetto. Il mare in mezzo, manco a dirlo, spesso rappresenta un elemento ostativo al fine di muoversi velocemente per lavoro o svago, ma è anche la giusta distanza per mantener vive le proprie tradizioni e la propria identità. Nel cibo, nelle festività e persino nel dialetto che, sebbene sia ovviamente di derivazione napoletana, gode di diverse inflessioni nelle varie località. Figlio, come sempre, di occupazioni militari, colonie, alleanze, prigionie, commercio, nonché viaggi, arti e scienze. Sfumature che delineano sempre un popolo e ne raccontano la storia e le vicissitudini. Per i più interessati, sul territorio sono presenti sei comuni: Ischia, Casamicciola, Barano, Lacco Ameno, Forio e Serra Fontana.

E il calcio che ruolo ha in tutto ciò? Sull’isola la sfera di cuoio comincia a rotolare dopo la Grande Guerra, quando il gioco viene importato da alcuni reduci. Nel 1922 viene fondata la Robur, sebbene il nocciolo di giocatori esistesse già quattro anni prima, quando – come riportato da documenti dell’epoca – venne disputata un’amichevole contro l’Istituto Nautico di Procida. Successivamente alla fondazione ufficiale, in seno alla Robur avviene una scissione che porta alla nascita della Pro Ischia, con cui per tutti gli anni venti si svolgono accesissimi derby. In quegli anni nasce anche il primo vero e proprio terreno di gioco, quel Riserva Mazzella voluto e finanziato dal notaio Bonaventura Mazzella, che ospiterà dapprima le gare interne della Pro Ischia. L’avvento del fascismo e la soppressione, voluta dal regime, di molteplici club dello stesso comune, porta alla fine delle due società, inglobate nel Dopolavoro Littorio. Un passaggio che fa cessare la rivalità cittadina in favore di quella intercomunale. Infatti saranno sentitissime le sfide con i dopolavoro delle altre cittadine isolane. Durante le fasi finali del secondo conflitto mondiale, prende vita anche il GIL (Gioventù Italiana del Littorio) Ischia, che viene ricordato per diverse, affascinanti, sfide dapprima con guarnigioni militari tedesche di stanza sull’isola e poi con le truppe anglo/americane, dove ovviamente gli inglesi sfruttano ampiamente la Riserva Mazzella. Tuttavia è al termine delle ostilità che l’attività calcistica riprende appieno in tutto il Paese. Nel 1945 viene fondata l’AS Ischia, sempre di gialloblù vestita ma con una nuova casa: lo Stadio dell’Arso. Nel 1937, infatti, il notaio Mazzella aveva revocato la concessione per lo sfruttamento della propria radura, rendendo così necessaria la costruzione di un vero e proprio impianto. Pertanto un anno più tardi, un terreno a ridosso della zona ricoperta di lava dall’eruzione nel 1301 (l’ultima avvenuta sull’isola) venne convertito in campo, anche grazie all’incessante lavoro dei giocatori che fecero esplodere con delle mine i massi lavici presenti, in maniera da spianare il terreno. Nel 1948 lo stesso venne intitolato a Vincenzo Rispoli, giovane mezzala ischitana, morto anzitempo nel 1943. La partita inaugurale vide gli ischitani opposti alla Puteolana, mentre l’ultima – prima del passaggio al Mazzella – è datata 17 aprile 1988, avversaria di turno il Frosinone.

Curiosità: negli anni sessanta veste la maglia ischitana nientepopodimeno che Bruno Pizzul, il celebre cronista friulano, infatti, vanta una breve carriera da calciatore, sfortunatamente interrotta da un grave infortunio. Gli isolani da lì in poi fanno la spola tra campionati regionali e Serie D, dando vita a sentite sfide con altre compagini campane e ben radicando il seguito calcistico sia nel comune di Ischia che in tutta l’isola. Sebbene, infatti, anche le altre cittadine possano vantare una discreta tradizione (soprattutto sodalizi come quelli di Forio e Barano) sono ovviamente i gialloblù a canalizzare il seguito dell’intero territorio, rappresentandone in campo vizi e virtù. Sebbene possa sembrare una minuzia, va ricordata tutta la complessità logistica nel fare calcio a Ischia: almeno una volta ogni due settimane occorre imbarcarsi per la terra ferma, il che vuol dire affrontare spese doppie rispetto a un normale club. Cartina al tornasole, peraltro, di una popolazione che se nel suo status d’isola può ricavare giovamento sotto forma di turismo, si trova perennemente a metter mano al portafoglio in maniera cospicua per un “normale” spostamento a Napoli o Pozzuoli.

Il salto di qualità, la gioia del professionismo, arriva agli albori degli anni ottanta. Esattamente è l’annata 1982/1983 a incoronare campioni gli isolani. Un salto di categoria che farà da preludio a ben quindici anni di Serie C, con diverse discese e risalite tra la C1 e la C2 e numerosi nomi di prestigio passati in casacca gialloblù (tra tanti, va ricordato Giuseppe Taglialatela, nato a Ischia e cresciuto nel vivaio del club locale prima di esordire nel grande palcoscenico della Serie A, dove verrà ricordato soprattutto come estremo difensore di Napoli e Fiorentina. La sua figura è attualmente parte integrante dell’organico della società). Indimenticabili i pomeriggi passati a studiare Almanacco e Album Panini a metà anni novanta, dove sovente incappavo nello scudetto argentato dell’Ischia e nella foto della sua squadra, fomentando le mie infantili fantasie e immaginando gli sforzi che una squadra proveniente dall’arcipelago campano dovesse fare per giocare ogni partita lontano dal Mazzella, ma anche il fascino che questa trasferta dovesse avere sia per giocatori e società chiamate a giocarvi che per i tifosi impegnati nella trasferta. Ricordo benissimo le immagini dell’immortale C Siamo, con il mitico Carlo Verna a condurre e le immagini in cui si cercava sempre di scorgere una bandiera o uno striscione per capire se questa o quell’altra tifoseria avesse presenziato. Robe che oggi farebbero sorridere, considerato che un altro po’ vengono postate foto in trasferta ancor prima di appendere drappi e vessilli!

L’epopea calcistica ischitana, tuttavia, crolla e si svilisce nel 1998, quando al termine della stagione il sodalizio non si iscrive al campionato. Una società riparte dall’Eccellenza con il nome di Comprensorio Calcistico Isola d’Ischia – acquisendo il titolo del Forio -, mentre un’altra con nome Ischia si iscrive al campionato di Seconda Categoria, ritirandosi però a torneo in corso. Entrambe le “esperienze” non vengono però riconosciute e seguite dalla tifoseria. Nell’estate 2000 vede la luce l’AC Ischia, che ripartendo dall’Eccellenza con un progetto solido trova il favore dei propri tifosi. Il club tornerà alla vecchia denominazione di AS Ischia Isolaverde solo nel 2007, un anno dopo il ritorno in Serie D. Nel 2013 i gialloblù ritrovano anche il professionismo, vincendo il campionato e conquistando la Lega Pro, dove militeranno fino al 2016, anno in cui arriverà un altro fallimento, costringendo l’intera comunità sportiva a ripartire dalla Prima Categoria, con un titolo acquistato dalla tifoseria e sotto al nome di Rinascita Ischia. La presidenza viene affidata a Giuseppe Taglialatela, che nel 2018 viene sostituito dall’armatore ischitano Emanuele D’Abundo.

Il resto è storia recente, con l’ennesima risalita culminata lo scorso anno con la promozione in Serie D e il ritorno di fiamma di un pubblico che, nella sua forma ultras, non ha mai abbandonato i propri colori, ma che da quest’anno è tornato in pompa magna al Mazzella, portando ottimi numeri e contraddistinguendosi per il calore attorno alla squadra. Il club è partito con il dichiarato obiettivo della salvezza, benché dopo le prime giornate in sordina abbia realizzato un’ottima serie di risultati, tanto da chiudere l’anno solare al terzo posto in classifica. Un ruolino di marcia che ha strappato ovviamente applausi ed elogi, facendo ben sperare per il girone di ritorno e suggellando la fiammata d’entusiasmo che sembra aver nuovamente pervaso buona parte dell’isola.

Piccola curiosità legata a colori e simbolo: il giallo e il blu sono stato adottati solo sul finire degli anni cinquanta, in onore al Boca Juniors. All’inizio di questo decennio, infatti, a causa delle ristrettezze economiche, furono utilizzate maglie neroazzurre donate dal giocatore dell’Inter Aldo Campatelli, amante e frequentatore dell’isola. Lo stemma sociale, invece, raffigura la forma stilizzata dell’isola (con tre cuspidi), adornato dal motto comunale Ischia Fidelitatis Aeternae, che però negli anni è stato soppiantato dalle varie denominazioni societarie.

Quanto è difficile ma quanto è appassionante essere ultras di una squadra come l’Ischia? Difficile rispondere da esterno, ma sicuramente indicativo vedere all’opera i ragazzi che oggi si adoperano dietro gli striscioni, portando sulle proprie spalle quarant’anni di movimento ultras isolano, una pagina di storia del panorama “minore” che di certo merita di esser vissuto e approfondito. La loro presenza si tasta con mano già una volta arrivati al porto, dove diversi adesivi sono vistosamente attaccati a insegne e pali, quasi a voler dare il benvenuto. Quando si parla di gruppi ischitani il primo nome che viene in mente è quello degli Yellow Blue Lions, nati nel 1983 dalla fusione di Commando Ultrà e Vecchia Guardia. Gli YBL. qualche anno dopo, verranno affiancati dai Fedayn. Un binomio che caratterizzerà il tifo organizzato per tutti gli anni ottanta. A inizio dei ’90 i Fedayn si trasformano in Teste Matte mentre con il trasloco dal Rispoli al Mazzella nascono altri due gruppi, i Viking e gli Irriducibili. Questo assetto di curva si trascina fino al 1998, anno del primo fallimento. Dopo lo stop dovuto alla mancanza di un sodalizio riconosciuto, con la ripartenza a inizio anni duemila, da una costola degli YBL nel 2004 nascono i Guardians e successivamente gli Ultras Liberi. Un “terzetto” cui nel 2010 si aggiungono gli Ischitani, per dar manforte al sostegno più caloroso. Dopo il fallimento del 2015 e conseguentemente alla ripartenza dalla Prima Categoria, sono invece gli YBL e gli Ultras Liberi a seguire costantemente la squadra, mentre dalla fine dello scorso anno prende forma il progetto Anni ’90, un modo per racchiudere in uno striscione un po’ tutte le sigle che hanno caratterizzato la stagione del tifo presente sull’isola in quel decennio. Contestualmente prende vita anche il movimento Gente di Mare, uno striscione partorito con la volontà di unire in maniera intergenerazionale tutto il tifo dell’Ischia e dare compattezza all’ambiente in vista del ritorno in Serie D.

Una storia, dunque, variegata e ben definita, unica probabilmente per quanto riguarda le isole minori italiane. Del resto anche dal punto di vista sportivo Ischia può vantarsi di essere l’unica isola (al di fuori di Sardegna e Sicilia, chiaramente) ad aver disputato campionati professionistici (ben 17). Camminando per le sue strade di tanto in tanto di scorgono anche sciarpette gialloblù, mentre con l’incedere del tempo cominciamo ad avvicinarci al porto, dove poco dopo mezzogiorno i tifosi della Nocerina arriveranno a bordo del loro traghetto. Un ingente schieramento di forze dell’ordine è disposto sul molo, con due bus EAV pronti a trasportare i supporter rossoneri allo stadio. Quando la nave arriva i nocerini inscenano un piccolo corteo, ricordando a tutti la loro arcinota rivalità con Salerno e facendo presente che la loro presenza è solo ed esclusivamente per onorare la curva e la maglia. Del resto, quando si parla di “destino crudele” in ambito pallonaro, non si può non pensare a loro, impelagati ormai da diversi anni in Serie D, tra società di giullari, fallimenti e annate a dir poco anonime. Eppure non solo ci sono sempre, ma restano una delle piazze più toste e ruvide di tutto il Sud Italia. Come sempre il comportamento di alcuni funzionari è a dir poco opinabile: qualche ragazzo con la sciarpa rossonera al collo si avvia liberamente verso le strade del centro cittadino, venendo bloccato dalle forze dell’ordine, che gli chiedono dove pensi di andare. “Mancano due ore alla partita, voglio andarmi a fare un giro. Sarò libero?” risponde, giustamente, il ragazzo. Trovando dapprima l’opposizione del suddetto, che alla fine è costretto a lasciarlo andare. Del resto, mi viene da dire, parliamo di cittadini prima ancora che tifosi, sarebbe alquanto macabro incorrere nel solito sequestro di persona con la scusa dell’ordine pubblico!

Ora possiamo avviarci verso lo stadio, facendo una prima tappa nei pressi della sede degli ultras ischitani. Un bel mix di giovani e vecchi staziona all’ingresso, cominciando a scaldare i motori per il tifo e dimostrando come – malgrado la giornata infrasettimanale – ci sia voglia ben figurare al cospetto dell’avversario blasonato. Personalmente provo sempre una bella sensazione nel vedere aggregazione attorno a un luogo deputato a scandire i tempi della militanza ultras, sarà la poca abitudine nel pensare alla longevità di spazi sociali. O semplicemente il fascino che su di me esercitano murales e foto d’annata. Quando lo stuolo di motorini armati di bandiere e striscioni parte alla volta dello stadio, anche noi possiamo avviarci. Il Mazzella si trova a poca distanza dal centro abitato, in un’area prescelta per la sua costruzione dall’omonimo ex sindaco Vincenzo Mazzella, che qua volle regalare alla propria comunità uno stadio in grado di contenere il pubblico, cresciuto numericamente con la scalata del club in Serie C1 e non più adatto al più minuto stadio Rispoli (oggi utilizzato come centro d’allenamento). Lo stadio, devo dire, non mi dispiace per niente: scalfito dai segni del tempo ma ben tenuto e con due tribune che offrono una capienza di 5.332 spettatori. Peraltro, sottolineo, entrarvi è davvero facile: per una volta non troviamo inservienti isterici o gente che pretende anche le analisi del sangue, oltre all’accredito. Tutti sorridono e ci aprono le porte. Anzi, talmente siamo liberi di muoverci che optiamo innanzitutto per un giro sugli spalti dove, a breve, prenderà forma il tifo ischitano.

Dopo aver percorso il corridoio in cui sono esposte alcune foto iconiche della storia calcistica locale, siamo finalmente a ridosso del manto verde. Più precisamente sulla pista d’atletica. Nel settore ospiti stanno facendo il loro ingresso i nocerini, i quali fanno subito intendere alla squadra che nessun altro passo falso sarà tollerato. Più lento e alla spicciolata l’afflusso gialloblù. Del resto, ripeto, si tratta di un giorno lavorativo e, comunque, si capisca l’ironia, la gente isolana ha i suoi beati tempi e della frenesia di noi comuni mortali sembra fregarsene altamente. Una virtù che a più riprese oggi mi troverò a invidiargli, certamente un viatico per vivere meglio. Spesso sottolineo il contrasto cromatico che caratterizza la sfida tra due squadre e due tifoserie, quello di oggi è ottimo dal mio punto di vista giallo e blu ben si scontrano con rosso e nero. Aspetto che mi invita a scattare e realizzare video, i quali – va detto – saranno anche indotti dalle rispettive prove di tifo. Ma andiamo con ordine.

Quando le due squadre fanno il loro ingresso in campo la tribuna di casa si è magicamente popolata da qualche minuto. Alla fine, considerata anche la gente che entrerà a gara in corso, si conteranno circa 1.500 spettatori, numeri davvero notevoli. Mentre da Nocera i presenti saranno tra i 150 e i 200. E pure qua, nulla da dire, considerata la penuria di risultati e ambizioni attuali. Cominciano subito forte i padroni di casa, che ben orchestrati da un paio di lanciacori che sembrano saperla lunga, cantano senza sosta per tutti i novanta minuti, sventolando incessantemente i propri bandieroni e offrendo davvero un bello spettacolo dal punto di vista canoro e del movimento. Forse una leggera flessione si registra nella ripresa. Ma non siamo robot instancabili e insensibili alla partita come i polacchi, quindi direi che la cosa è più che fisiologica. Come accennato in precedenza, resto positivamente colpito dalla bella commistione tra vecchi e giovani. Se è vero che in un’isola forse può risultare più facile concentrare il fattore aggregativo attorno a un gruppo e alla squadra, è anche vero che ci troviamo sempre a pochi chilometri da Napoli e che l’Ischia viene da anni di anonimato e fallimenti. Inoltre lo striscione posizionato in alto e recante la scritta Barano, conferma quanto già scritto: i gialloblù sono un patrimonio per tutti gli isolani e il coro ripetuto a più riprese “Noi siamo l’Isola d’Ischia” la dice lunga sull’orgoglio di questi ragazzi. Nota di merito per la fattura dello striscione Gente di Mare e per buona parte del materiale, realizzato a mano e non proveniente da qualche stamperia. Cosa che apprezzo sempre e che credo oggigiorno, più che in passato, faccia la differenza perché in grado di denotare fantasia e dedizione verso la propria militanza. Oltre che voglia di dar ancora più valore ai propri drappi e alla loro anima.

Sicuramente interessanti, per l’osservatorio esterno e neutrale come il sottoscritto, le diverse frecciatine che si scambiano per tutto il match le tifoserie. Tema del giorno: i corallini. Gemellati con i molossi e rivali storici con gli ischitani, vengono a più riprese chiamati in causa dalle due fazioni. In tema di rivalità e amicizie, peraltro, mi torna in mete lo storico legame – ormai rotto – tra gli YBL e i ragazzi di Perugia, ma anche le tutt’altro che “morbide” rivalità con Savoia ed Ercolanese. A quest’ultima ho legato ricordi alquanto nitidi di un match giocato al Solaro a metà anni duemila: un piovosa giornata caratterizzata da prolungati incidenti, con la celere totalmente incapace di gestire l’evento (vabbè, sai che novità!) e il lancio di oggetti e pietre che a un certo punto sembrava non voler mai cessare. È passata un’era geologica, ma ancora oggi identifico quella partita come la vera e propria anima di certi stadi campani di una volta.

Sui nocerini, in realtà, ci sarebbe ben poco da dire rispetto alle classiche, positive, considerazioni nei loro confronti. Una piazza letteralmente svilita e umiliata da anni, che tuttavia non molla un centimetro e ha sempre il pregio di rigenerarsi dopo ogni folata repressiva. Il loro tifo è solo ed esclusivamente per “l’idea” Nocerina. Per i suoi colori, per la sua tradizione, per il suo blasone. Il coro “Se non vincete vi massacriamo” con cui aprono le danze, ha ben poco da lasciar intendere, mentre durante la partita si mettono in mostra con tante manate, cori a rispondere, un bandierone sventolato per quasi tutto il match e qualche torcia accesa di tanto in tanto. L’andamento del match è ben aderente all’attuale periodo dei rossoneri, i quali si portano in vantaggio venendo immediatamente raggiunti prima dell’intervallo. L’1-1, che sarà il risultato finale, ovviamente può far contenti i padroni di casa, non di certo il contingente ospite, che partito con grandi ambizioni si ritrova a veleggiare nelle zone medio/basse di un girone oggettivamente poco competitivo, stracolmo di squadre senza storia e senza seguito. Qualcuna anche senza stadio!

Dopo il triplice fischio ecco consumarsi l’ultimo atto di questo pomeriggio del Mazzella. I gialloblù si portano tutti sotto al settore, per ricevere gli applausi e per scambiarsi idealmente gli auguri di buone feste con i propri tifosi, prima della pausa di fine anno. Staff e calciatori seguono gli ultras, ritmati dal tamburo e apparentemente felici per il cammino sin qui fatto. Soddisfazione che ovviamente pervade anche tutti i presenti: le annatacce sui campi sperduti della regione o dell’isola sembrano lontane e finalmente Ischia può tornare alla propria dimensione, magari sognando in grande dopo aver messo le basi di una stabilità necessaria a fare calcio in modo sano e continuo. Per noi sono le ultime foto e gli ultimi video da realizzare, prima di riporre tutta l’attrezzatura e cominciare recarci verso le uscite, in attesa che le autorità aprano i cancelli (rimasti chiusi per far defluire subito i tifosi ospiti).

Al ritorno ci aspetta il traghetto, con la notte che ormai è calata sulle Isole Flegree e sul Golfo di Napoli. Ci imbarchiamo trafelati, bypassando il rischio di rimanere a terra grazie a qualche minuto di ritardo sulla partenza. Con noi il manipoli di tifosi rossoneri, che tra una birretta e una chiacchiera insoddisfatta passa l’ora e mezza scarsa di viaggio. Mi addormento anche io, a dir poco stremato da una giornata iniziata ben prima che il sole sorgesse. A differenza dell’andata, stavolta la nave arriva a Calata Porta di Massa, non distante da Molo Beverello e, fortunatamente, ugualmente agevole per raggiungere la stazione e salire sul primo Intercity disponibile, in modo di essere a Roma in un orario decente. Stanchissimo, distrutto, ma davvero soddisfatto per la giornata vissuta e per le sensazioni incamerate. Mi riprometto di tornare a Ischia, anche solo nei panni di visitatore, per saggiarne appieno le virtù e le bellezze. Intanto questo “antipasto” mi ha permesso di togliermi finalmente una curiosità che da tempo rimbalzava nella mia mente. E di conoscere una buona parte di quella storia che si cela dietro alle casacche e dietro agli striscioni di un club e di una curva. E perché no, anche di confrontarmi con una realtà particolare, che nel suo modus vivendi era e resterà fieramente isolana. Dunque non assimilabile o paragonabile a nessuna delle tante realtà omologate che spesso mi ritrovo a vivere non senza qualche dubbio!

Testo Simone Meloni
Foto Simone Meloni e Davide Gallo