Il tempismo dovrebbe essere quasi scontato per chi segue un evento ed è chiamato poi a riportarne la cronaca. Se quella sportiva perde di valore già qualche istante dopo il fischio finale, in questi tempi anche quella del tifo, dell’ambiente e degli umori contrastanti rischia di incastonarsi nel passato remoto a distanza di qualche giorno. E io, con la mia lentezza, i miei tempi e le mie attese, non sono di certo conciliante con tutto ciò. Quindi mi scuso con i lettori se questo articolo non solo arriva in lauto ritardo, ma può risultare addirittura anacronistico, considerate le vicende che hanno riguardato la Serie B e l’imminente – almeno sembra – disputa del playout per non retrocedere tra Salernitana e Sampdoria. A fronte degli ultimi minuti del Menti, che avevano sancito la prima storica retrocessione in terza divisione dei blucerchiati. Proviamo allora a riavvolgere il nastro e parlare di una sfida – l’ultima della regular season – che ha regalato comunque importanti spunti e un ambiente carico, vista l’imminente partecipazione dei campani ai playoff promozione, per la prima volta nella loro storia.

Torno a Castellammare dopo quasi dieci anni e tante vicende che nel frattempo hanno riguardato il club e soprattutto la curva locale, protagonista in questa stagione delle note vicende che hanno portato a un vero e proprio stravolgimento della sua geografia e della sua leadership. La primavera è ampiamente inoltrata da queste parti, a tratti sembra quasi regalare spunti estivi, con il sole che illumina prepotentemente il golfo e una masnada di ragazzi che si avviano verso le spiagge. Anche se oggi non sembrano essere il primario centro dell’attenzione, visto che un paio d’ore prima del fischio d’inizio, gran parte delle stradine del centro storico sono intasate – oserei dire quasi impercorribili – perché prese d’assalto da macchine e motorini diretti allo stadio. Ci sarà tempo, dopo i novanta minuti, per riempire i locali aperti fino a notte fonda o inoltrarsi nelle strade che vanno verso la Costiera, che come ogni anno in questo periodo riprendono freneticamente vita, non conoscendo più i normali bioritmi del giorno e della notte.

Il piazzale dell’antistadio è tutto un brulicare di bandiere e sciarpe, con bancarelle e venditori di bibite indaffarati a soddisfare le decine di ragazzi vogliosi di portare sulle gradinate i colori della propria squadra. Come di “consueto” in quest’annata, per gli ospiti sono stati messi a disposizione soltanto trecento biglietti, in virtù della capienza ridotta del settore loro destinato. Un classico del calcio italiano, nel quale – paradossalmente – bisogna pure “ringraziare” lor signori che queste briciole vengano concesse, vista la tendenza nazionale nel vietare e non gestire a priori. Un trend ormai talmente consolidato e “ovvio” che sembra annunciare il sempre più serio tentativo, negli anni prossimi, di estirpare definitivamente il fenomeno dei tifosi in trasferta. In fondo il fedele specchio di un calcio alla deriva, non (volutamente) capace di gestire nemmeno gli aspetti più basici, totalmente disimpegnato verso qualsiasi forma costruttiva o, ancor più, volta al rinnovo e all’evoluzione: l’Italia, in poche parole!

Quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio mi avvio verso i cancelli, mettendomi in fila e avanzando velocemente. Devo dire che arrivato a questo punto della stagione divento alquanto intollerante verso certe figure che gravitano attorno allo stadio, su tutti gli steward. Di cui non solo non sopporto la stupida rigidità – che in realtà nasconde, anche nel loro caso, una totale incapacità – e l’inutilità nei momenti del bisogno (classica scena con gli omini fluorescenti: “Sai dov’è il posto X?”, risposta: “No, mi dispiace, chiedi a Y”. E ovviamente il luogo ricercato si trova proprio dietro di loro!), ma anche la loro recente trasformazione in delatori incalliti, pronti a rincorrere ragazzi con biglietti dal nominativo differente al loro o a segnalare alle autorità competenti qualche “guaglione” che prova a eludere i loro controlli. Mi spiace fare questo ragionamento che può sembrare tribale e insulso, ma davvero faccio fatica a capire come si possa a tutti i costi cavalcare questa onda della “confidenza” giustificandosi con un “mi hanno detto di fare così, eseguo gli ordini”. Una dignità che vale 30 Euro a partita…

Entro sulle gradinate e subito cerco di inquadrare la collocazione dei vari gruppi ultras gialloblù, non prima, però, di aver ammirato balconi e terrazze che soverchiano il Distinto e da cui – come di consueto – si affacciano compagnie di amici e famiglie, alcuni armati di bandiere, altri di fumogeni. Un aspetto pittoresco del Menti, che restituisce un’immagine più umana e folkloristica di uno spettacolo calcistico che sembra a tutti i costi voler istituzionalizzare e azzerare, o quasi, ogni forma di particolarismo e peculiarità attinente al senso di appartenenza. Ancora ricordo le corpose – quanto ridicole – polemiche relativa al vecchio stadio Matusa di Frosinone e al suo primo (e unico) anno di Serie A, quando molti erano soliti salire sui palazzi adiacenti per assistere alle partite. Polemiche figlie del nulla, se non di quella mentalità bacchettona e ipocrita su cui, purtroppo, il nostro Paese basa gran parte della propria esistenza. Sta di fatto che poco prima dell’ingresso delle due squadre, c’è persino chi si concede una romantica cenetta sul suo balcone, vista manto verde!

Alla mia sinistra prendono posto i trecento tifosi blucerchiati, dietro le loro consuete pezze. Il contingente doriano sa bene che questa può essere una serata storica (nella sua drammaticità) e come di consueto ha radunato spirito e fede per non farsi trovare impreparato e sostenere fino all’ultimo respiro i propri colori. In uno dei periodi più bui e difficili da quando il club è stato fondato, gli ultras genovesi dimostrano per l’ennesima volta tutto il loro attaccamento e il loro valore, approfittando, peraltro, di una delle poche trasferte loro concesse. Per acquistare i tagliandi, infatti, non è stata richiesta la tessera del tifoso. Un evento talmente raro che per l’occasione hanno viaggiato ben due volte in direzione Castellammare (sic!). Ricordo, infatti, che questo è in realtà il recupero della giornata rinviata, all’ultimo momento, per la morte di Papa Francesco, in una delle tante pagine surreali e tragicomiche scritte da chi governa il nostro sport nazionale! Ma davvero, non voglio risultare pedante, quindi evito di inerpicarmi troppo in un’altra polemica (“tra me stesso e il sottoscritto”, citando un noto radiocronista vicentino) che avrebbe solo il fine di evidenziare la vomitevole falsità di istituzioni che si fermano per rispetto di una figura importante ma non da tutti condivisa, sputando sopra al ricordo di morti sul lavoro o, peggio ancora, ragazzi morti andando in trasferta per seguire il loro “prodotto”. Omissis, meglio così!

In Curva Sud spiccano le “nuove” pezze che da qualche settimana rappresentano il tifo organizzato campano, mentre nella parte bassa della tribuna coperta si posiziona il manipolo di ultras che si riconosce dietro l’insegna Castle by The Sea. Come fatto cenno a inizio dell’articolo, manco dal Menti da quasi dieci anni, quindi non posso giudicare con totale lucidità quelli che sono stati i passaggi degli ultimi tempi. Tuttavia, volendo far fede a ciò che si è saputo e agli avvicendamenti che si possono vedere in modo ineluttabile, emerge certamente una svolta degli ultras curvaioli verso una maggiore “radicalizzazione” e purezza, un po’ volendo rompere nettamente col recente passato, un po’ per tornare alle origini di quelli che sono stati i migliori fasti della tifoseria tirrenica, dove taluni tasselli (la non sottoscrizione della tessera del tifoso, l’evitare rapporti “poco lucidi” e in generale il riportare una militanza totalmente ultras) vengono messi al centro del progetto. Da un punto di vista prettamente visivo e qualitativo, l’effetto della Sud è molto buono: una bella fumogenata/torciata iniziale colora il settore alla vecchia maniera, mentre per tutta la partita il tifo si manterrà su ottimi livelli, conoscendo diversi picchi che coinvolgono buona parte dello stadio. Da segnalare la presenza dei gemellati parigini e dei tedeschi dello Zwickau.

In campo le due squadre si fronteggiano su buoni ritmi, con la Samp che mostra a tutti il perché si trovi impelagata in zona retrocessione: malgrado una gara da dover condurre, infatti, i blucerchiati annaspano e sprecano le poche occasioni create in modo clamoroso. Il settore ospiti sembra non curarsene (in realtà basta guardare le facce per capire come con il passare dei minuti le speranze si infrangano) e continua a cantare e sventolare, non rispondendo nemmeno alle diverse provocazioni che arrivano prima dalla Sud e poi dal gruppo della tribuna. Quando il direttore di gara manda negli spogliatoi le due squadra, il Doria è ufficialmente in Serie C. Per la prima volta nella sua storia. E questo non può che produrre la rabbia dei tifosi presenti. C’è chi si dispera, ma c’è anche chi urla ogni tipo di improperio nei confronti dei “protagonisti”. Funzionari e celerini si schierano a ridosso del settore ospiti, onde evitare eventuali problemi, mentre lo stadio intero festeggia l’accesso ai playoff e irride i dirimpettai per la retrocessione. Come poi sia cambiata la classifica e quali siano stati e siano i risvolti postumi nel campionato cadetto è storia attuale, che non commenterò ma di cui ovviamente bisogna tener conto. Il mio unico intento, di contro, è quello di restituire le emozioni contrastanti vissute in questa serata, che rimarranno scolpite a prescindere da tutto.

Rimango ancora un po’ a guardare gli animi contrapposti, mentre lo stadio sfolla e – manco a dirlo – gli omini fosforescenti (i Power Rangers dei poveri, diciamocela tutta!) arrivano solerti a cacciarmi via, perché loro “devono chiudere”. Non senza mostrare il mio fastidio mi avvio verso le uscite, preparandomi con tutta calma a tornare verso casa, mentre nelle strade è tutto un susseguirsi di clacson e gente festante. Del resto il quinto posto raggiunto è il miglior posizionamento di sempre per la Juve Stabia in B e arrivare anche lontanamente a giocarsi un posto in massima divisione è giù di suo un traguardo. Totalmente speculare al naufragio blucerchiato, che segnerà comunque un’epoca, soprattutto per lo stoico manipolo presente questa sera. Vittime della malagestione e dei torbidi interessi di cui questo calcio è schiavo. E da cui difficilmente si libererà, essendo ormai entrato in un vortice dove chi fa peggio sembra avere tutte le caratteristiche per ricoprire i ruoli centrali e decisionali. Insomma, in un ristretto arco spazio-temporale, la rappresentazione fedele del nostro paese!

Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni, Pier Paolo Sacco e Imma Borrelli

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