Articolo chiaramente di parte granata, è anche deprimente fare questo cappello introduttivo, ma bisogna sempre mettere i puntini sulle “i” per non essere poi accusati di assurdità.
In ogni caso, imparando a leggere, al netto dei “faziosismi”, c’è sempre qualcosa di utile da ricavarci. Nella storia dello “Juventus Stadium”, per esempio, la morale è che non tutto quel che luccica è oro, men che meno gli stadi di proprietà in sé sono la panacea di tutti i mali.
Da un po’ di anni ai quartieri alti stanno portando avanti questa battaglia campale per questi stadi di proprietà, ma conoscendo i nostri e i vostri politici, secondo voi, quando mai e quanto gliene frega della collettività e di stadi a misura di famiglie o tifosi? Dietro c’è il solito giro, i soliti ingranaggi da oliare, i soliti porci da ingrassare.
Esuliamo dalle questioni specifiche, il discorso è molto più ampio che Juve o Toro, i tifosi dovrebbero capirlo e stare ben attenti a questi specchietti per le allodole che i politici vanno offrendo.

C’era una volta uno stadio, un bellissimo impianto avveniristico, con un’ottima visibilità, quasi sempre colmo di pubblicoad ogni partita, un vero e proprio fiore all’occhiello per la società che lo possedeva, reso ancor più significativo per il fatto che fosse il primo ed unico stadio di proprietà di una squadra di calcio di serie a. Il club e i suoi tifosi, andavano fieri di questo monumento al calcio, e prima di ogni partita ripetevano la folle caccia al biglietto per accaparrarsi uno dei 41.000 posti disponibili, nonostante i prezzi fossero tutt’altro che economici.

Sembrerebbe l’inizio di una storia a lieto fine, ed invece non è che la fine di una vicenda ancora oscura e torbida, che ha coinvolto svariati soggetti, durata più di vent’anni, e conclusa con un solo vincitore, ma tanti, forse troppi perdenti.

Tutto iniziò nel 1984, quando venne assegnata all’Italia, l’organizzazione dei mondiali di calcio del 1990, accolti tra il giubilo generale e soprattutto considerati l’occasione per rimordernare buona parte degli stadi, quasi tutti risalenti agli anni ’30. Occasione che seppe cogliere anche Torino, dove ai tempi, le due squadre, che militavano in serie A,  disputavano i loro incontri nel vecchio Stadio Comunale, considerato però già allora troppo vecchio per essere ristrutturato, e soprattutto non più a norma per i “severi” standard degli anni ’80. La decisione di costruire un nuovo stadio, venne accolta da tutti positivamente: dal comune, dal comitato organizzatore, dai cittadini e dalle due squadre torinesi che speravano che la nuova casa potesse essere più accogliente della vecchia e soprattutto che la maggior capienza di pubblico potesse portare maggiori introiti.

L’opera venne ultimata in meno di due anni con un costo complessivo che superò i 160 miliardi di lire, ed il maestoso “Stadio delle Alpi” fu così pronto ad accogliere le gare torinesi di Italia 90,  con il placet di personaggi illustri come l’Avvocato Gianni Agnelli, che disse della nuova opera “Il Delle Alpi è bellissimo. Non l’avevo mai visto prima, la visuale è davvero eccellente“, e dell’Avvocato Vittorio Chiusano che entusiasta si sbilanciò, affermando “La spettacolarità del Delle Alpi è sicura. La gente ha già dimostrato di voler bene a questo stadio. Basteranno poche partite per abituare i tifosi a frequentarlo, è uno stadio bellissimo.”

Si sa che però l’Italia è il paese in cui i pareri cambiano a seconda delle convenienze e ben presto, quella che sembrava un’opera d’arte, un tempio del calcio moderno, divenne ben presto una zavorra, uno stadio non adatto al calcio, uno scempio, dove l’unica cosa certa erano i costi che le società che lo occupavano dovevano sostenere per usufruirne, schiavi dell’accordo ventennale stipulato con la Pubbligest, subconcessionaria dello stadio, chevincolava i due club a giocare nell’impianto torinese le gare casalinghe di campionato e di coppa, lasciando alla concessionaria anche gli introiti dei parcheggi, della ristorazione e soprattutto della pubblicita’, che valeva circa quattro miliardi e che finiva tutta nelle casse della Pubbligest, alla quale quindi, spettava non soltanto il canone d’affitto, ma anche cio’ che arrivava dalla cartellonistica. L’accordo prevedeva che i due club non avrebbero potuto, per tutta la durata del contratto, disputare le proprie gare casalinghe, in altri impianti torinesi.

È utile precisare che il canone di locazione del Delle Alpi, che ammontava circa a 2 miliardi  di lire l’anno (furono per la precisione 10.400.000.000 in 5 anni dal 92/93 al 96/97), era comunque inferiore a quello che le milanesi spendevano già allora per lo stadio Meazza, e comunque in linea con un impianto che garantiva 70.000 spettatori, e che lo stesso Delle Alpi, permise ai bianconeri di realizzare dal 92 al 98 più di 212 mila abbonati, che andavano da soli a coprire ampliamente i costi di affitto della struttura:

– Stagione 92/93: 33.227 abbonati

– Stagione 93/94: 33.122 abbonati

– Stagione 94/95: 33.618 abbonati

– Stagione 95/96: 28.178 abbonati

– Stagione 96/97: 40.338 abbonati

– Stagione 97/98: 43.533 abbonati

(Fonte Adnkronos )

Ma alla vecchia signora questo non bastava, perchè, i mancati introiti dei diritti pubblicitari dello stadio, si configuravano come macigni che, conti alla mano, le fecero render conto dell’importanza di possedere uno stadio tutto proprio, che purtroppo, non avrebbe potuto costruire, se non lontano da Torino.

Fu da allora che partì la crociata contro lo Stadio delle Alpi, definito uno scempio, un stadio mangiasoldi, uno tra i più brutti e inadatti al calcio, con un costo esorbitante per la comunità, con le ripetute minacce di abbandonarlo, verso altri impianti decisamente meno cari come lo stadio di BolognaPalermo e Milano dove la Juve per forzare un po’ la mano, andò a giocare partite di coppa Italia e di coppa UEFA. Ma si sa, che alla fine “chi disprezza compera…” e mentre agli occhi dell’Italia i bianconeri sembravano schifare il nuovo impianto torinese, in realtà esercitavano forti pressioni sulle autorità cittadine, col finto ricatto e la minaccia di andarsene da Torino, (situazione che sarebbe stata  drammatica per il comune, che avrebbe perso il 50% degli introiti, che servivano per la maggiore a coprire i costi gestione), attraverso il quale ottennero da subito la gestione della pubblicità dello stadio, senza per questo doversi sobbarcare i costi di manutenzione dello stesso, lasciati al comune che, incredibilmente, accettò dopo le varie riunioni tra Moggi, Bettega, Giraudo e il sindaco Valentino Castellani.

Ma l’obiettivo dei bianconeri era un altro, ovvero l’acquisizione dell’intero stadio e delle aeree circostanti, perché se era vero che la Juve non avrebbe potuto giocare le gare casalinghe in un altro stadio, anche di proprietà, nel torinese, era altresì vero che l’unico modo per bypassare questo vincolo, era quello di comprarsi l’intera baracca. I contatti tra la triade bianconera e il sindaco Castellani erano in quel periodo all’ordine del giorno, e si arrivò dopo tanto discutere all’accordo tanto desiderato dalla Juve, ovvero la concessione dell’area del Delle Alpi, stadio ed aree commerciali comprese per 99 anni. Restava soltanto da sciogliere il nodo del prezzo, ostacolo non facile da valicare visto che il comune per il solo stadio aveva speso 160 miliardi pochi anni prima, e non poteva di certo svendere l’area così come la Juventus chiedeva; vuoi perché la perdita in termini economici sarebbe stata troppo elevata, vuoi perché il comune deve comunque rendere conto ai propri cittadini e all’opposizione delle decisioni prese e sotto una certa cifra non sarebbe stato possibile scendere. Serviva qualcosa per sbloccare questa situazione di stallo, e quel qualcosa fu l’assegnazione a Torino delle Olimpiadi Invernali del 2006 nel giugno del 1999.

Il terzo protagonista della nostra storia, il Torino calcio, in quegli anni viveva un periodo di crisi, dal quale ancora oggi fa fatica a rialzarsi. Dopo i fasti della finale di coppa UEFA, e la coppa Italia vinta nel 1993, i granata non si ritrovarono più, coi successori del presidente Borsano che non fecero che peggiorare progressivamente la situazione. GoveaniCalleri e Vidulich coi genovesi, che riuscirono a riportare il Torino in serie B, indebolendolo progressivamente, con l’ultimo che dimostrava in ogni istante della sua presidenza di essere inadatto a tale caricadistruggendo il Toro sia economicamente che dal punto di vista sportivo.

Su richiesta dell’allora AD Fiat Paolo Cantarella (noto tifoso granata), casualmente proprio nel 2000, un’ anno dopo l’assegnazione dei giochi olimpici a Torino, Francesco Cimminelli, imprenditore torinese e proprietario della Ergom S.p.A., comprò il Torino dai genovesi ormai alla frutta, diventando azionista di maggioranza del club e chiamando alla presidenza Attilio Romero, ex portavoce di Agnelli.

In questo modo la Fiat indirettamente, riuscì a controllare entrambe le squadre della città, perché se è vero che Cimminelli era imprenditore autonomo, era altresì vero che lo stesso era un fornitore che lavorava direttamente nell’indotto e pertanto completamente soggiogato alle decisioni del suo maggiore committente. E le cose casualmente per Cimminelli, dopo questo passo, migliorarono notevolmente, infatti la Fiat avallò  allo stesso i pagamenti delle fatture a 30 giorni, contro i 90/120 degli altri, finanziamenti fino a 500 miliardi di vecchie lire, la costruzione di due stabilimenti nel Sud ai quali provvide, tra le altre cose, ad assicurare la produzione quando altrove si scioperava.

Sicuramente questo sarà stato un caso, ma quel che accadde di li a poco, farà riflettere sul significato di questi movimenti, e sulla  controversa figura di un azionista di maggioranza del Torino completamente alle dipendenze Fiat, dicharatamente tifoso bianconero, che nulla fece in quegli anni per farsi amare dalla tifoseria, arrivando a deridere i suoi stessi sostenitori che ogni anno si recavano a Superga il 4 maggio. E comunque quello che apparve subito chiaro a tutti al 100%, sicuro ed insindacabile fu che il fatturato dell’azienda del proprietario del Toro dipendeva dalle commesse del proprietario della Juve.

Tornando alla questione stadi, come detto l’assegnazione dei giochi Olimpici Invernali, sbloccò la situazione di stallo che si era creata tra il comune e la Juve, con loStadio Comunale che, dopo aver precedentemente attraversato una fase in cui se n’era prospettato l’abbattimento, e giá nel 1990 veniva considerato un impianto vecchio ed obsoleto e soprattutto non piu ristrutturabile, diventò d’improvviso un monumento d’importanza tale da non poterne modificare né la prospettiva, né abbassare il terreno di gioco, ma da rimodernare a tutti i costi per farlo divenire lo stadio che avrebbe ospitato le cerimonie di apertura e chiusura dei giochi.

Il costo del ripristino del vecchio Comunale venne stimato in 30 milioni di euro, e per sbloccare lo stallo degli stadi a Torino, il presidente Cimminelli, firmò nel 2003, un patto scellerato con il comune e con la Juventus, di impegno alla ristrutturazione dello stadio stesso in cambio del quale ne avrebbe avuto la concessione per 99 anni. Di contro, per EQUITÀ’ il comune concedeva alla Juve i diritti di superficie su tutta l’area del Delle Alpi, stadio, parcheggi ed aree commerciali incluse a fronte di 25 milioni di Euro(pagabili 7 subito e i restanti 18 in 9 rate annuali di 2 milioni cadauna), per circa 60.000 metri quadri (meno di 5 euro al mq), per 99 anni.  A margine dell’accordo venne incluso che se il Torino Calcio, non fosse riuscito a terminare i lavori entro l’inizio dei giochi Olimpici i diritti di superficie e lo stadio sarebbero tornati al comune che ne avrebbe terminato a proprie spese i lavori, essendone nuovamente proprietario. Venne altresì concesso alla Juventus di giocare e poter affittare fin da subito lo Stadio Delle Alpi al Torino, fino al 2006 stabilendo un canone di 1,5 milioni di euro l’anno.

 

Ricapitolando, in nome dell’equitá e delle pari opportunità, il comune concesse:

 

• Alla Juventus per 25 milioni di euro:

– diritti di superficie per 99 di un’area di circa 60 mila metri

– Stadio delle Alpi costruito 13 anni prima e ancora in uso da entrambe le compagini

– Aree commerciali e di parcheggio con concessioni edilizie comprese nei 60 mila mq. che la Juventus rivendette poco dopo in parte alla Conad per la costruzione di quella che oggi è l’Area 12 ricavandone ben 20 milioni di euro.

 

• Al Torino, per 2,5 milioni di euro:

– i diritti di superficie per 99 anni dell’area dello stadio comunale, con l’obbligo di ristrutturazione dello stesso in due anni (costo previsto 30 milioni)

– di poter accedere alla locazione dello stadio delle Alpi fino al 2006 per 1,5 milioni l’anno

 

Sempre in nome dell’equitá il Torino avrebbe pagato tra ristrutturazione, concessioni e affitti 38 milioni di euro per uno stadio costruito nel 1933, inutilizzabile, con vincoli architettonici che ne impedivano le modifiche esterne e soprattuto senza alcuna area commerciale, vera e propria fonte di guadagno per la società, mentre la Juventus per 25 milioni acquistava i diritti su un area con uno stadio quasi nuovo e zone commerciali e di parcheggio dalle quali ricavò fin da subito 20 milioni che se aggiunti ai canoni che il Torino pagò dal 2004 al 2006 per l’affitto dello stadio fanno 24,5 milioni di euro, coprendo quasi interamente l’investimento fatto!

Il comune in fondo avrebbe anche potuto giustificare questa operazione, perché prima dell’accordo si trovava nella situazione di dover ristrutturare comunque  il comunale, dovendo spendere di tasca propria 30 milioni. Ma, concedendo alla Juve, uno stadio, il Delle Alpi, pagato dalla collettività 80 milioni solo 13 anni prima, per soli 25 milioni, avrebbe comunque risparmiato i denari per ristrutturare il comunale, che se aggiunti ai 25 incassati dalla Juve, facevano 60 milioni, a cui si sarebbero andati ad aggiungere i ricavi per l’urbanizzazione delle aree commerciali e soprattutto tirandosi fuori dalla grana stadi e dalla situazione di scacco in cui era tenuto dagli stessi bianconeri.

Viene da chiedersi a questo punto, cosa spinse Cimminelli ad accettare un accordo che rappresentò la sua morte finanziaria ed imprenditoriale, infatti il Torino Calcio, fallì proprio a causa dei debiti maturati per la ristrutturazione del Comunale. La risposta credo di averla già data qualche capoverso più in alto, perché in fondo era la Juventus a dover fare l’affare, e serviva dall’altra parte un presidente che non si mettesse di traverso, pur avendone tutti i diritti, ma che accettasse passivamente tutte le decisioni prese dai suoi superiori, perché se così non fosse stato, nessun imprenditore sano di mente avrebbe potuto accettare la situazione come sopra descritta.

Viene anche da chiedersi se anche il Toro potesse fare un’offerta per il Delle Alpi. La risposta è tecnicamente affermativa. A livello pratico, però, da una parte c’era la Fiat (Juve), dall’altra c’era una piccola e debole società di calcio presieduta da un ex dirigente Fiat e posseduta dal proprietario della Ergom, media impresa che viveva di commesse Fiat. Come poteva finire in questo modo?

Da un punto di vista tecnico è tutto tecnicamente inappuntabile, ma non stiamocela a raccontare sulla parità di trattamento. Due stadi per due squadre non è per forza sinonimo di parità di trattamento, è una visione semplicistica che può fare anche comodo ma non è così!

Tornando alla vicenda, il Torino Calcio, cominciò subito la ristrutturazione dello stadio, perché il 2006 era vicino e per l’operazione, chiese 36 milioni di finanziamenti al Credito Sportivo.

Del primo finanziamento di 22 milioni (per i quali Cimminelli ha dato in garanzia beni suoi personali per la stessa cifra), il Credito sportivo ne ha pagò 15 (regolarmente messi a bilacio dal Toro), che avviò le procedure dei per i successivi 14 milioni del secondo finanziamento allorchè il Presidente del Venezia Gallo comparve per truffare il patron granata  con la storia delle false fideiussioni, rovinando finanziariamente lui e il Torino AC, causandone il fallimento. La proprietà dello stadio, tornò quindi al comune di Torino, che dovette provvedere al termine della ristrutturazione, dovendo pagare i restanti 14 milioni che mancavano per terminare l’opera, in quanto tutto quello che era stato fatto e commissionato dal Torino AC,  o venne pagato prima del fallimento, o i debiti venneroiscritti al passivo del fallimento stesso, per cui sui lavori antecedenti il crack finanziario dei granata il comune non tirò fuori un euro. L’immagine sottostante,  che risale all’aprile del 95 dimostra che i lavori di ristrutturazione (fin li tutti pagati dal Torino Calcio) erano in corso di svoglimento.

Qualcuno potrebbe obiettare che non ottemperando ai propri impegni, il Torino abbia causato una spesa non prevista, ad un comune già indebitato, come quello di Torino, ma se consideriamo che senza “l’affaire stadi“, il comune avrebbe dovuto comunque ristrutturare il comunale per le cerimonie ufficiali delle Olimpiadi, possiamo tranquillamente affermare che sono stati risparmiati dal comune stesso 20 milioni di euro, pagati dal Torino Calcio.

Il resto è storia recente, con la Juventus che a fronte di un costo di 105.000.000 euro, utilizzando buona parte delle strutture esistenti dalla demolizione chirurgica del Delle Alpi, si è regalata a spese del fallimento del Torino e del comune un bellissimo stadio, sempre pieno, con delle bellissime coreografie… Un sogno però realizzatosi con tante, troppe lacrime altrui.

[Fonte: Faziosi.it]