IMG_2670Quando si accostano due concetti antitetici come la morte e lo sport, massima espressione di divertimento ed euforia collettiva, bisogna rapportarsi in punta di penna al fine di non incappare in banalismi e ancor peggio in semplicismi virtuosi tendenti a sminuire un argomento di tale portata. È in questo modo mio caro lettore, che ho deciso di approcciarmi all’incombente Kitalar Arasi Derbi di Istanbul, il “Derby Intercontinentale” per chi non mastica turco o storia calcistica, la sfida fra due continenti rappresentati rispettivamente dal Galatasaray e dagli acerrimi rivali del Fenerbahçe. Spero di esserci riuscito.

L’Europa contro l’Asia, l’Occidente contro l’Oriente, la borghesia contro la classe popolare, Erdogan contro Ataturk, al secolo Mustafa Kemal – il fondatore della Repubblica. Ma soprattutto: gli UltrAslan contro i KFY (Kill For You, credo non serva traduzione). 

Questo, e tanto tanto altro, era è e sarà il derby tra giallorossi e canarini, nonostante la divisione prettamente geografica si sia notevolmente affievolita nel corso degli ultimi decenni, a causa dell’effervescente modernizzazione dell’allora Bisanzio. Ma la partita in programma domenica 20 marzo alla Türk Telecom Arena avrà un significato particolare, alla luce dei recenti e drammatici eventi che hanno colpito il cuore pulsante dello Stato: Ankara. Sì, è vero, molti si sono dimenticati di rispolverare l’animo “Je Suis Charlie” in quei giorni. Eppure nella lontana capitale turca – così come avvenuto in Costa d’Avorio – il terrore – lui sì mostro a più teste –  ha colpito ancora, generando morte e disperazione e lacrime e una solidarietà nazionale che renderà questa sfida, probabilmente, un qualcosa di irripetibile. Ma andiamo con ordine. 

IMG_2668Nati gli uni nel 1905 nel quartiere filo-europeo di Galata, gli altri due anni più tardi nella zona asiatica, il primo incontro fra le due compagini è datato 17 gennaio del 1909.  Il campanilismo però, almeno inizialmente, fu indirizzato verso l’egemonia dei club di origine greca, tanto che nel 1912 le due società pensarono addirittura ad una fusione per dar vita alla “squadra dei turchi”, la Turk Kulubu. Immaginatevi oggi, dopo aver assistito anche soltanto attraverso uno schermo televisivo ad un Derby Intercontinentale, quanto siano cambiate le concezioni reciproche tra le due tifoserie. Nel bene o nel male. Come un fulmine a ciel sereno, nel febbraio del 1934 una scintilla illuminò lo Stadio Taksim, primo impianto cittadino ove oggigiorno sorge il Gezi Park. Il nervosismo in campo sfociò ben presto in una violenta rissa sul terreno di gioco e sugli spalti, che aprì le danze ad un lungo valzer durato più di ottant’anni, che ha reso il Kitalar Arasi Derbi uno degli eventi più infuocati del panorama mondiale. 

Il popolo turco ha un forte senso dell’onore e d’identità nazionale, con un fanatismo calcistico difficilmente rintracciabile in altre realtà e una diffusa cultura dell’uso del coltello. Ingredienti di una portata per molti indigesta, ma che, se presa con un punto di vista totalizzante e mettendo nel cassetto il bieco “radical chicchismo”, ha contribuito alla diffusione planetaria di una sfida per molti imperdibile e, vi dirò di più, addirittura invidiata. Perché come ogni cosa presente su questa Terra, anche il derby di Istanbul ha il suo fascino ed un suo lato oscuro, concetti che per molti invero combaciano.

E allora come non ricordare la celebre finale di Coppa di Turchia del 1996, vinta dai giallorossi allenati dallo scozzese Graeme James Souness, il quale a fine partita decise di piantare la bandiera del Galatasaray al centro del terreno di gioco per rispondere beffardamente all’insulto del presidente avversario, reo di averlo etichettato come un “handicappato” (Souness era stato operato pochi anni prima al cuore). “E cosa c’è di così strano?”, penseranno in molti. Beh, la risposta è semplice: quel campo non era un campo qualunque, ma lo Stadio Sukru Saraçoglu. La dimora del Fenerbahçe. Immaginate da soli la reazione del pubblico presente, chiudete gli occhi e potrete vedere il tecnico scozzese scortato dalla Polizia schierata a testuggine – a mo’ di una legione romana – per salvargli la vita. Letteralmente. 

La reazione non tardò ad arrivare. Perché la vendetta sarà pure un piatto da servire freddo, ma la pazienza in certe occasioni è una virtù inarrivabile. Protagonista un certo “Rambo” Okan, una figura pittoresca che sembrava essere uscita da un film di Tarantino con annessa musica di sottofondo del maestro Morricone. Al secolo Okan Guler, il tifoso del Fenerbahce è diventato una stella assoluta agli occhi di milioni di tifosi invadendo il campo durante il riscaldamento e, armato di coltello, piantando la bandiera gialloblù, difendendola dall’assalto di decine di poliziotti accorsi per evitare una reazione ancor più estrema. La leggenda narra di una pianificazione talmente meticolosa da voler Rambo nascosto per due giorni all’interno dell’ormai demolito Ali Sami Yen, o “Inferno”, come preferivano chiamarlo i sostenitori che assiepavano la diabolica tribuna Kapali. Io ci credo, a voi la scelta.  

IMG_2667Potrei tediarvi a lungo con gli innumerevoli racconti e aneddoti legati al Kitalar Arasi Derbi, ma se di progresso proprio vogliamo parlare, legandolo ai giorni nostri, almeno posso risparmiarvi la filippica suggerendovi di digitare su un qualunque motore di ricerca le parole “Galatasaray” e “Fenerbahçe”. Semplice e conciso. 

Torniamo ai giorni nostri e ad una nazione alle prese con un ingresso sempre più imminente nell’Unione Europea – difficoltoso o meno, giusto o sbagliato che sia – e una situazione interna difficilmente decifrabile agli occhi lontani di noi osservatori. L’attentato di Ankara ha certamente cambiato la visione del Derby Intercontinentale, soprattutto in seguito alla morte di Kemal Bulut. Padre di Okan, attaccante e simbolo del Galatasaray, il 13 marzo scorso – dopo aver seguito al trasferta del figlio sul campo del Gençlerbirligi – ha perso la vita insieme ad altre 36 persone, per ora. Purtroppo. Scomparso alla vigilia del compleanno del figlio, che ha dovuto seppellire il suo parente più caro in un giorno in cui, di norma, il cuore è scosso da ben altre emozioni.

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Già in passato, era il 2013, le tifoserie dei tre grandi club di Istanbul, Besiktas, Fenerbahçe e Galatasaray, avevano deposto le armi per combattere un nemico comune: il governo autoritario del primo ministro Tayyip Erdogan. In questi giorni però, attraverso i social network, è iniziata una raccolta di firme per consentire ai sostenitori del Fener di assistere alla stracittadina. Il tifoso ha fatto posto al cittadino e il dolore collettivo ha rotto ogni barriera, cosa piuttosto rara in questo enorme locus asper chiamato Europa.  Appoggiata anche dagli acerrimi rivali Ultraslan, l’iniziativa ha il fine di unire in segno di solidarietà le due tifoserie attraverso la partecipazione collettiva all’evento. Come? In piedi – non seduti, non sia mai qualche Prefetto scordarello incappi in questo articoletto – ma soprattutto: gli uni in mezzo agli altri. I tifosi più irrequieti del Galatasaray fianco a fianco con i nemici giurati, quelli a cui da decenni indirizzano il coro: “People who don’t like you deserve to die” (goliardia da stadio, con uno sforzo si potrebbe anche capire). 


IMG_2669Un gesto forte, inaspettato e al tempo stesso spontaneo. Il colpo di coda di un movimento vessato in tutto il continente – non ultima la folkloristica descrizione di molti media italiani dei pericolosissimi sostenitori del Galatasaray, rei di aver invaso Piazza del Popolo “armati” di fumogeni. Perché se questo Kitalar Arasi Derbi ha generato nel corso della sua storia centinaia di feriti, migliaia di arresti e numerosi morti, come ogni rappresentazione simbolica della guerra a torto o ragione fornisce, sarebbe stolto e volontariamente falso affermare che un siffatto evento non provochi delle reazioni destinate a migliorare ulteriormente la cultura di un Paese. Poiché come ha scritto sapientemente Nazim Hikmet-Ran, poeta e drammaturgo nato a Salonicco – allora parte dell’Impero Ottomano – nonché autore prediletto da quel Mustafa Kemal prima citato:

“II più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti”.

E in un momento storico del genere, con il mare sinonimo di disgrazie, i figli di anime gettate su una Terra arida e i giorni che passano inesorabili lasciando scie di indifferenza (la mia in primis, perdonatemi la franchezza ma spesso il giornalista, o presunto tale, tende a mitizzare le sue capacità), forse il prossimo Kitalar Arasi Derbi potrà esprimere pienamente la funzione principale di quello che dovrebbe essere il calcio: la partecipazione. Perché essa è libertà, come disse Giorgio Gaber. Una libertà mentale dagli stereotipi e dalle imposizioni. E se migliaia di persone divise ermeticamente da due ideali, ma accomunati da una stessa matrice, decidono di mettere da parte tutto questo, allora per un giorno la rivalità farà spazio ad altro. Per tornare poi più forte di prima, con tutti i propri difetti. In fondo tendiamo tutti a dimenticare anche le peggiori disgrazie; allora l’importante sarà constatare che almeno uno di questi semi del male ha fatto nascere un fiore in quelle coscienze, il quale fornirà quell’ossigeno unico nostro alleato contro una società sempre più obnubilata.

Gianvittorio De Gennaro.