Per chi non conosce il Belgio, il centro della Vallonia è una zona di miniere, dove l’immigrazione ha sempre fatto da padrona. Difatti ancora oggi, si possono vedere tanti belgi con nomi di origine stranieri, soprattutto italiani, polacchi e nordafricani.

In alcuni posti si può anche sentire parlare italiano, soprattutto dialetto del sud-Italia o del nord-est, regioni che hanno visto i loro figli partire per sopravvivere o avere un futuro migliore.

L’integrazione non è stata facile ma, due generazioni dopo, i loro figli sono diventati cittadini belgi a tutti gli effetti, con una doppia cultura, e una ricchezza unica. Ma come continuare ad avere un legame con il paese dei nonni?

Ci sono diversi modi, uno dei quali è proprio esportare alcuni tratti della cultura del Paese come il cibo o le tradizioni. In Belgio, come avevo spiegato in un articolo sullo Standard di Liegi, la cultura ultras è iniziata proprio nel 1996, con la fondazione del primo gruppo proprio dello Standard, gli “Ultras Inferno”.

Dietro le quinte c’erano due ragazzi di Liegi di origini italiane. Poi, passo a passo, nelle altre città belghe con un’immigrazione italiana forte, la cultura ultras ha preso il sopravvento su quella dei Siders. Non senza difficoltà, ma vent’anni dopo, alcune tribune del Regno possono essere orgogliose della loro realtà.

Uno spicchio di La Louviere a ridosso dello stadio

Oggi mi trovo a La Louvière, invitato dai ragazzi locali per presentare il mio libro sulla storia del movimento ultras italiano.

Ho conosciuto i Green Boys al memorial dell’Heysel a maggio e, sapendo delle mie ricerche, mi hanno chiesto se potevo venire nella loro città. Per me è sempre un grande piacere ed un onore presentare questo libro che mi è costato tanta fatica. L’unica condizione che chiedo è vedere una partita della loro squadra. Cosi, alla vigilia della mia presentazione a La Louvière, in un sabato di gennaio, mi ritrovo in questa località.

Piove e le condizioni climatiche non sono le migliori per fare un bel giro della città. Il solito ritardo mi obbliga a spingere sull’acceleratore. Stasera la partita è particolare, è il derby. Non un derby regionale, ma un vero derby, con due squadre di La Louvière: tutte e due hanno gli stessi colori (biancoverdi), lo stesso stadio (il Tivoli), lo stesso simbolo (un lupo) e la stessa serie (Serie D locale) di appartenenza.

Corteo prepartita

Il Belgio, da un punto di vista geografico, è molto vicino all’Inghilterra. E qui lo si nota ancora di più attorno allo stadio, sembra veramente di essere a Sheffield o a Stoke City. Non me ne vogliano gli abitanti di La Louvière, ma questa città di 80.000 abitanti non è la più bella che ho visto nella regione.

È una città nata ad hoc durante la rivoluzione industriale, nel lontano 1869. Prima era una frazione di Saint Vaast, un comune limitrofo. Poi, con l’estrazione del carbone, materiale indispensabile per la rivoluzione industriale, La Louvière è diventata una città a tutti gli effetti.

Al tempo, le Fiandrie erano ancora una zona povera, e i fiamminghi venivano a lavorare nelle miniere. Ma la crescita industriale rendeva necessario ottenere, al di là dei confini regionali, la manodopera per costruire canali, ferrovie, strade, industrie.

Altro che ticketing online…

Oggi come oggi, tutto è cambiato. I vecchi sogni industriali sono spariti, e poco o niente è rimasto. Le industrie sono chiuse, la crisi ha toccato il territorio in una maniera tremenda, e le Fiandre povere hanno preso il sopravvento sulla Vallonia.

A livello calcistico, la squadra locale ha conosciuto la stessa parabola. Ma torniamo un po’ indietro, più precisamente nel 1912, quando fu fondata la Royal Association Athlétique Louviéroise. Come in tutte le zone industriali, il calcio è figlio della rivoluzione industriale.

In pochi anni la squadra raggiunse il terzo livello del calcio nazionale, e rimase in terza divisione fino al 1970. Fu finalmente promossa in Serie B e conquistò la Serie A nel 1974.

Dopo una stagione la squadra retrocesse e iniziò a fare la spola tra Serie B, Serie C e massima divisione. Bisogna aspettare il 2000 per vedere La Louvière stabilirsi in serie A per ben sei stagioni. Fu il periodo d’oro della squadra che vinse il suo primo ed unico trofeo, la coppa del Belgio nel 2003, per poi raggiungere per la prima volta la Coppa UEFA la stagione dopo. Il sorteggio fu difficile, con il famoso Benfica. Ma La Louvière resistette con un pareggio 1-1 in casa e una sconfitta per solo 1-0 in Portogallo, un’eliminazione sicuramente con onore.

Il manifesto del derby

Nel 2006 i guai cominciarono con l’ultima posizione in classifica, ma soprattutto problemi economici che videro La Louvière perdere il diritto ad essere una squadra professionistica. La retrocessione amministrativa fece sprofondare i biancoverdi in Serie C.

Ma la malasorte continuò e la squadra venne accusata di frode sportiva per scommesse dalla Cina (un classico nel calcio belga). Bisogna aggiungere che la gestione economica non fu il massimo, e il presidente lasciò il posto perché la polizia finanziaria volle capire dove andavano i soldi. Risultato, alla fine della stagione 2008/2009 il RAAL non esiste più. Sparirono così 97 anni di storia calcistica.

Velocemente, alcuni industriali vollero riportare il calcio in città, e andarono a Couillet, una città della periferia di Charleroi, dove comprarono il titolo sportivo, portandolo a La Louvière e cambiando il nome della squadra in FC La Louvière. Fu iscritta nel quarto livello del calcio belga con gli stessi colori del defunto RAAL.

Marchiare il territorio

Risultato, non un grande successo e pochissimo pubblico a seguire gli incontri, tranne i Wolf Side, sigla storica del tifo locale (sul modello belga dei siders) e i neonati Green Boys nel 2005, con chiaro riferimento alla cultura ultras.

Dopo due stagioni, il FC La Louvière tornò a Couillet, la sua città d’origine, per prendere il nome di FC Charleroi.

Ma fu creata un’altra società, l’Union Royal La Louvière Centre, perché in un quartiere di La Louvière, a Haine Sainte Pierre, la squadra locale, l’US Centre, voleva giocare in uno stadio più grande, il Tivoli, e decise di cambiare nome per poter avere un pubblico più numeroso. Esordisce così nell’annata 2011-2012 l’UR La Louvière-Centre con un bel successo a livello di pubblico, poiché la nuova società riprende i colori biancoverdi, lo stesso logo della vecchia società RAAL, cioè il lupo, e il Tivoli ritrova tifosi e la loro parte organizzata. Ma, col passare del tempo, la gente si stufa della quarta serie e molla la squadra.

Una veduta interna del “Tivoli”

Ci troviamo così nel 2017, quando un ex-giocatore del RAAL e businessman di prima categoria con la sua compagnia d’informatica, Salvatore Curaba, riesce a comprare il titolo sportivo del Racing Charleroi Couillet Fleurus, che gioca in quarta serie, e trasferisce la squadra a La Louvière.

La squadra viene rinominata e prende il glorioso nome del RAAL. I Wolf Side e i Green Boys decidono di seguire la nuova squadra anziché la UR La Louvière-Centre.

Così mi ritrovo a La Louvière per vivere un derby in quarta serie tra due società che dicono di essere le uniche eredi del glorioso RAAL, con gli stessi colori sociali, e lo stesso lupo sul logo della società.

Anche la repressione non conosce categoria

Arrivo preso lo stadio Tivoli e posso immortalare il corteo dei Green Boys e dei Wolf Side. Attorno allo stadio ci sono poliziotti e soprattutto un drone per sorvegliare dal cielo i movimenti sospetti! Bello e geniale in quarta serie, la repressione è sempre più tecnologica. Vorrei solo aggiungere che tra le due tifoserie non c’è rivalità. La parte più decisa del tifo biancoverde segue il RAAL, mentre l’UR La Louvière Centre ha solo semplici tifosi e club.

Appena metto piede nello stadio Tivoli, capisco che un geniale architetto ha preso spunto dagli stadi dell’Unione Sovietica o del Regno Unito. La struttura edificata nel 1972 è molto originale e devo dire che mi piace. Distante anni luce dai centri commerciali di periferia, (difatti è presso il centro cittadino, vicino all’ospedale), sembra un misto tra l’Inghilterra per i distinti e la tribuna, e la Jugoslavia per le curve!

L’ospedale che sovrasta lo stadio

La struttura poteva ospitare fino a 12.500 spettatori, ora al massimo 8.000. Stasera c’è il pubblico delle grandi occasioni, con 4.000 persone, e direi una piccola maggioranza di tifosi del RAAL. Per un incontro di quarta serie ci sono tanti giornalisti ed anche la radio nazionale. È un evento, ed è la prima volta che le due squadre che rivendicano di essere il vecchio RAAL si incontrano.

La società locale è molto attenta e mi ha fatto avere un accredito con facilità. Mi ritrovo cosi sul campo e decido di andare sotto la curva degli ospiti. Normalmente la tifoseria organizzata del nuovo RAAL si mette nei distinti, ma stasera è in curva perché è ospite del UR La Louvière Centre.

Sciarpata dei due gruppi biancoverdi

La tifoseria del RAAL è dunque bifacciale, con un gruppo di siders, i Wolf Side, fondati nel lontano 1981 e i Green Boys, eredi dell’immigrazione italiana in Belgio. Ma, da alcuni anni, il Wolf Side ha preso una piega molto più ultras e lo posso notare stasera. Per il bene della tifoseria, i due gruppi vanno abbastanza d’accordo e si mettono a fianco l’uno dell’altro. In mezzo ai loro due striscioni c’è una pezza hooligans, con l’immancabile rosa dei venti.

I vecchi siders ci sono sempre e si possono riconoscere, ma la nuova generazione dei Wolf Side è chiaramente più concentrata sull’aspetto del tifo organizzato che della violenza organizzata, mentre una nuova generazione di combattenti ha ripreso il filone dell’hooliganismo sotto il nome di La Louvière Hooligans Firm e incontra altre compagini in mezzo ai boschi per praticare scontri su appuntamento. La Louvière Centre ha anche un gruppo organizzato di tifosi nei Distinti che si ritrova sotto la sigla Ultras Cool (cioè “ultras simpatici”) e dal nome si può già capire che in realtà si tratta più di un club.

L’immancabile rosa dei venti…

Quando le squadre entrano in campo, il tifo parte sia dai Green Boys che dai Wolf Side. Ogni gruppo ha un megafono e coordina insieme il tifo biancoverde. Ogni sigla unisce un centinaio di ragazzi.

Le squadre entrano in campo con una bella sciarpata fitta condita da bandieroni e stendardi, tutto semplice ma sempre carino. Il tifo parte subito in quinta con l’ausilio di due tamburi.

Peccato che la maggioranza del settore non riprenda i canti, ma devo dire che le due sigle del tifo biancoverde fanno il loro dovere eccome! Il tifo, durante tutto il primo tempo, si mantiene su alti livelli. Solo nel secondo tempo si registra un calo, con un tifo sempre bello ma meno potente. Posso notare due slogan molti diffusi nell’universo del tifo organizzato: “Libertà per gli ultras” da parte dei Green Boys e “Onore e coraggio ai diffidati” dei Wolf Side.

Rispetteremo la “Loi Football”…

Anche qua, la repressione, che prende il nome di “Loi-football” (“legge calcio”) colpisce i ragazzi. In tal contesto, al 72° minuto è molto divertente lo striscione dei Green Boys: “Risoluzione del 2019: rispettiamo la legge calcio”, tenuto per due minuti. Poi, arriva un secondo messaggio: “No, stavamo scherzando”, con l’accensione di alcuni fumogeni, rigorosamente proibiti in Belgio.

La partita sta per finire con il risultato di 1-0 per l’UR La Louvière Centre. La squadra domina non solo la partita ma il girone, ed è prima in classifica, che normalmente dovrebbe significare la promozione a fine stagione.

…stavamo scherzando!

Gli “ospiti” sono al 14° posto, ma i giocatori vanno comunque sotto le due curve. Gli Ultras Cool festeggiano con la loro squadra capolista, mentre i ragazzi dei Wolf Side e dei Green Boys fanno capire ai giocatori che hanno onorato la maglia; comincia così una bellissima comunione di più di cinque minuti tra la tifoseria organizzata ed i calciatori.

Più viaggio, più ne son convinto, per uscire delle logiche di mercato e dell’industria calcistica devo venire nelle divisioni più basse. Il calcio esiste ancora ma in maniera davvero popolare, ed oggi posso solamente ringraziare la tifoseria biancoverde per lo spettacolo offerto. Devo dire che proverò a tornare con piacere nel cuore della Vallonia industriale.

Sébastien Louis