Questa canzoncina da piccolo era un vero e proprio leitmotiv. Te la facevano cantare a scuola e a casa in maniera tale da entrarti nella testa senza mai uscirne. Così, dopo una ventina di anni è la prima cosa che mi è venuta in mente al termine di questa serata, mentre tornando a casa pensavo a che titolo dare a questo pezzo. Vestire i panni del famoso “capo” non è affatto piacevole, soprattutto perché i contorni beffardi da cui è caratterizzata la strofetta infantile stasera hanno assunto più di un semplice alone veritiero. Andiamo con ordine.

Da un paio di giorni a Roma abbiamo scoperto l’inverno. Il tutto è arrivato senza avvertire. Un freddo fastidioso e umido accresciuto dal forte vento di tramontana che già in mattinata aveva non poco complicato i miei piani per andare in bicicletta nel parco vicino casa. Dopo qualche giorno in Russia con il termometro abbondantemente sotto lo zero, credevo di aver sviluppato una sorta d’immunità nei confronti del freddo. E invece mi accorgo che quello che avvolge la Capitale, forte ma non certo ai livello del gelo moscovita, mi infastidisce oltremodo. Così, sfruttando il poco traffico dovuto alle numerose partenze di fine anno, decido di raggiungere il Palazzetto in macchina evitando gli stretti orari della metro e soprattutto il vento gelato. Tutto molto bello, tutto molto intelligente.

Arrivo nei pressi di Viale Tiziano quasi un’ora e mezzo prima della palla a due. Ma quando sto per scendere dalla mia vintage Panda 1000 ho un flash, la batteria della macchinetta fotografica. L’ho dimenticata attaccata nella mia stanza. Non nascondo che lascio partire più di un’imprecazione, ma visto il netto anticipo sulla tabella di marcia posso andare a casa, riprenderla e poi ritornare al Palazzetto. Non che abiti proprio lì vicino, tutt’altro. Ma a mali estremi, estremi rimedi. E poi l’ho dimenticata io, quindi ho poco da irritarmi. Il bello infatti deve ancora venire. All’uscita della Tangenziale la mia ruota anteriore sinistra incappa in una buca che definirla tale è a dir poco riduttivo. Un vero e proprio cratere lunare che forse anche Copernico avrebbe faticato a classificare con il suo cannocchiale. Già un metro dopo sento l’inconfondibile rumore della ruota che perde aria. “Pffzzzz pfffffzzzzz”, si rantola nei suoi ultimi istanti di vita. Faccio finta di non ascoltarla, ma lei è là che vuole l’eutanasia. Posso al massimo arrivare sotto casa e prendere la batteria, ma se voglio andare a vedere la partita devo assolutamente usufruire della metropolitana. E visto che non ho alternative, così è.

Morale della favola: sono un coglione. Secondo morale della favola: dalle due ore di anticipo, riesco nell’impresa di entrare al Palatiziano quando la partita è iniziata da 3 minuti. La Virtus è avanti e da Trento sono giunti una ventina di tifosi che però si dividono tra la Galleria e la Curva. Certo, di ultras mi pare di vedere ben poco, ma se si fossero uniti in un unico settore, provando a fare tifo, secondo me sarebbe venuto fuori un qualcosa di buono. Qualche coro lo abbozzano anche, ma davvero poca roba. L’unica cosa davvero costante è lo sventolio delle bandierine bianconere che praticamente anno tutti. Mentre il fiore all’occhiello della tifoseria trentina questa sera è un signore sulla cinquantina che indossa un cappello giullaresco con i colori sociali. Non a caso sarà lui a ricevere per primo il ringraziamento della squadra a fine partita.

Sul fronte capitolino i numeri sono quelli che di solito caratterizzano la Curva Ancilotto. La squadra continua il proprio campionato mediocre, rimediando un’altra sconfitta che apre ufficialmente la crisi. Tuttavia i ragazzi delle Brigate ce la mettono tutta, con la passione e con la goliardia. Basti pensare allo striscione con si apre la sfida e che recita: “Questo tifo è il nostro atto d’amore…ora tocca a voi, lottate con il cuore!”. Messaggio che non verrà recepito a pieno dalla squadra, verrebbe da dire. Così nell’ultimo minuto di gara, quando la sconfitta è ormai irrimediabile, scatta la contestazione con i classici cori che invitano i giocatori a tirar fuori gli attributi e ad andare a guadagnarsi lo stipendio con il sudore della fronte.

Roma non è una piazza facile. Non lo è per uno sport popolare e visceralmente seguito come il calcio, figuriamoci per il basket. Quello che mi colpisce, nonostante viva in questa città da quasi 28 anni e ne frequenti gli ambienti sportivi da almeno la metà, è la totale indifferenza dei più mente quella quarantina di ragazzi tentavano di sbracciarsi vedendo una squadra in netta difficoltà che sin dal primo quarto ha lottato punto a punto contro una neopromossa.

Assisto così ai due volti opposti dell’esito sportivo, chi festeggia e chi schiuma rabbia da tutti i pori. Per me, senza macchina, è arrivato il tempo di andarmene per non prendere l’ultima metro. La serata non è ancora finita, prima di rincasare infatti devo cambiare la ruota. E questo, al gelo della sera, non è affatto uan cosa piacevole. Giusto chiudere l’anno così. Che il prossimo sia buono per tutti, auguri e figli maschi. E partitellari!

Simone Meloni