Fedele alla promessa di seguire più assiduamente gli eventi del tifo anche dal campo, nonostante gli impegni personali, questa domenica sono al “Dino Manuzzi” di Cesena, dove la locale compagine ospita il Chievo Verona. Una sfida cruciale per la salvezza Cesenate, dopo la rimonta miracolosa proprio a Verona, dove l’Hellas inizialmente portatosi sul 3-0, è stato poi raggiunto sul 3-3. L’Atalanta è ancora distante 4 punti, ma mentalmente i Romagnoli dimostrano di non aver mollato la presa.

Cesena ci crede, me ne accorgo già dal tran tran fuori dallo stadio. Dentro invece la Curva Mare si riempie quasi completamente, in barba all’infame orario: si gioca infatti alle 12.30, mentre in Italia si pranza, ma pare sia più importante assecondare gli appetiti del mercato asiatico, come dicono in Lega Calcio.

Già dal riscaldamento la Mare cerca di suonare la carica: chiama “Tutto il Cesena sotto la curva” e l’abbraccio, gli applausi e i primi cori (supportati da tutto lo stadio), sono davvero emozionanti. In questa prima fase viene anche fissato in balaustra lo striscione “La dignità è salva… ora lottiamo insieme per la gloria”.

Anche nel settore ospiti si inizia a scaldare le ugole con la squadra che scende in campo per l’allenamento pre-partita.

Premetto che le stime numeriche non sono il mio forte, visto che quando non lo faccio qualcuno si arrabbia se tendo al ribasso; detto questo i Clivensi saranno circa 200, forse qualcosa in più, con uno zoccolo duro di un centinaio scarso di persone sopra le pezze di “Gate 7” e “North Side”. Tutti gli altri saranno disomogeneamente sparsi per il settore ed anche il cuore del tifo m’appare un po’ sfilacciato, con i due gruppi che in certi frangenti canteranno separatamente. L’inizio del tifo è comunque ottimo, sia vocalmente che coreograficamente, grazie ad una bella sciarpata ed all’ausilio di bei battimani. Riescono persino a ritagliarsi qualche buonissimo sprazzo di udibilità, in uno stadio rumoroso e che li soverchia in numero, poi però perderanno molto in continuità e si faranno sentire appunto a tratti. Da menzionare anche un coro per l’ex allenatore Mimmo Di Carlo, attualmente sulla panchina Cesenate, che li saluta con un applauso.
In un angolo dei distinti, in prossimità dello stesso settore ospiti, per dovere di cronaca e per completezza, va citata anche la presenza dei Casual cesenati. Il loro apporto si limita a qualche coro secco e qualche battimani sporadico, la loro attitudine notoriamente verte verso altri campi. Numericamente sono più o meno gli stessi di sempre, ma li trovo meno vivi e partecipi di altre volte, forse anche per il pesante conto di diffide che pagano proprio per l’attitudine di cui sopra; fatto sta che se non avessero nemmeno lanciato quel paio di cori, sarebbero passati del tutto inosservati. Il che non è necessariamente un limite, stando al loro modo di vivere lo stadio.

All’ingresso delle squadre in campo, niente di trascendentale in nessuna parte dello stadio. D’altronde non si può pretendere troppo, in tempi in cui anche un fumogeno, acceso con semplici intenti coreografici, può costare penalmente molto caro. La tifoseria di casa, rispetto a quella ospite, ha in più uno striscione nel primo anello, in zona “Viking”, con cui si ricorda l’anniversario di Iban e Arantxa, due amici dell’Indar Gorri Osasuna scomparsi nel 2001. Di poco al loro fianco, un secondo piccolo striscione che presumibilmente saluta la nascita di un nuovo tifoso.

Nella prima frazione, i padroni di casa esercitano la supremazia territoriale che è lecito attendersi da loro, con un tifo abbastanza continuo, in cui le pause sono ridotte a quelle fisiologiche e i picchi massimi di volume sono a dir poco paurosi.
Un bel tappeto di sciarpe colora anche la curva di casa sulle note di “Romagna e Sangiovese”, e ritengo doveroso sottolinearne la bellezza e l’importanza in termini di preservazione della tradizione del tifo italico, specie in quest’epoca storica dove sembra che portare una sciarpa al collo sia da sfigati e vestirsi invece tutti uguali, come uno di quei plotoni di omini omologati che tanto odiamo (“Anche la Digos veste Stone Island”, cit.), sia invece bello. Se il lato “estetico” e quello “tradizionale” convivono (e possono convivere!) trovando un punto d’equilibrio, non avrei nulla da eccepire, quando invece si lascia morire una parte di sé credendo di guadagnare visibilità solo con un bel capo firmato, sinceramente lo trovo fuori luogo in un mondo che predica la sostanza e biasima l’apparenza.
In seconda battuta, lo striscione esposto in balaustra lascia spazio ad un altro per tenere vivo il ricordo di “Cassa”, nell’anniversario della sua scomparsa. Tale valzer di messaggi si ripete ad inizio ripresa, quando lo striscione per “Iban” e “Arantxa” esposto ad inizio gara, viene fissato nel primo anello a rimarcare il concetto e a darne maggiore visibilità.

Nell’intervallo va in scena il più classico dei teatrini con i bambini strumentalizzati a promozione di un calcio leale e pulito, con tanto di bandierine delle due compagini oggi in campo. Personalmente trovo stucchevole questo continuo uso dei bambini per secondi fini: il calcio è tanto loro quanto di tutti gli altri, ultras compresi, però nessuno s’è mai preoccupato di sentire le loro ragioni o di farli sfilare in campo a rivendicazione di altrettanto giuste cause. Mi riservo di cambiare idea, in alternativa, allorquando porteranno i bambini a sfilare sotto casa di Lotito, di Tavecchio e degli altri co-protagonisti del mondo del calcio, spesso e volentieri colpevoli di peccati molto peggiori rispetto a quelli di chi sta in Curva.
Nella seconda frazione il tifo Cesenate è valido come e forse ancora di più rispetto alla prima parte di gara. Tanti soprattutto i battimani, coadiuvati dal ritmo di un tamburo che non può risvegliar che bei ricordi ogni volta che suona.

In ulteriore calo, in questo secondo tempo, la prestazione dei tifosi del Chievo: qualche battimani, qualche ripetuto, qualche coro secco di buon volume, ma troppe pause. Ogni tanto riescono a ricompattare bene il proprio “quadrato” e a ritornare sui livelli iniziali, poi finiscono puntualmente per perdersi. In definitiva la loro prova non è certamente quella che si definirebbe memorabile, però l’impressione netta che ho nel vederli, rispetto all’ultima volta, è che siano riusciti a sfoltire parecchi fronzoli, limitando al giusto il folklorismo, sfuggendo al cliché della “favola Chievo” e dei “tifosi del cuore”. Restano limitati numericamente, per carità, ma appaiono molto più “ultras”, se mi si passa il termine, e questo va loro riconosciuto.

Continuano a susseguirsi gli striscioni, anche in questo secondo tempo. Tema ricorrente quello del ricordo: in lingua francese e con i colori del suo club, il Saint Etienne, viene tenuto vivo nel tempo il nome di Max, esponente della tifoseria transalpina a cui da anni i Cesenati sono legati da amicizia.

In campo la contesa è molto più avara di spunti. I padroni di casa sono chiamati a far la partita, ma sbattono inevitabilmente contro il muro dei propri limiti tecnici e tattici. Il Chievo si difende con molto ordine e senza mai correre grossissimi pericoli. Mentre i minuti scorrono inesorabili senza che nulla cambi in favore del Cesena, Mister Di Carlo prova anche a buttare nella mischia l’amuleto Succi. La Dea Bendata che però aveva loro arriso in quel di Verona, questa volta non è altrettanto prodiga, anzi sembra addirittura voltare le spalle ai bianconeri proprio nel momento del maggiore bisogno: all’82esimo infatti l’eterno Sergio Pellissier trova il suo 90esimo goal in carriera (di cui dovrà ringraziare anche l’insicuro portiere Leali), raggiungendo Zola e Van Basten nella classifica dei marcatori di sempre della Serie A, ma soprattutto gelando tutto il “Manuzzi”.
I pochi minuti che separano dal triplice fischio finale sono vissuti con disillusione da una parte, e con una certa euforia dall’altra. Quando il fischietto dell’arbitro Valeri, della sezione di Roma, sancisce la fine delle ostilità è ovviamente festa grande tra i tifosi del Chievo: per quanto non suffragato dalla matematica, il loro obiettivo salvezza può dirsi ormai acquisito. Discorso diametralmente opposto per i Cesenati, i quali ovviamente provano a spronare i propri ragazzi a crederci fino a quando quella stessa matematica non li condannerà, ma la realtà è che ormai il loro destino è nella mani dell’Atalanta, che nell’incontro delle 15 si impone sul Sassuolo ed allunga a +7, ponendo già una prima seria ipoteca sulla permanenza nella massima Serie.

Peccato che le gerarchie calcistiche non viaggino parallelamente al calore delle proprie tifoserie, ma sono considerazioni che lasciano ormai il tempo che trovano, in quest’epoca in cui comanda il vil denaro dispensato dal dio delle tv a pagamento. In ogni caso non è una scoperta che Cesena abbia un bacino ed una passione al suo seguito di cui pochi altri possono fregiarsi. Quello che mi auguro è che questa bilancia venga ribaltata quanto prima e che questa piccola provinciale possa tornare a fare a pugni con le grandi delle metropoli: quella Romagnola è una piazza che merita, e non lo dico io, lo dicono i numeri. Se la matematica non è un’opinione sul rettangolo verde, non lo è nemmeno sui grigi spalti.

Matteo Falcone.