Bergamo, aeroporto di Orio al Serio. È qua che termina la mia escursione in terra romena per il già trattato Astra Giurgiu-Roma e inizia l’ennesimo viaggio nella provincia italiana. Quella provincia che da sempre offre linfa vitale a chiunque voglia vivere un paio d’ore di calcio serio, in stadi ancora minimamente caldi e pregni di sentimenti. L’occasione è uno dei derby più sentiti e storici di tutto il settentrione. Quel Vicenza-Verona che mette a confronto due nobili decadute del nostro calcio, permettendo al vecchio stadio Menti di rivivere i fasti di un passato glorioso, neanche troppo lontano cronologicamente, ma distante anni luce per la percezione quotidiana del tifoso biancorosso.

Passare dal gelo di Bucarest a quello della Pianura Padana non solo è a tratti sfiancante, ma se possibile anche peggio. A causa di un’umidità che permette al freddo di trapassare perfino la fitta barriera costituita da maglie e felpe. Eppure non sarà questo il leitmotiv di questo fine settimana. C’è un fattore che ancora non ho preso in considerazione: la nebbia. È sufficiente sconfinare nella provincia di Brescia per averne un assaggio. Fitta e intensa. Non ci fosse la partita di mezzo sarebbe persino suggestiva. L’agente atmosferico che nasconde per antonomasia. Strano che Hopper, in uno dei suoi quadri inneggianti alla solitudine, non l’abbia mai presa in considerazione. Per me è invece è un vero e proprio spauracchio.

L’indomani, avvicinandomi a Vicenza, i raggi del sole prendono sempre più corpo, facendomi ben sperare per il prosieguo della giornata. So di essermi perso i begli anni di queste partite. Gli esodi di massa, le tensioni fuori lo stadio, il tifo caldo e caratteristico delle due curve. Devo essere sincero, quello che oggi mi spinge in primis ad assistere ai derby più blasonati è un semplice spirito di curiosità e testimonianza storica. Come faccio a parlare, nella fattispecie, di vicentini e veronesi senza averli visti all’opera gli uni contro gli altri? Certo, dei veronesi, a livello macro, si sa quasi tutto. Ma sono dell’idea che osservarli al cospetto di un’altra realtà corregionale sia un qualcosa di ben diverso. Per chi, come me, il Veneto ha rappresentato per anni una regione lontana anni luce, dove per forza di cose culture e tradizioni popolari si diversificano nettamente rispetto a quelle utilizzate e vissute a Roma, così come può essere nel resto del centro e del sud Italia, è quasi un’ossessione sapere cosa si diranno, come si sfotteranno, se ci saranno dei particolari epiteti in dialetto.

Sì, lo stadio è anche e soprattutto questo. Benché in questi anni grigi ce lo abbiano in parte tolto, criminalizzando qualsiasi cosa si avvicinasse allo sfottò, magari anche a quello piacevolmente becero, cercando di moralizzare ogni singola lettera dell’alfabeto per renderle quasi tutte irripetibili o tacciabili di volgarità e discriminazione. Ergo: statevi zitti e fate un favore a tutta la comunità che vi schifa in maniera aprioristica. Peccato che poi, di tanto in tanto, arrivino queste gare a smontare tutto il castello di buonismo costruito dalle nostre ipocrite istituzioni al marzapane. Magari non saranno più le sfide di un tempo, ma sapere che in pochi giorni i 1.800 biglietti a disposizione degli scaligeri sono andati letteralmente polverizzati, fornisce un dato palese su chi abbia sbagliato tra il decidere di imporre divieti e restrizioni e il continuare a reclamare una maggiore libertà di movimento ed espressione all’interno degli stadi italiani. Non è la passione a esser morta. Questa è solo prigioniera di spietati boia pronti a decapitarla di giorno in giorno. La passione è fatta di tante teste, come un’Idra, ed è capace di ricrescere a ogni colpo.

La passione è quella che spinge centinaia di persone con la sciarpa del Lanerossi a circolare attorno allo stadio parecchio tempo prima del fischio d’inizio. Nonostante una classifica deficitaria. Nonostante il Vicenza rappresenti da troppo tempo una forma asettica di programmazione calcistica. Mentre uscendo dall’autostrada è possibile vedere i tanti tifosi dell’Hellas assiepati in un piazzale attiguo, in attesa che gli autobus li conducano allo stadio. Un tragitto che da lì a breve vedrà il crearsi di qualche tensione, subito sedata dalla polizia con alcuni lacrimogeni.

E ciò che mi sorprende in positivo è proprio la tensione. Avvertibile distintamente. Oggi non si gioca solo una partita di pallone, ma due città si sfidano per affermare la propria superiorità regionale. Per far vedere quanto il Palladio sia superiore a Romeo e Giulietta. E viceversa.

Pronti via. Posso ritirare l’accredito e fare il mio ingresso allo stadio Romeo Menti. Per la seconda volta nella mia vita. Per giunta a distanza di poco tempo. Inutile dire che oggi, a differenza del match contro il Perugia, lo stadio presenta ben altro colpo d’occhio. Non c’è il tutto esaurito, e questo sicuramente sta a testimoniare quanta gente il nostro calcio abbia perso negli ultimi anni. Tuttavia i due settori popolari sono stracolmi e già carichi prima del fischio d’inizio. Ad esso si aggiunge il contingente berico del Distinto. Da segnalare, tra le fila vicentine, la presenza di pescaresi, reggiani, cremonesi e udinesi. Oltre che quella dei francesi di Metz e Lione.

Partono subito le prime invettive, che vedono la partecipazione di quasi tutti i presenti. È un piccolo antipasto al vero e proprio spettacolo che da lì a poco colorerà le tribune. La Sud, infatti, alla discesa in campo delle squadre, si esibisce in una bella coreografia fatta da numerose bandierine bianche e rosse, con la data di fondazione del club e una frase che rimanda al soprannome di “Nobile provinciale” ottenuto dal Lanerossi sul finire degli anni settanta. A questa vanno aggiunti i molti fumogeni accesi, che producono davvero un bell’effetto, dandomi l’opportunità di vedere nuovamente un po’ di pirotecnica in uno stadio di Serie B. A livello scenografico non sono da meno i ragazzi posizionati nei Distinti, con un bandierone e qualche torcia accesa. Nulla di particolare, invece, per gli scaligeri che preferiscono puntare sulla voce e sui classici cori a rispondere.

Può iniziare la sfida del tifo, con le due curve che si affrontano sfruttando vecchi cavalli di battaglia e attingendo, di tanto in tanto, a nuovi pezzi del repertorio. Quella dei veronesi è una prova buona, anche se, come sempre avviene in questi casi, la massa spesso non aiuta il tifo a decollare. Inoltre, nel loro caso, vanno sempre ricordate le numerose diffide fioccate negli ultimi anni, cosa che di certo non aiuta il direttivo. Forse, se proprio vogliamo muovere una critica, potremmo dire che un po’ più di colore non avrebbe certamente gustato. Unica nota in merito, la sciarpata effettuata nel secondo tempo, ma con la nebbia ormai calata pesantemente è stato quasi impossibile vederla.

A parte questa mera valutazione c’è da dire che gli ultras gialloblù si portano dietro sempre un modo tutto loro di vivere lo stadio. Dagli “scimmia” urlati ai giocatori avversari al momento della lettura delle formazioni ai cori contro Padova indirizzati, ironicamente, ai dirimpettai. Per il finire con l’irriverente “voi siete come i terroni”, offesa che ritrovo anche dalla tribuna coperta, ma a fazioni invertite. Insomma, i veronesi non hanno affatto dimenticato la storica inimicizia con gli ultras berici e si può tranquillamente dire che non abbiamo aspettato molto per rimarcarlo.

Dall’altra parte la Sud si prodiga in un discreto tifo nella prima frazione, crescendo poi nella ripresa fino all’apice toccato con il gol di Galano. La nebbia ha ormai divorato parte del campo, dando a questa partita un’immagine retrò che d’incanto sembra scaraventarci in una di quelle partite degli anni ’50. Togliendomi però la chance di immortalare la goliardica coreografia dei Distinti, dove sopra a un bandierone spuntano tantissime banane usate nei confronti dei tifosi ospiti con tanto di verso che ricorda la scimmia.

L’impossibilità di vedere da una porta all’altra fa sì che la curva di casa esulti qualche secondo dopo le altre gradinate al gol. Ma si tratta di un’esultanza irrefrenabile, con i giocatori che compiono oltre cento metri di corsa per andare ad abbracciare il proprio pubblico. Se si facessero più foto a questi momenti e meno cacce alle streghe, vivremmo in un mondo dove ogni domenica ci sarebbe un Vicenza-Verona.

L’1-0 è anche il risultato definitivo, con le squadre che a fine gara vanno a raccogliere il pubblico delle due tifoserie e i biancorossi che inscenano veri e propri caroselli sotto alla propria curva. Bellomo, fregandosene di balzelli e regolamenti dell’Osservatorio, prende in mano il megafono e “sprona” la Curva Sud. Vengono accese altre torce e altri fumogeni, con l’odore acre che si alza romanticamente in cielo. Tutti partecipano, così come durante i 90′ anche i semplici spettatori avevano animato la contesa con urla e comportamenti ben al di là del politicamente corretto.

La nebbia ha ormai cinto d’assedio lo stadio Menti e quasi tutto il settentrione. Svanirà un pochino solo nei pressi di Bologna. Ma non ne sono infastidito. Anzi. È stato un elemento degno di partecipare a questa giornata. Quando si cerca la genuinità si deve esser pronti ad accettare anche quello che la terra offre. Ed in questo caso se volevo assistere a un vero derby veneto in dicembre, non poteva mancare l’effetto “vedo non vedo”.

La strada del rientro è ancora lunga. Ma soddisfatto riguardo le foto. Il Verona di Bagnoli e il Vicenza di Gibì Fabbri sono icone lontane nel tempo. Ma sfide come queste permettono di rileggere virtualmente libri e libri di storia. Perché sembra evidente che certe partite vadano ben oltre il confine sportivo.

Simone Meloni.