“Un lungo viaggio attraverso gli stadi di calcio in Italia per scoprire il fascino della loro storia e delle loro vicende sportive. Notizie, immagini e curiosità sul mondo delle nuove arene che, come i circhi e gli anfiteatri nell’antichità classica, sono ancora oggi i luoghi urbani deputati ad ospitare gli spettacoli sportivi e le manifestazioni di massa. Oltre duecento stadi, alcuni celebri alcuni poco conosciuti, alcuni nuovi alcuni scomparsi, per rivivere la storia del calcio italiano attraverso i suoi templi”.

Si presenta così il libro “Stadi d’Italia – La storia del calcio italiano attraverso i suoi templi”, scritto e autoprodotto da Sandro Solinas a quasi dieci anni dalla prima uscita di questa opera. Tale iniziativa editoriale, infatti, nasce nel 2008 con la prima edizione del libro pubblicata dall’editore Bonanno di Acireale. L’opera, successivamente, prosegue il proprio percorso commerciale in libreria con la seconda edizione, curata quattro anni più tardi dalla Goalbook Edizioni di Pisa e i suoi contenuti vengono apprezzati e sviluppati accanto ad altri progetti legati alla cultura sportiva. Ad esempio l’Istituto per il Credito Sportivo, nel 2013 e nel 2017, realizza per i propri soci un’elegante edizione speciale del libro con tiratura limitata. Nel frattempo la casa di produzione Fischio d’Inizio Srl di Torino realizza la prima puntata di una serie di documentari per la TV e il web sulla storia dei campi di calcio italiani. Sullo stesso argomento, inoltre, l’autore del libro ha curato per diversi mesi una rubrica apposita sulla rivista ufficiale della S.S. Lazio.

Si è giunti quindi alla nuova edizione, in imminente uscita e interamente autoprodotta dall’autore, nel disinteresse totale di enti e istituzioni e di quanti dovrebbero invece sostenere e valorizzare la ricerca storica come patrimonio di conoscenza della cultura sportiva italiana. Un libro arricchito e rinnovato, con oltre 700 pagine piene di foto, aneddoti, curiosità e cenni storici sui templi del calcio italiano. Un viaggio lunghissimo e affascinante, che percorre tutto il nostro territorio nazionale, attraverso il quale si scopre e si approfondisce la storia del calcio italiano. E proprio come in occasione della prima uscita di questa fantastica opera, ho deciso di contattare nuovamente Sandro Solinas per poterlo intervistare.
È nata dunque una bellissima chiacchierata, che ci ha permesso di toccare e affrontare diversi argomenti.

Per prima cosa inizierei con le presentazioni, per tutti quelli che non ti conoscono. Chi è Sandro Solinas?

“Girovago come un calciatore, appassionato di stadi come un ultrà. Senza essere né l’uno né l’altro, la vita di Sandro Solinas sembra persino essere stata scritta in funzione del suo libro”. Così dieci anni fa scriveva il Giornale di Vicenza, poco prima di una memorabile presentazione allo stadio Menti (senza pali); e devo dire che mai descrizione fu più indovinata.

Sandro Solinas, autore del libro “Stadi d’Italia”

Io e te ci conosciamo piuttosto bene invece, visto che già in occasione della prima uscita del libro “Stadi d’Italia” ho avuto il piacere di intervistarti. Dopo diversi anni ecco una nuova edizione della tua opera. Vuoi parlarcene, specificando magari quali sono le differenze sostanziali con il libro precedente?

Stadi d’Italia è un lungo viaggio attraverso la storia delle nostre arene sportive, un lungo percorso della memoria senza un vero principio e una vera fine. Del resto il libro si apre con le parole di Borges che ci ricordano come ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio. Si parte dai campi più vecchi, Marassi e il Penzo di Venezia (o dal prato del Gabrielli di Rovigo, che è lì dal 1893), ma avrei potuto iniziare dall’Arena Civica di Milano, retaggio della pianificazione urbanistica francese, dove fece la sua prima apparizione la Nazionale azzurra e dove fu disputato il primo derby tra Milan e Inter; o addirittura dallo Stadio di Domiziano – l’attuale Piazza Navona, a Roma – costruito nell’86 d.C. per il Certamen Capitolinum, una manifestazione musicale, sportiva ed equestre in onore di Giove Capitolino. Ed è un cammino che guarda avanti, con i nuovi impianti che lentamente e tra mille difficoltà stanno sorgendo anche in Italia. Cambiano e si aggiornano i protagonisti di questo lungo racconto, insomma, ma non muta lo spirito che da sempre alimenta e dà un senso al libro, il desiderio di vincere l’oblio calato sui nostri stadi, dimenticati senza un vero perché, pur essendo lo scrigno dei ricordi e delle emozioni per intere generazioni di italiani. È un cammino che si rigenera, peraltro, perché ogni edizione viene ampliata con nuove città, nuovi stadi, nuove storie. E le storie dentro ogni storia. Fate un salto al Vezzosi di Orbetello, racchiuso tra le acque di una laguna senza tempo, i bastioni della fortezza spagnola e le mura di cinta del vecchio idroscalo conosciuto per le imprese aviatorie di Italo Balbo. Meriterebbe un libro a parte. Quest’anno abbiamo superato le settecento pagine, un bel mattoncino (utilissimo per il tifoso anche in caso di tafferugli, con i suoi due chili abbondanti di peso).

Il San Paolo di Napoli (Foto Il Mattino)

Quando è prevista l’uscita ufficiale della nuova edizione e dove e come si potrà reperire il tuo libro?

Ormai ci siamo, questione di giorni. Per il 9 Dicembre è prevista la prima presentazione, a Rieti, davanti allo stadio Centro d’Italia. Un segno del Destino. Proprio le presentazioni saranno il principale canale di vendita di Stadi d’Italia; per chi non potrà partecipare basterà ordinare il libro per posta attraverso l’omonimo gruppo Facebook o anche scrivendomi all’indirizzo di posta elettronica sandro.solinas@gmail.com.

Perché hai optato questa volta per l’autoproduzione?

Perché da oltre cinque anni il libro non era più in commercio e, di fatto, per molti lettori interessati rimaneva inarrivabile. Le eleganti edizioni speciali, curate dal Credito Sportivo nel 2013 e nel 2017, furono riservate a soci e partner dell’istituto passando inosservate tra la tribù del calcio. Così, tra ritardi, indecisioni e indifferenza da parte di quegli ambienti che, a mio avviso, più di altri dovrebbero invece sostenere, promuovere e valorizzare certe ricerche come patrimonio di conoscenza della cultura sportiva italiana, terminata l’estate decisi di fare da me, occupandomi in prima persona dell’impaginazione, della stampa, del finanziamento, della promozione, dei pagamenti, dei rapporti con i media. Un’avventura. Un’esperienza non semplice ma costruttiva, ne valeva la pena. Certe cose vanno fatte e basta, a volte.

Stadio Olimpico di Roma. Sullo sfondo la Farnesina (Foto Comune di Roma)

Che cosa rappresenta per te lo stadio?

È un punto di riferimento delle nostre città. Delle nostre domeniche (o sabati, o lunedì, e vabbè). Hai presente Verdone in Viaggio di nozze mentre scruta l’orizzonte fiorentino alla ricerca del vecchio Comunale? O i bambini in gita scolastica che cercano di scorgere i riflettori del campo sportivo? «Guai a quella città che non trova posto per il tempio» ammoniva l’oratore e politico ateniese Demostene. Ogni religione vuole il suo luogo di culto. Il calcio ed il suo dio pallone non fanno eccezione e lo stadio acquisisce la connotazione spirituale e culturale di una cattedrale, avvicinandosi al Genius Loci, lo spirito di un luogo che gli antichi romani identificavano nelle vicende e nei riti collettivi del territorio e della sua comunità. Ed è sempre stato così, perché gli stadi di oggi sono le arene di ieri, i luoghi urbani deputati ad ospitare gli spettacoli sportivi e le manifestazioni di massa, ciò che un tempo erano i circhi e gli anfiteatri dell’antichità classica. Del resto tra gli spettatori del Circo Massimo e quelli dello Stadio Olimpico, nonostante i due millenni di distanza, non vi è poi molta differenza, accomunati dallo stesso desiderio di assistere ad uno spettacolo e di essere parte di un rito collettivo in un luogo di aggregazione di emozioni. E con una partecipazione trasversale, allora senatori e plebe, adesso operai, professionisti, precari, imprenditori, balordi e autorità tutti affiancati. Per il resto gli impianti che ospitano le partite di pallone sono un patrimonio affettivo e nulla più. Poche sono le strutture davvero valide dal punto di vista architettonico, quasi tutte costruite nell’era fascista. Sono proprio i nostri stadi a non lasciarsi amare, avviliti tra poco eleganti tribune in tubi metallici e poco confortevoli soluzioni architettoniche figlie di discutibili ristrutturazioni ripetutesi nel tempo. Niente atmosfera, poca identità e anche una buona dose di sfortuna se è vero che la costruzione di gran parte degli impianti negli ultimi anni ha coinciso con sconcertanti débâcle sportive delle squadre locali.

Il Littoriale di Bologna, nel 1935 (Foto R.B. Bologna)

I dati statistici, soprattutto in Italia, registrano un progressivo allontanamento dei tifosi dagli stadi nostrani. Quali possono essere secondo te i motivi di queste statistiche negative?

La mancanza di investimenti in infrastrutture e servizi, l’assenza di una visione di lungo periodo e di una dirigenza in grado di comprendere tale situazione hanno comportato una gestione fallimentare degli stadi di calcio italiani che, protrattasi per anni, è divenuta – senza dubbio – una delle principali cause del vistoso calo di spettatori riscontrato in Italia nell’ultimo decennio, anche se molti addossano ancora ogni responsabilità all’overdose di calcio in televisione che ha drogato non solo i club ma anche i tifosi, vincolati sempre più al divano di casa che non alle gradinate degli spalti. Ma ci sono diversi altri fattori che hanno concorso a svuotare gli stadi, non ultimo il modesto spettacolo offerto dalle squadre sul campo e il preoccupante sradicamento delle squadre dal territorio e dalla comunità, tra titoli in vendita, disinvolti trasferimenti, società nomadi, loghi spersonalizzati e cattedrali nel deserto. E poi le difficoltà, i costi e le restrizioni per l’acquisto del biglietto. A Londra e Berlino il tifoso gode di un rispetto e di un trattamento sconosciuto alle nostre latitudini. Non è un potenziale delinquente, ma una reale risorsa.

Lo Stadio Luigi Ferraris di Genova negli anni Cinquanta (Bromofoto)

Uno dei problemi maggiori, per quanto riguarda la questione stadi, soprattutto per le grandi piazze, potrebbe essere quella legata ai prezzi dei biglietti molto alti con impianti sportivi talvolta fatiscenti e obsoleti?

I prezzi sono indubbiamente alti per le tasche degli italiani, soprattutto in relazione allo stato degli impianti che ospitano gli incontri. È inevitabile che le presenza, i consumi e i tempi di permanenza dei tifosi (clienti?) all’interno delle strutture siano piuttosto contenuti.

In questi giorni, a seguito della clamorosa esclusione della Nazionale dai prossimi mondiali, si parla moltissimo di rifondazione del calcio italiano. Pensi che questa dovrebbe anche coinvolgere gli impianti sportivi del nostro paese?

Spesso nel calcio cause ed effetti si sovrappongono e si confondono, ma non c’è dubbio che chi governa il calcio italiano abbia grosse colpe e responsabilità. Hanno origine comune il degrado degli impianti e la crisi che ha colpito, i vivai, la Nazionale e le squadre del campionato, sempre più serbatoio di modesti talenti esotici. Gli stadi italiani sono la cartolina di un Paese che sarà pur sempre nel G8 ma, quanto a infrastrutture e investimenti, ha sempre avuto una visione di breve respiro. Negli ultimi dieci anni in Europa sono stati costruiti o ristrutturati 137 stadi per un investimento totale di 15 miliardi di euro. Di questi solo tre in Italia, per un investimento di 150 milioni di euro (il che non sarebbe neppure una brutta notizia, di per sé, se poi i soldi dei contribuenti non finissero in vitalizi e operazioni salvabanche). Questo dimostra inequivocabilmente che non c’è stata attenzione per le infrastrutture, per mancanza di visione e per l’incapacità di valorizzare gli impianti esistenti. Siamo la terra delle opere incompiute, degli stadi più vuoti e obsoleti, ancora lì a leccarci le ferite dello sciagurato Mondiale del ’90, con impianti nati vecchi, sperpero di denaro pubblico e nessuna attenzione al post-evento. Da allora non è successo nulla, a parte gli interventi per la messa in sicurezza, a colpi di decreto e deroghe del prefetto, quasi sempre sull’onda emotiva di fatti incresciosi, come la morte dell’ispettore Raciti del 2007. Logico pensare che ogni riforma dovrà necessariamente passare attraverso una revisione, diciamo pure rivoluzione, dell’impiantistica sportiva.

Lo Stadio Adriatico di Pescara nella sua veste iniziale (Fotocelere Torino)

Nel resto d’Europa, in piena controtendenza rispetto al nostro paese, si sta parlando (anche con esempi concreti) delle “Standing Area”, cioè di quei settori dello stadio con i posti in piedi. Cosa ne pensi?

La folla assiepata alle spalle della porta a San Siro fa parte dell’immaginario collettivo del calcio italiano. Così come i parterre di certi campi minori che sembravano davvero usciti dai turni preliminari della FA Cup. Sarebbe bello ritrovare le vecchie “terraces”, riservando delimitati settori al tifo vecchia scuola. Un chiaro segnale in direzione opposta al calcio glamour. Ma quando vedo lo storico parterre del Moccagatta trasformato in una tribunetta con pensilina trasparente a mo’ di fermata del tram, capisco che sarà dura.

Dopo l’uscita della prima edizione del tuo libro hai messo a disposizione dei lettori e degli appassionati anche un gruppo su Facebook in merito all’argomento da te trattato e che conta oltre 5.000 iscritti. Vuoi parlarcene?

È un gruppo nato per accompagnare la pubblicazione della seconda edizione, in realtà, quella del 2012. Con il tempo si è sviluppato più autonomamente, rimanendo un punto di riferimento per il popolo degli stadi. C’è un po’ di tutto, collezionisti, giocatori, giornalisti, ma soprattutto tifosi. Ogni tanto si finisce fuori tema e il gruppo diventa il Bar dello Sport, allora io sono costretto a entrare a gamba tesa. Ma d’altronde ho spesso giocato da mediano, al gioco duro sono abituato.

Il Comunale di Bergamo, ancora privo dei settori di curva

Ho saputo, tra l’altro, che la tua opera ha avuto molto risalto anche all’estero. Ad esempio in Germania mi sembra di aver capito che c’è una rivista tedesca, che si occupa specificatamente del mondo ultras, che ha intenzione di dedicare uno speciale al tuo libro nelle prossime settimane. È vero?

Come no? Unterwegs è una fanzine in lingua tedesca, assai popolare in Austria, Germania e Svizzera. Nata originariamente nel 1996 negli ambienti vicini al Rapid Vienna, con il tempo è divenuta una regolare pubblicazione sul mondo ultras con frequenti approfondimenti sui campi e le tifoserie italiane. Io stesso sono stato davvero sorpreso del forte interesse per il mio libro e i nostri stadi. Le techno-arene teutoniche sono belle, colorate e ultra confortevoli, ma quanto a carattere e identità perdono il confronto con i nostri vecchi catini, mi dicono.

Il Benelli di Ravenna nel giorno della sua inaugurazione

Ulteriori progetti per il futuro?

Vorrei finalmente terminare un vecchio progetto su cui sto lavorando da anni, Vecchi Spalti, storie di stadi che non sono più tra noi. Ancora stadi, è vero, ma in una prospettiva molto diversa, dando spazio a temi e linguaggi narrativi differenti. E poi basta, che siano altri a raccontare il finale della storia, magari è la volta buona che torno a occuparmi di temi più nobili, soprattutto la storia medievale e la letteratura del fantastico, mie vecchie passioni. Mi piace molto seguire i progetti dei colleghi, spesso sono io stesso a suggerire i lavori di ricerca e non ho mai fatto mancare il mio contributo, per quanto possibile. E mi piacerebbe poter collaborare davvero con i signori del calcio, quelli della Lega, della Federazione e del CONI, far capire loro che le radici sono importanti quanto i progetti futuri; ma parliamo due lingue diverse, viviamo su pianeti distanti, del resto l’Italia quattro volte campione del mondo non ha neppure un vero Museo del Calcio. E allora a poco servono le prestigiose prefazioni che introducono i miei libri, da Tavecchio a Malagò, da Uva ai ministri Lotti e Delrio, tutta gente con cui, peraltro, non mi sono mai incontrato di persona. E poi c’è il progetto più interessante di tutti, quello di un programma a puntate per la televisione. Il primo episodio, dedicato alla storia dei campi capitolini, è piaciuto a tutti, ma poi non se n’è fatto nulla. Su Mediaset si è abbattuto il ciclone Vivendi, alla RAI non mi avevano detto che il prodotto lo volevano gratis perché non ci sono quattrini (sì, proprio così)

Lo Stadio Alessandro Lamarmora di Biella negli anni ’30

Vuoi aggiungere qualcosa a questa nostra piacevole chiacchierata?

Il calcio è di chi lo ama, recitava un fortunato spot televisivo. Ed è vero, il giuoco più bello del mondo non ha padroni. Ha le sue leggi, semmai. Una delle più importanti dice che il calcio, quello vero, va vissuto sugli spalti. Andateci allo stadio, fatelo davvero. È la vostra arena. Amatela. Rispettatela. Bramatela.

Grazie mille Sandro, e a presto.

Grazie a te Daniele, e a tutta la redazione di Sport People.

Daniele Caroleo.