Potrei davvero raccontare tanto di questa giornata senza mai accennare alla partita e al confronto tra le due tifoserie. Ci sarebbe, ad esempio, da scrivere minuziosamente come a un fotografo munito di regolare accredito accettato dalla società venga interdetto l’accesso al campo forse dall’arbitro, forse dalla società, forse dalla polizia. Sì, succede anche questo quando si entra in contatto con realtà dove la psicosi ultras e l’incompetenza istituzionale entrano inevitabilmente in contatto, facendo piazza pulita di qualsiasi logica e qualsiasi buon senso. Va così, capita di arrivare all’Anco Marzio di Ostia e vedere uno stadio letteralmente blindato con sedicenti steward che, senza conoscere minimamente il regolamento, affermano senza se e senza ma: “Oggi in campo non entra più nessuno, disposizioni dell’arbitro che non vuole più di due fotografi”. Da quando l’arbitro abbia il potere di mettere sotto scacco la società di casa rimane un mistero.

Quasi impossibile trovare un dirigente di casa, assieme a un altro ragazzo in possesso di accredito tentiamo di arrangiarci cercando un pertugio dietro le reti di fondo campo e provando a entrare nel cancello che dà sul bordo del campo opposto alla tribuna; ma stavolta la polizia, addirittura i graduati in possesso di telecamera per riprendere lo sbarco dei mille miliziani di Al Qaeda, si prende il lusso di venirci a far sloggiare dal piccolo trespolo che avevamo trovato per fotografare un qualcosa. “Tu non sai cosa è successo due anni fa a Sora!”, mi dice uno di loro, quasi come li avessimo creati noi eventuali disordini tra le due tifoserie. “A me francamente non interessa, non è colpa mia se si fatica a tenere a bada 40 persone e si creano scenari da guerra civile, io cerco solo di fare il mio lavoro essendo in possesso di un regolare accredito rilasciato dalla società Ostiamare”, rispondo io parecchio piccato. Ma capisco anche che è il caso di lasciar stare, almeno con questa gente. Del resto le loro risposte sono intuibili se la pazienza comincia a mancare: “Documenti prego”. Voglio evitare, lo dico senza falsa modestia, ma mi ritengo troppo più intelligente.

Nel frattempo vediamo che agli ultras dell’Ostiamare vengono fatti problemi per far entrare delle semplici bandierine. Al pari di tamburi e megafoni banditi altrove, pericolosissimi strumenti di tortura e morte. “Oggi è una giornata diversa”, gli dicono gli uomini in pettorina gialla, a testimoniare la dannosità della loro presenza avallata dal Decreto Pisanu. La partita inizia, non sappiamo cosa fare. Il nervosismo ci pervade al punto che pensiamo persino di riprendere la macchina per percorrere la Via del Mare in direzione Roma. Poi, quando la gara è iniziata da un quarto d’ora, arriva il pullman dei Sorani. Con le forze dell’ordine che si preparano manco dovessero accogliere l’esercito di Napoleone pronto a invadere la Russia. Decidiamo almeno di entrare sugli spalti, anche se seguire il confronto delle tifoserie dalla tribuna non è il massimo. Quando al 20′ entrano gli ultras ospiti il match si accende: continui scambi di offese con i lidensi che mostrano anche uno striscione nei confronti dei rivali: “Sora tua…chiuso!” con il disegno di una suora e di due dita che si incrociano. Per chi non lo sapesse, questo è un giochetto molto in voga tra gli adolescenti e consiste nello scambiarsi una sorta di maledizione quando si vede una suora per strada, toccando la persona più vicina per scaricare su di lei la stessa dicendo appunto, in dialetto, “Sora tua, chiuso!”, dove il chiudere le dita equivale col non poter più ricevere suddetta maledizione. Il tifo nella prima frazione si mantiene buono da ambo le parti, anche se purtroppo i massicci controlli hanno impedito l’accesso di qualsiasi strumento pirotecnico.

Arriva l’intervallo e noi ritentiamo l’assalto per scattare qualche foto da una posizione decente. Stavolta ci facciamo chiamare proprio un dirigente dell’Ostiamare che, come da logica, ci dà ragione dicendo che possiamo, anzi “dobbiamo”, entrare in campo. Eppure lo steward preposto al cancello che separa gli spalti dagli spogliatoi non vuol farci passare. Incredibile ma vero, ormai la psicosi e la paura delle società (giustificata arrivo a dire, visto l’autoritarismo militare delle forze dell’ordine in materia calcistica) di prendere multe per la minima banalità, dona più potere a un semplice uomo con un fratino giallo che a un dirigente della società ospitante, dicasi anche padrone di casa. Fortunatamente a chiudere questo balletto con continuo scarico di responsabilità, arriva il presidente dei lidensi che ordina l’apertura del cancello. Riusciamo a portarci dietro le panchine e finalmente abbiamo una visuale decente per fotografare.

Il secondo tempo ricomincia e le due tifoserie tornano a disporsi sugli spalti. Il Sora trova quasi subito il vantaggio, mandando in visibilio i propri tifosi mentre gli ultras di casa espongono un altro striscione verso i dirimpettai: “La storia parla chiaro, sorano ciociaro!” trovando la pronta risposta dei bianconeri che ricordano agli ostiensi le loro origini marittime. Se non avessi il veleno per quanto accaduto a margine, mi godrei anche con più serenità una sfida che comunque è interessante. Sul campo l’Ostiamare avrebbe anche l’opportunità di pareggiare su calcio di rigore, ma il penalty finisce fuori uccidendo le speranze ostiensi di portare a casa almeno un punto. Finisce con il Sora a festeggiare sotto al settore e la polizia che nel frattempo si dispone per far uscire i bianconeri, primi a lasciare lo stadio. Anche per noi è giunto il tempo di tornare a casa, indovinate un po’ da quale porta usciamo? Quella che un’ora e mezza prima non era accessibile per disposizioni delle autorità per quello “successo due anni prima”. Passiamo in mezzo ai tifosi ospiti che stanno riprendendo il pullman, nessuno ci dice ovviamente niente. Perché il problema non sono loro fondamentalmente. Il problema siete voi che non sapete e non volete gestire 40 persone costringendo le società a violare i regolamenti ed entrare nel pallone a causa della vostra pressione.

Simone Meloni