Ero consapevolissimo che, se fossi andato lo stesso a Varese, di ultras della Mens Sana non ne avrei visti. Ma sono partito uguale. Se non altro per una testimonianza, per capire cosa c’è dietro ad un divieto di trasferta assurdo e ad uno squallido scenario di abusi e vessazioni.

Lo ammetto: ci ho sperato fino all’ultimo secondo della mia presenza al “Campus” di Varese, che facesse un’improvvisa apparizione un manipolo indomito di ultras della Mens Sana. Ma posso ben capire come vanno queste cose. Una strana telefonata o qualche messaggio criptato (nemmeno più di tanto) per interposta persona e la voglia passa. Non va biasimato nessuno per questo.

Il divieto di trasferta per i Mensanini arriva nell’ambito di una settimana in cui lo Stato ha fatto vedere il suo volto peggiore, quello del repressore tirannico, per giunta incapace fino all’angolo più remoto dei propri muscoli e neuroni. Dal “nessun colpevole” per la morte di Stefano Cucchi nel processo di appello, alla maniera inetta e violenta di reprimere degli agenti impegnati a tenere a bada gli operai dell’AST di Terni. Passando, ovviamente, per il “piatto” forte del Torquemada tricolore, ovvero i divieti di trasferta: dall’ingiustificato e mediatico terrore per Napoli-Roma fino al diniego di trasferta per i tifosi della Lupa Roma in quel di Castellammare di Stabia. Ci sarebbe da scrivere un’enciclica su quest’ultimo atto di forza contro una tifoseria che non esiste, ma tant’è. Nel bel mezzo di questa infausta settimana è capitato anche questo “stop” alla gita (perché di questo si sarebbe trattato) dei tifosi senesi a Varese.

I supporters biancoverdi, e più in particolare gli ultras – ci mancherebbe altro – stanno passando una strana stagione: sembrano proprio loro, infatti, i predestinati alle prepotenze peggiori in ambito di repressione poliziesca. La prima trasferta a Piombino è stato un assaggio, un caldo aperitivo per la stagione (con atteggiamenti poco amichevoli della celere preposta al servizio d’ordine), passando per la grottesca trasferta permessa all’ultimo minuto a Montecatini.

Parliamoci chiaro: fino alla scorsa stagione, salvo casi eccezionali, le trasferte a porte chiuse nel basket sembravano un pericolo assai lontano. Sia le società, sia le varie Leghe, hanno sempre cercato di tutelarsi per non far fare al basket la fine del calcio, con una fuga inarrestabile di spettatori. Ciò nonostante, anche questo sport comincia, pian piano, a marcare pericolosi precedenti.

Arrivo a Varese attraversando il centro storico. Si cammina veramente a passo d’uomo. La città lombarda tutto pensa tranne che alla partita del suo secondo sodalizio dalla palla a spicchi. Robur et Fides: pochi tifosi, zero ultras, ma una grandissima tradizione. La squadra nasce nel 1902, e ha conosciuto il suo splendore maggiore tra gli anni’60 e ’70, con partecipazioni alla massima serie e con appassionanti derby contro il Varese Basket. C’è tanta gloria, sempre se ci rapportiamo alla dimensione del club, in questa società, che oggi punta sul suo vivaio e su un buon centro sportivo per guardare al futuro senza passi più lunghi della gamba.

Arrivo al “Campus”, impianto quasi adiacente allo Stadio “Ossola” e al palazzetto dello sport, dove si registrano ben altri numeri. C’è un certo movimento di spettatori; di ospiti, neanche a dirlo, zero. Mi guardo intorno per vedere se c’è traccia di qualche imprevisto, ma nulla totale. Servizio d’ordine, tra polizia e carabinieri, presente ma ridotto all’osso e praticamente non operativo.

Sul caldo parquet mi fa tutto strano. La musica a palla, la gente tranquilla. Un piccolo palazzetto che è un gioiello: nella sua miniatura ha una tribuna e una curvetta. Lì si sarebbero messi i tifosi biancoverdi. Buoni numeri oggi, ma il tutto esaurito non c’è. Qualche ospite al seguito avrebbe aiutato il cassiere. Pericolo di agguati da parte dei tifosi del Varese? Roba da psicofilm proiettato solo nella mente di chi elabora certi divieti.

Cosa ci sto a fare? La domanda è legittima. Allora vado da qualcuno, cerco di parlare e di far parlare. Trovo un dirigente della Mens Sana, è vestito piuttosto elegantemente. Si fa fatica a dialogare per via della musica alta, ma alla mia domanda su cosa ne pensa del divieto ai tifosi biancoverdi egli è come una valvola che non vedeva l’ora di essere aperta. Più che una risposta al mio quesito, il suo è uno sfogo: mi parla dei manganelli “accarezzati” gratuitamente dalla celere a Piombino, delle continue provocazioni degli agenti e della maturità della sua tifoseria; continuando, parla dei salti mortali per far andare i propri supporters a Montecatini e di come a Mortara sia tutto filato liscio. “I nostri tifosi sono tranquilli, non c’era motivo di vietargli la trasferta”. Ma come si è arrivati ad un provvedimento del genere? La risposta è sin troppo diretta: “La segnalazione è arrivata dalla questura di Livorno, pensi un po’! Ma che diavolo c’entra Livorno? Da Livorno la segnalazione è andata a Varese e da Varese a Siena”. Può bastarmi così. Ringrazio e vado a sentire dall’altra parte.

Mi parla un dirigente della Robur et Fides, in là con gli anni e che pare avere un ruolo di primo piano nel sodalizio. Non approfondisco. Mi dice che alla partita manca qualcosa, “Sarebbe stata una festa più bella. Certo, quanti sarebbero stati? Un centinaio? 100 x 8€ fa 800€, non ci avrebbe cambiato la vita, ma ci avrebbe fatto piacere averli qui. Per noi è una partita storica”. Poi, da persona che di storie troppe ne potrebbe raccontare, passa a qualche racconto di come oggi la sua società va avanti con dignità grazie ai suoi giovani e senza spese pazze. Il bello del basket è anche in queste storie, magari tinte di amarezza perché, appunto, manca quel qualcosa.

La partita comincia. Con molta sfiducia, spero nel “Coup de theatre”. In tribuna dei bambini fanno da torcida. Cantano “Dove sono gli ultrà?”, “Chi non salta è un senese” e un “falliti falliti”. Mi ricordano tanto i bambini della Juve, ma questi hanno persino più repertorio.

La Robur et Fides parte bene, fino a subire il sorpasso di una squadra veramente forte come la Mens Sana. Il pubblico partecipa con entusiasmo, i ragazzi di Varese ci sanno fare. È una bella lotta, ma, come detto, sono gli ospiti ad avere quella marcia in più. Ogni tanto guardo verso il cancello di ingresso, speranze di sorprese zero e sottozero. Finisce il primo tempo con Siena in vantaggio, prendo le mie cose e vado via. E lo faccio con molta amarezza. Anche fuori non noto nessuno, se non poche persone che prendono la strada di casa, come me, anzitempo.

Stefano Severi.