Il calcio è spesso come un’amante crudele, che proprio mentre ti blandisce sta consumando i suoi tradimenti peggiori. O quando ormai avevi smesso di credere nella bontà dei suoi sentimenti, riesce a stupirti con le più inconfutabili prove d’amore.

A San Benedetto del Tronto, dopo anni di delusioni calcistiche che hanno portato la tifoseria al limite della disillusione, riesplode, come questa primavera piena che ha già i primi profumi dell’estate, l’amore della città per la sua anima gemella rappresentata perfettamente dalla sua squadra di calcio.

Quando si crede nell’amore, si finisce per credere anche nel destino e a voler vedere sotto la lente del romanticismo anche quelle coincidenze che in casi meno felici assumerebbero la valenza di casualità: così succede che mentre la Samba arrivi oggi ad ospitare la Jesina con la più che concreta possibilità di festeggiare la matematica promozione in Serie C, dopo un campionato ampiamente dominato, ricorra il 60esimo anniversario della prima storica promozione rossoblu in Serie B.

Per questa occasione, il “Comitato Fondazione Ballarin” decide di organizzare un corteo che porterà i tifosi al nuovo “Riviera delle Palme”, muovendo proprio dal vecchio stadio in cui questo storico evento si realizzò, quello appunto intitolato alla memoria dei fratelli Ballarin morti nella tragedia aerea di Superga che costò la vita ad atleti e staff del Grande Torino.

Il sottile filo rosso del dramma si lega con la storia di questo impianto sportivo, teatro di un luttuoso evento sempre in occasione di una promozione in Serie B, quella maturata il 7 giugno 1981 dopo il pareggio con il Matera, ma segnata indelebilmente dalla tragedia che si consumò in Curva Sud, allora tempio del tifo locale: la tanta carta portata all’interno a scopo coreografico, sotto forma di coriandoli e strisce, prese accidentalmente fuoco; il vicino idrante non funzionava, le chiavi dei cancelli di emergenza non si trovavano, così migliaia di persone rimasero intrappolate tra il fuoco e la ressa per sfuggire alle fiamme. Centinaia furono i feriti, due ragazze purtroppo morirono e il calcio, come al solito, già da quei tempi non sospetti, diede il peggiore esempio facendo giocare ugualmente la gara, dopo 16 minuti di rinvio.

Il “Ballarin” (che, scopro con mia grande sorpresa, a San Benedetto pronunciano con l’accento sulla a e non sulla i, come l’origine chioggiotta dei fratelli Aldo e Dino suggerirebbe) nel frattempo è stato abbandonato a sé stesso, la marcia dei tifosi ha perciò, oltre all’intento commemorativo, anche quello della sensibilizzazione. Dopo aver apposto una targa in memoria di quella storica Samb 1955-56, i presenti si radunano dietro lo striscione “La storia non si demolisce” e fra cori, bandiere, fumogeni e battimani, si dirigono all’appuntamento con la storia attuale.

Con l’amico Giobo seguo il corteo per un po’, ma l’impresa diventa sfiancante per il numero di fotografi e videoperatori veramente impressionante, che risultavano molesti per me, immagino quanto potessero infastidire i tifosi stessi. Oltre al danno di trovarci lo sciame sempre davanti all’obiettivo, per usare un eufemismo, ci becchiamo pure la beffa del comprensibilissimo rimbrotto di uno dei ragazzi in prima linea. Solidarizzando pienamente con le sue ragioni, decidiamo che qualche scatto ci è più che sufficiente e lasciamo il compito del servizio matrimoniale al resto dei fotografi sgomitanti e bava alla bocca. Sarà anche per la mancanza di questo tipo di competitività sciatta che non abbiamo tanto spazio nel giornalismo tradizionale…

Con il corteo che distoglie attenzioni, riusciamo ad arrivare e parcheggiare a due passi dallo stadio con la stessa facilità con cui ritiriamo l’accredito. Ci resta il tempo per salutare qualcuno in giro, bere qualche birra e tradire con un po’ di sane chiacchiere l’attesa che ci separa dal calcio d’inizio.

Il tempo scorre inesorabile, per cui guadagniamo l’accesso al terreno di gioco. Anche qui la calca di fotografi è significativa, a rimarcare l’importanza della giornata, ma quantomeno circoscritta ai professionisti ed epurata dagli improvvisati che persino con cellulari e tablet infestavano il corteo.

Gli spalti si vestono con gli abiti della festa. I numeri sono veramente notevoli per la categoria: le cronache parlano di 7.000 presenze tra le quali, ovviamente, ci sono pure tanti occasionali, ma è logico che sia così e per quanto sarebbe bella l’utopia del coronamento del sogno festeggiato con gli stessi intimi che c’hanno creduto anche nella miseria dei giorni più tristi e duri, credo sia una situazione ricorrente, che lascia il tempo che trova e sulla quale non mi ci fossilizzerei troppo.

La valutazione più opportuna sulla presenza di tanti tifosi dell’ultim’ora, riguarda il tipo di influenza che la massa di non abitudinari possa avere sul tifo. L’impatto iniziale è sicuramente impressionante, tanto per i numeri quanto per il livello dell’entusiasmo che inizialmente trabocca dalla Curva Nord (e in parte anche dagli altri settori), ma ne riparleremo dopo con calma.

Nel frattempo, per aggiungere il pepe agli ingredienti del ricco piatto di giornata, arrivano anche gli jesini: per non disperdere la capacità della Curva Sud, solitamente adibita a settore ospiti, gli stessi vengono dirottati in Tribuna Laterale Sud, lasciando anche la seconda Curva di casa a soddisfare l’alta richiesta locale di biglietti.

Confermano da subito di non essere venuti a partecipare ad una stucchevole pantomima in nome del fair-play e della sportività perorata dai Blatter della situazione, dietro la cui posticcia ed ipocrita facciata poi nascondono le loro sporche malefatte, come le società off-shore dello scandalo “Panama papers” in cui i vari vertici calcistici sono stati scoperti con le mani nel fango della corruzione.

Gli jesini onorano da subito il campanile e omaggiano di gestacci e cori tutt’altro che beneauguranti i padroni di casa. Sulla presenza numerica, devo essere sincero, mi deludono un po’ proprio in ragione della rivalità, della relativa vicinanza e della loro classifica che, se non è certo esaltante, non è assolutamente mortificante.

Anche il tifo ospite, con altrettanta sincerità, è molto deludente per gran parte della partita. Era oggettivamente difficile dire la propria in un contesto del genere, spumeggiante di entusiasmo, numeri e rumore, ma loro nemmeno sembrano provarci. Dopo un primo tempo del tutto anonimo, nel secondo sono però autori di 15-20 minuti in cui si scrollano l’apatia di dosso inanellando una serie di battimani e cori secchi di buon livello. Tutto il loro colore, oltre alle pezze in balaustra, è in un paio di bandiere sventolate con nemmeno troppa continuità. Per una buona metà del secondo tempo sono stati autori di un tifo sicuramente più che buono, ma resta quasi un altro tempo e mezzo in cui sono stati molto al di sotto delle aspettative o di come li avevo visti in altre occasioni.

Venendo più ampiamente al tifo sambenedettese, affiancato quest’oggi dai fratelli riminesi presenti con le due sue anime (Red White Supporters e Per Rimini), il primo rischio che non vorrei correre (al contrario degli ospiti con cui non vorrei sembrare troppo severo) è di risultare troppo generoso. Ci sono però dei dati oggettivi e contestualizzanti, il primo riguarda il già citato colpo d’occhio numerico che non è da Serie D e questo è poco ma sicuro: per dirla tutta c’è qualcuno persino in Serie A che non arriva a quei numeri, ma là siamo davvero a dei casi limite.

Che siano accorsi tanti occasionali è stato ugualmente già detto: è fisiologico, ma credo che il valore quantitativo e qualitativo di questa tifoseria sia universalmente riconosciuto e non da oggi. Gli stessi occasionali di cui sopra in certi frangenti zavorrano il tifo, ma nemmeno tanto per dirla tutta: sarà che a queste latitudini certi strumenti di tifo come i megafoni sono ancora tollerati, al pari dei tamburi, per cui il coordinamento del tifo è tutto sommato buono. Non pazzesco ed assurdo, ma sicuramente buono. Quando poi in determinati momenti, eventi clou in campo o cori particolari, la massa decide di seguire, ne vengono fuori dei boati veramente notevoli. Il “Picchio merda” che conclude il coro sulle note de “Il ballo di Simone” è di una potenza da far male alle orecchie.

Nel corso della partita la pirotecnica si spreca, buona dose di colore grazie ad una serie di bandieroni, oltre qualche altra piccola bandiera di misura inferiore e qualche due aste. Espongono uno striscione con i nomi della formazione storica della prima promozione in B e si rendono autori di una serie di battimani molto belli, sia come impatto visivo che come efficacia sonora.

Potrei dire che oltre al clima festoso e da grande evento sono favoriti anche dalla risonanza offerta dalla loro copertura, ma se dicessi che il loro tifo non è stato bello, rinfrancante per tutti gli amanti del mondo ultras e ben più che positivo, direi una menzogna. Al bando la prudenza per non risultare enfatico, ma questa promozione la meritano appieno gli ultras della Samb, anzi è il minimo dovuto ed il calcio farebbe un incredibile spot a sé stesso se i rossoblu arrivassero a giocarsi il derby in B con gli odiati vicini di Ascoli. Punto.

In campo la Samb trova il vantaggio facendo esplodere lo stadio, pareggio quasi immediato della Jesina, ma i ragazzi di mister Ottavio Palladini si mettono giù di buzzo buono e riescono a tornare negli spogliatoi rinfrancati dal 2-1 segnato al 42esimo. Psicologicamente conta molto un goal così, a pochi minuti dal riposo, per chi lo segna e per chi lo subisce, a cui non basterà quel quarto d’ora per riprendersi dalla delusione.

È la stagione della Samb e lo si vede anche da questi piccoli particolari, dalla fortuna che soffia alle proprie spalle come un vento a favore: dopo un secondo tempo molto più statico e meno emozionante, a poco più di 5 minuti dal termine la Jesina ha l’occasionissima per pareggiare, ma il tiro a botta sicura del giocatore viene respinto sulla linea di porta.

Inesorabile arriva il triplice fischio finale. Dagli altoparlanti risuona prevedibile ma emozionante “We are the champions” dei Queen. In barba ai precedenti annunci dello speaker, i primi tifosi scavalcano ed invadono il campo, poi le porte vengono saggiamente aperte e la festa diventa davvero di tutti quelli che l’hanno resa possibile, tifosi e squadra in un unico abbraccio euforico.

Solite scene di ogni festa del genere: caccia a maglia e calzoncini, capannelli di gente a cantare, bandiere, coppie che si baciano, qualcuno che piange di gioia, la coppa lanciata dai giocatori alla Curva come riconoscimento del ruolo di dodicesimo in campo. Un gruppetto si reca fin sotto agli ospiti per provocarli, ma la cosa resta senza conseguenze.

In tutto ciò, gli ultras della Curva Nord restano imperterriti e compatti ai loro posti, dietro ai loro striscioni. Sempre dalla stessa parte, quella difesa da tutto e tutti quando le cose non andavano bene, la stessa in cui restano a festeggiare questa tanto attesa e matematica promozione in Serie C.

Meritatissima.

Testo e video di Matteo Falcone.
Foto di Matteo Falcone e Gilberto Poggi.

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