Dopo il divieto di Crotone, figlio delle tensioni registrate al Santa Colomba nel derby contro il Benevento, gli avellinesi tornano a viaggiare nel giorno dell’Epifania, che purtroppo se “tutte le feste porta via” altrettanto non fa con le infami restrizioni dei soliti noti. L’occasione è una delle sfide che negli ultimi anni hanno visto maggiormente crescere la rivalità fra le contendenti, quella contro il Latina. Il geniale e integerrimo (nonché indispensabile come un maglione in pieno agosto) Osservatorio Nazionale sulla Manifestazioni Sportive ha “ovviamente” indicato la gara fra quelle a rischio, restringendo l’acquisto dei biglietti per i soli tifosi irpini in possesso di tessera del tifoso (o fidelity, chiamatela come volete, tanto sempre la stessa schifezza è!). “Consigli” – come piace definirli ai carbonari capeggiati da Autostrade, Ferrovie e Autogrill nelle loro riunioni – che il GOS ha ratificato, lasciando quantomeno invariata la capienza del settore ospiti del Francioni.
Si parte dunque alla volta del capoluogo pontino con il meteo che, pur non promettendo nulla di buono, alla fine reggerà, salvo qualche goccia di tanto in tanto. La giornata è quella che più si presta al calcio: i più pelandroni preferiscono rimanere con la forchetta infilzata nella lasagna, magari aspettando l’estrazione della Lotteria Italia e gongolando di fronte alle trasmissioni nazional popolari, mentre chi vuol dar voce al proprio cuore indossa la sciarpa, prende la bandiera e si lascia alle spalle casa per sostenere i propri colori. Il che vuol dire che a presenziare ci sarà davvero chi “serve”. Da una parte e dall’altra. Se, infatti, il numero di ottocento biglietti staccati in Irpinia non può sembrare esorbitante, considerato il giorno festivo (che in più cade di sabato) e la distanza, personalmente credo che sia la cifra esatta per scremare la parte di seguito “normale” ed esaltare lo zoccolo duro della curva, che oggi infatti farà davvero bella figura. Su fronte nerazzurro, invece, la “macchia” che si palesa dietro le pezze del Leone Alato è più che consistente, rinvigorita dalla presenza dei gemellati di Regensburg e Cisterna. Ma andiamo con ordine.
In tempi di accrediti negati anche in Eccellenza, devo spezzare una lancia in favore del club laziale: mai un problema, mai un diniego, mai un ostacolo. Risposte chiare, ritiro del pass semplice e veloce e uno stadio dove non ci si sente mai braccati come se si stesse rubando. Un tempo questa era la normalità, oggi è sempre più una chimera, con molte società divenute schiave delle manie di protagonismo dei propri uffici stampa o semplicemente della loro incapacità. Quindi sempre meglio sottolineare le belle eccezioni. Quando entro sul sempre fangoso manto verde del Francioni le tifoserie non hanno ancora fatto il proprio ingresso, mentre il continuo rumore dei bomboni esplosi segnala che i ragazzi della Nord sono intenti a effettuare il loro pre partita. Le squadre rientrano negli spogliatoi e a questo punto anche il settore biancoverde comincia a popolarsi, sebbene gli ultras entrino proprio a ridosso del fischio d’inizio, inscenando un piccolo corteo in cui brandiscono tamburi, striscione e bandieroni provocando gli avversari con i primi cori che, di fatto, aprono le danze del confronto.
In virtù del netto risultato del campo (0-5 per l’Avellino) si devono fare varie considerazioni. Innanzitutto: nulla è scontato. Non è scontato che con un passivo così impietoso la curva di casa continui comunque a macinare tifo fino all’ultimo minuto di recupero. E non è neanche scontato che il contingente campano sfoderi una prestazione davvero ottima, a partita praticamente chiusa. Vero, per loro tutto è stato in discesa, ma ormai spesso e volentieri assistiamo a situazioni da vera e propria scampagnata allorquando sul manto verde la contesa viene chiusa da una delle due squadre. Nulla di ciò invece, ecco perché da un punto di vista prettamente del tifo oggi le due fazioni saranno davvero inappuntabili.
Gli ultras pontini, di cui spesso in questi anni ho evidenziato la crescita numerica tra le mura amiche, nonché una sempre maggiore attitudine al tifo, confermano quanto di buono fatto vedere ultimamente. Posso non essere un fan del total black, ma va detto che per la complessità della piazza latinense tenere unito un blocco centrale in maniera abbastanza granitica e riuscire comunque a farsi sentire costantemente per tutto l’arco della gara, fa passare in secondo piano qualsiasi considerazione personale sul “dress code”. Inoltre comprendo bene che ultras è anche un fenomeno di costume e nella società dei social e della globalizzazione estrema, è davvero difficile rendere le curve avulse da tali processi antropologici. Quello che più manca in Italia, almeno credo, è la diversificazione tra le varie piazze. Il trovare cori, vestiario, stendardi e nomi differenti da città a città. Ma i tempi piatti e omologati che viviamo non permettono certo chissà quale opera di fantasia. Inutile, dunque, pensare che il tifo organizzato possa essere poi così distante da ciò. Del resto non abbiamo sempre detto che lo stadio è lo specchio della società?
Tornando alla performance nerazzurra: tante manate, cori a rispondere, un paio di sciarpate e qualche torcia accesa. Il tutto ritmato dal tamburo e colorato da un paio di bandieroni sempre sventolati. Bello lo slancio con cui il lanciacori, dopo l’ennesimo gol subito, ricordi come loro siano l’unica parte che oggi si possa salvare e pertanto sia obbligatorio continuare a cantare per non farsi sovrastare dai dirimpettai. Nota di merito, a margine, per la tribuna scoperta dell’impianto laziale, che come sempre si dimostra sufficientemente “ignorante” e rabbiosa, rivolgendosi a più riprese ai guardalinee e all’arbitro con svariati epiteti e supportando la contestazione finale di una curva che ovviamente non ha mandato giù una prestazione indecente, arrivata al termine di un periodo senza vittorie che dura ormai da fine novembre.
Per quanto riguarda il settore ospiti, come accennato poc’anzi, la prova dei biancoverdi è davvero di ottima fattura. Rispetto all’ultima volta che avevo avuto modo di vederli (a Caserta qualche mese fa), gli avellinesi mostrano una maggiore compattezza e un piglio più rabbioso. Probabilmente la differenza è anche nell’avversario: rivali quest’oggi, amici al Pinto. Ragione per cui sono sempre più restio nel prender parte a match dove vigono gemellaggi e buoni rapporti. Nell’era dei divieti e delle chiusure a oltranza, assistere a un confronto con acredine è sempre più necessario per assaporare l’essenza dei tifosi da stadio. Mi spiace per tutti i benpensanti che vorrebbero pace, amicizia e ipocrite strette di mano. Lo sport, ancor prima degli ultras e del tifo, è nato, si è sviluppato e ha avuto diffusione anche e soprattutto grazie alle rivalità. Basta aprire un qualsiasi libro di storia antica per appurare quanto sia greci che romani, nelle loro rassegne, dessero molta importanza a questo aspetto. E anzi, proprio i romani, spesso lo sfruttarono per dare l’illusione al popolo di essere sovrano e potersi confrontare su questioni comunque di lana caprina.
Sta di fatto che quel filo di tensione che si avverte, aiuta nel fomentare e compattare il tifo. Ne vengono fuori novanta minuti intensi, con cori tenuti a lungo, tanti battimani e una bella intensità. Bandieroni tenuti in alto, torce e fumogeni completano l’opera. Guardando la balaustra, dove campeggia lo striscione unico che ormai rappresenta gli irpini da qualche anno, mi ritorna in mente il discorso già fatto parlando del tifo casalingo: il Partenio è stato uno di quegli stadi dove si scorgevano le più disparate e originali sigle. E, seppur dal fallimento tante cose e generazioni siano cambiate, nella mia mente adolescenziale ho sempre apprezzato la varietà di nomi che – come accadeva in buona parte del Paese – vedevi solo quando giocava il Lupo. Oggi quella creatività (sono ripetitivo, lo so) è giocoforza venuta meno. Benché tifoserie come quella avellinese siano state in grado di mantenere comunque uno zoccolo duro importante, facendo leva anche su una lunga tradizione calcistica che per anni ha permesso ai biancoverdi di coinvolgere l’ampia provincia, mantenendo una struttura notevole dalla quale costruire e coordinare il tifo. Poi nessuno me ne voglia, ma se parliamo solo ed esclusivamente di sostegno canoro, io penso che tra i capoluoghi di provincia campani Salerno e Avellino abbiano sempre avuto una marcia in più. Forse perché hanno storicamente prestato molta attenzione a questo aspetto. Certo, una volta eccellevano anche in materiale, oggi a volte stentano sotto questo profilo. A tal merito, unica contestazione che voglio fare agli ospiti è in merito alla sciarpata: per una tifoseria che ha sempre fatto di questo strumento un vanto, è davvero un peccato che da qualche tempo vi abbia quasi rinunciato. Pomeriggi come quelli di oggi sarebbero stati ben suggellati da un muro biancoverde. Ecco, in questo, ad esempio, davvero non riesco a sposare il total black. Anche se, di contro, apprezzo il modo con cui approcciano visivamente alla curva negli ultimi tempi. A mio gusto sicuramente meglio le pezze rispetto allo striscione unico col nome della città (cosa che, in generale, non mi è mai piaciuta perché la vedo come un azzeramento delle diverse realtà curvaiole).
Dopo il triplice fischio le squadre si portano sotto i rispettivi settori. Tripudio, ovviamente, per gli ospiti, che festeggiano i tre punti con il proprio pubblico. Contestazione su fronte pontino, dove gli ultras chiedono a gran voce ai giocatori di togliersi la maglia. L’appendice finale di questo pomeriggio, tuttavia, sono gli ultimi insulti tra le fazioni, con i padroni di casa che a più riprese tirano in mezzo anche i ciociari, amici di lunga data con gli avellinesi. Dopodiché anche per me giunge il tempo di riprendere la strada di casa. Lasciato il fratino nelle incerte mani di uno steward, me ne vado uscendo dalla tribuna coperta, alla vana ricerca di un biglietto utile alla mia collezione. Altro dato di fatto del calcio contemporaneo: i biglietti cartacei che vanno man mano sparendo in favore dei titoli digitali. Sarà civile e utile la svolta green, sarà più pratica l’app di un telefono… ma quanto era bello tenere tra le mani un biglietto e custodirlo gelosamente, sapendo che se te lo fossi perso ti saresti giocato la domenica allo stadio (non potendo contare su mail, wallet e roba varia)? In fondo anche quello era un modo per responsabilizzarsi… Meglio andar via, prima che parta lo sproloquio passatista e la successiva sensazione di star diventando un vecchio rompicoglioni!
Simone Meloni