Non è mai stata solo ed esclusivamente la partita l’obiettivo finale di ogni viaggio al seguito del pallone. Fosse stato così probabilmente avrei mollato da tempo, considerato lo scarso appeal che ormai il calcio giocato esercita su di me. È innanzitutto il “pacchetto completo” che una giornata come quella di oggi può regalare ad ingolosirmi. È lo scappare via da una quotidianità che sarebbe monotona, noiosa. Sempre la stessa. Il poter pensare in solitaria mentre il treno o il pullman macinano chilometri e il cercare qualcosa di nuovo davanti ai miei occhi. Vedere una nuova città, un nuovo panorama. Non solo un nuovo stadio o una nuova tifoseria. Ma assaporare tra le narici il profumo dei campi che arriva dal finestrino o intravedere da lontano una catena montuosa e tirare a indovinare quale sia e cosa ci sia oltre. Col tempo mi sono accorto che è proprio questo ad alimentare la fiamma di una passione trasversale, ben più ondivaga e omnicomprensiva rispetto al semplice amore per le tifoserie.

È anche sano egoismo. Sana voglia di fare spallucce verso chi prende la vita come un’eterna condanna ai lavori forzati o semplicemente marciando sugli ordinari binari della tranquillità. Verso il pantofolaio per antonomasia, per farla breve. Io ho comprato il mio primo paio di pantofole a 35 anni, e solo perché il pavimento di casa d’inverno si raffredda troppo per camminarci scalzo. Ma le odio con tutto me stesso. Detesto quel simbolo di immobilismo e monotonia. A ciò che esse rappresentano preferisco la sveglia alle 3.45, il bus notturno per arrivare a Termini, un regionale per Napoli, un pullman per Foggia e un treno rimasto fermo agli anni ’50 che mi porta a destinazione, in Basilicata. E poi un sano aperitivo al posto della colazione. Davanti a una birra, parlando con chi questo modo particolare di vivere buona parte della mia esistenza non solo lo comprende, ma lo condivide e lo corrobora.

Questo è ciò che mi fa sentire vivo. Forse dovrei preoccuparmene. Perché tutto attorno c’è un mondo che alla mia età fa altro: si sposa, fa figli, costruisce un futuro con la propria famiglia. C’è un mondo che ti dice: “Ancora vai per partite? Ancora con gli ultras?”, non comprendendo ovviamente tutto il mio discorso fatto poc’anzi. E comunque sì: ancora lo faccio. E ancora ne scrivo. E ancora mi illudo di suscitare qualche emozione in chi legge e avere qualche soddisfazione io nello scrivere.

Ovviamente lo stadio Pisicchio di Lavello è una new entry nella mia lista dei campi visitati. La partita è di quelle underground, come direbbe un mio carissimo amico. Cioè una sfida tra piccole ma valide realtà, che non richiama i bagliori mediatici o l’interesse massimo dei groundhopper, discutibile categoria tanto in voga negli ultimi anni. Insomma la sfida giusta per questa tiepida domenica di febbraio.

Con il Monte Vulture che domina l’orizzonte e le sterminate vallate della Lucania che esercitano il loro fascino, è meglio mettere da parte le amarezze e distendere i nervi. Questo piccolo centro situato a pochi chilometri dal confine con la Puglia e abitato da 14.000 anime garantisce ormai da diversi anni una discreta continuità calcistica nonché di seguito ultras. Fare aggregazione di questo genere in posti colpiti perennemente dal fenomeno dell’emigrazione giovanile e con un bacino d’utenza ristretto ha sempre le sue difficoltà. Pertanto assistiamo a due fenomeni contrapposti nelle realtà del tifo meridionale: città di media grandezza che riescono bene o male a sopperire al forzato e repentino ricambio generazione imposto da ragioni sociali e lavorative, e piccoli paesi come Lavello che per portare avanti questo discorso a fronte di suddetti ostacoli necessitano di una costanza e di un lavoro sicuramente meticoloso e complicato per non chiudere i battenti. Quando si fanno discorsi sulla continuità bisogna tenere conto anche di questo. Salvo quelle realtà che davvero riemergono come funghi dal sottobosco in base ai risultati o al momento storico della loro squadra. Comunque penso si possa affermare che a queste latitudini gli Ultras Lavello siano riusciti a dare un loro importante contributo per creare una tradizione ultras.

Allo stadio Pisicchio si respira quella deliziosa aria di provincia: una sola tribuna su cui sono disposti sia i tifosi di casa che quelli ospiti, una pista d’atletica a circondare il terreno di gioco e a permettermi di girare tranquillamente durante i 90′ senza commissari di campo a rompermi l’anima sul dove posizionarmi, inservienti che si raccapezzano per trovarmi una pettorina e profumo aspro di vestiario calcistico a ridosso degli spogliatoi. Tutto ciò riporta minimamente questo sport a dimensioni umane. Sebbene ormai anche nelle categorie dilettantistiche si odano spesso speaker molesti e si vedano giocatori emulare comportamenti e fattezze dei loro colleghi professionistici. Fortunatamente non sarà oggi il caso.

Da Altamura giungono un buon numero di sostenitori biancorossi. Non so quantificare in maniera precisa, ma tra ultras e semplici tifosi direi tra i 100 e i 150. Non me ne voglia nessuno se ho approssimato per eccesso o per difetto. Del resto ciò che conta è la qualità, non la quantità. E da par loro oggi avrò davvero una buona dimostrazione di qualità. Li avevo lasciati qualche anno fa in una partita casalinga contro il Taranto. Mi fecero una buona impressione, così come ebbi un buon giudizio in occasione della finale di ritorno dei playoff di Eccellenza a San Giorgio a Cremano. Ambo le partite tuttavia cadevano in giornate di “gala”, in cui la posta in palio era importante e l’abito elegante d’obbligo. Ritengo che il valore di una tifoseria venga a galla nel tempo e soprattutto in queste partite, dove non ci si gioca la strada di casa e in cui non ci sono motivi di astio con l’altra fazione. Perciò il mio parere sui supporter murgiani è molto positivo: in questi anni sono evidentemente riusciti a tener vivo il discorso ultras in città (cosa non facile, sia per le ragioni sociali suddette, sia per la “stanchezza” e il calo di entusiasmo che subentrano con il passare del tempo) gettando le basi affinché il germoglio divenisse fiore e non appassisse anzitempo. Per loro tanto colore, con tre sciarpate eseguite durante i novanta minuti, molte manate e uno stile che sembra ben delineato, con il contingente ultras ben disposto, a fare quadrato e a sostenere l’undici in campo con tanto divertimento di contorno (che poi resta la base per ogni militanza da stadio). Da segnalare la presenza dei gemellati potentini con tanto di pezza Potenza Ultras.

Su fronte casalingo, come accennato, a tirare le redini del tifo gialloverde ci sono gli Ultras Lavello, gruppo attivo ormai dal 2003. Ciò che risalta subito agli occhi è la loro genuinità nel gestire il tifo. E anche questo è un ottimo spunto per me; il loro stile all’italiana si differenzia dagli altamurani, più improntati su un modello british. Considerato il copia e incolla che vediamo ormai negli stadi, ogni tanto è davvero una boccata d’ossigeno osservare due maniere diverse d’intendere le gradinate all’interno della stessa partita. Senza troppi fronzoli la quarantina di sostenitori lucani è autrice di una bella prova: supportati da un bandierone e da un tamburo i lavellesi non smettono di cantare per l’intera partita e si dimostrano una buona realtà, un valore aggiunto sia per la loro squadra che per il loro paese, in cui sicuramente possono rappresentare un importante punto di riferimento aggregativo. Credo che con i tempi che corrono, con tutte le restrizioni e i divieti in atto, a prescindere da simpatie e antipatie e ancor più dalla fede calcistica o dal campanile, vada riconosciuto rispetto per chi ancora prova ad intessere un discorso di stadio ed a protrarlo nel tempo.

In campo la partita non decolla e si incanala sui binari del più classico degli 0-0. Nulla da segnalare tra le due tifoserie.

Abbandono lentamente il campo, lasciando la mia pettorina a un addetto della società e cercando sugli spalti un biglietto per la mia collezione. Sempre meglio non perdere le vecchie abitudini. Raccolto il tagliando dai romantici gradoni in cemento posso prendere la strada del ritorno. Soddisfatto di questa giornata e con una discreta dose di buon umore. Sì, confermo: vado ancora per stadi e per partite. E lo faccio sapendo che finché ci sarà il contorno, finché le motivazioni verranno da più parti, non sarà mai tempo perso. Semmai solo ben speso.

Simone Meloni