Il tifoso della Lazio vive costantemente alle Termopili. È sotto assedio. Da una stampa che lo ignora, da una città a maggioranza giallorossa, dall’invidia delle tifoserie nemiche – un’invidia che cela, inevitabilmente, grande rispetto. Poco conta, dunque, se avvicinandosi lentamente a Lazio-Como, con una lentezza che il tifoso laziale ha avvertito come una tortura dopo il derby perso di cinque giorni prima, i biancocelesti arrivavano all’appuntamento da quarti in classifica, praticamente già alle fasi finali dell’Europa League da primi del girone e ai quarti di finale di Coppa Italia. Poco importa se, sfottò a parte (sempre siano lodati), la squadra di mister Baroni arrivava alla sfida con i comaschi a +12 dai cugini. Il tifoso della Lazio vive costantemente alle Termopili: non conosce pace.
Quarantotto ore prima di scendere in campo per la prima giornata di ritorno del massimo campionato di Serie A, stagione 2024/25, i tifosi biancocelesti avevano potuto vivere sulla propria pelle questo sentimento così particolare. Si erano infatti ritrovati a Piazza della Libertà, nel quartiere Prati, per rinnovare quella liturgia che di anno in anno colma di gioia, orgoglio e speranza il cuore di un popolo intero. Ma era stata una festa dai sentimenti contrastanti.
Certo, le grandi bandiere assise su Lungotevere dei Mellini, sulla via che procede maestra da Piazza della Libertà appunto, dove il 9 gennaio del 1900 Luigi Bigiarelli, sottoufficiale dei Bersaglieri, aveva riunito con sé un gruppo di giovani atleti per sancire l’atto di fondazione della Società Podistica Lazio, poi Società Sportiva, qui dunque i bandieroni di quel popolo che 125 anni dopo hanno trovato gioia e conforto nel riunirsi e cantare insieme l’amore per questi colori, sventolavano fieramente spinte dal vento di una fredda serata romana e sospinte dall’odore acre dei fumogeni, luci nella notte.
Tutto questo, e canti e festa, avveniva tra le 22 e le 23:59 dell’8 gennaio 2025, prima che dalla mezzanotte all’una del 9 quei canti e fumi, quei cori e quelle voci, quei cigolii sull’asfalto provocati dal palleggio involontario della folla coi vetri delle bottiglie di birra ormai vuote, si trasformassero in coscienza collettiva: la Lazio è più grande di me, di te, di noi.
Noi, propriamente parlando, viviamo grazie alla Lazio, mica viceversa. Non è retorica, signori. È la conseguenza logica di chi ragiona con la storia sulle spalle, e non sopra di essa. I sentimenti contrastanti di cui sopra scaturiscono da ciò: che in ogni grande festa, in ogni sabato del villaggio, si nasconde crudele e amara la malinconia – consorella del tifoso laziale – di chi ne vede il tramonto, e così il proprio. Il derby perso qualche ora prima non ha certo aiutato a rinvigorire l’anima, dinnanzi a un così solido fardello.
Nelle ore che hanno preceduto Lazio-Como, naturale prolungamento delle malinconiche ore proprie della festa, il clima sembrava appesantito. La Lazio doveva rispondere sul campo ad un derby perso senza ardore. I laziali, dal canto loro, avevano già risposto ai giocatori dopo i 90’ della stracittadina: applausi, cori d’amore, inno cantato senza sosta, un po’ come capitato a Lazio-Inter, dopo uno 0-6 che ha rinforzato il legame tra tifosi e squadra più di qualsiasi altra vittoria. Il laziale ha tanti difetti, ma vive per la propria squadra e lo dimostra soprattutto nei momenti più bui.
All’entrata in campo delle due squadre, la Curva Nord ha inscenato un’altra coreografia memorabile, forse anche più bella di quella proposta nel derby, ricchissima di dettagli. A volte, invero, la semplicità è la pennellata più ardita. CXXV: quattro cifre romane per indicare i 125 anni dalla fondazione del club. I numeri sono stati realizzati grazie a tre differenti tipologie di cartoncini: uno bianco, uno celeste e uno d’oro, richiamando così i colori sociali della Società Sportiva Lazio. Poco sotto, l’inimitabile poesia di Franco Battiato (dal brano La cura, del 1996): «Ti proteggerò dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo. Supererò lo spazio e la luce per non farti invecchiare. Perché sei un essere speciale. E io, avrò cura di te». Sopra le cifre romane, una lunga marea di bandieroni, gli stessi che 48 ore prima svettavano su Lungotevere dei Mellini. Tutt’intorno, il flash dei telefonini a rendere l’atmosfera ancora più magica. Come se un velo di stelle si fosse posato per un attimo sullo Stadio Olimpico.
La partita inizia, e la Lazio squadra è il contrario esatto degli oltre 35.000 – felici pochi – tifosi che fin dal 1’ spingono i beniamini alla vittoria: i giocatori appaiono impauriti, deboli, confusi. Il Como, una bella squadra nonostante la classifica, fiuta il terrore dei padroni di casa e sfiora il vantaggio in più di un’occasione, ma sotto questa Curva Nord non si può segnare. Col passare dei minuti, la Lazio cresce e trova il vantaggio con Boulaye Dia. Nella ripresa, l’espulsione di Tchaouna avrà come principale conseguenza il pareggio (definitivo) di Patrick Cutrone, che dopo il gol va a festeggiare sotto lo spicchio dei tifosi lombardi: in una notte così speciale per i laziali, anche loro è la gioia.
Di nuovo le Termopili. Di nuovo quell’orgoglio che fu di Bigiarelli, di Vaccaro, di Lovati, di Chinaglia, di Fiorini e Di Canio, di Nesta, Eriksson e Lulic. Solo chi conosce la malinconia e la tristezza, è poi in grado di fare festa.
Per chiudere il cerchio con i comaschi: tornavano a Roma dopo oltre vent’anni e lo fanno in 480, nient’affatto male se si considera che era venerdì e in un giorno lavorativo, inevitabilmente qualche numero viene meno; bel tifo per loro per tutta la durata della partita, bella punta di colore con la sciarpata del secondo tempo e un paio di torce. Ovviamente il punto visto dalla loro prospettiva è un punto sicuramente positivo, che conferma la crescita dei lariani dopo un inizio stagione in cui hanno faticato un po’ a trovare le giuste misure alla nuova categoria.
Testo di Gianluca Palamidessi
Foto di Agenzia