Fa freddo, un freddo polare a Roma come non se ne sentivano da molti anni, ma ciò non mi intimorisce minimamente. Giacca, cappello e sciarpa, quest’ultima rigorosamente bianco-celeste, rigorosamente sporca e rigorosamente troppo corta per coprire dal vento gelido che spira tra le vie romane.

Mi inoltro in tribuna monte Mario e mostro il biglietto agli steward, i quali, però, non mi degnano neanche di uno sguardo. Da buon cittadino medio che sa come vanno queste cose, capisco in breve che posso sedermi dove mi pare. E subito guardando la vecchia e cara curva Nord laziale, mi balena in mente un pensiero collegato proprio allo steward di prima: per quale motivo sono presenti così tanti steward a ridosso delle barriere  che dividono la curva in due parti esatte? Ma i “capoccia” che decidono hanno capito che quella è una tifoseria unica e che sicuramente i laziali non si creano problemi tra di loro?

Comunque ancora sto sondando il terreno per capire dove potrò avere la miglior visuale, cosa affatto facile in uno stadio  vintage, per non definirlo vecchio, come lo stadio Olimpico, ma alla fine ci rinuncio, tanto so già che mi toccherà perdere qualche diottria nel cercare di decifrare volti e nomi sulla maglia dei giocatori.

Infreddolito ma mai domo finalmente mi siedo sul mio scomodo trono, compagno di mille battaglie e mille mal di schiena e mi accingo ad osservare il settore ospiti.

I tifosi del Crotone saranno 120-150 o forse qualcosa in più. Assiepati sulle gradinate dell’Olimpico saltano, cantano e ballano nel pre-partita per sconfiggere il freddo polare al quale forse non sono abituati nel caldo sud dell’immaginario collettivo.

Noto che i tifosi rosso-blu sventolano delle bandiere molto ben curate rispetto alle altre tifoserie che ho visto in questa stagione all’Olimpico. Mi colpiscono in positivo queste bandiere, ma non posso non pensare a quanto doveva essere bello quando venivano cucite a mano dalle mamme o dalle nonne e non avevano nessun tipo di disegno.

Archiviate queste divagazioni da nostalgico, i tifosi del Crotone continuano a cantare a gran voce, compatti e con un gran battimano salutano ogni loro giocatore.

La Nord è invece in silenzio più totale. Sventola qualche bandiera ma con poca convinzione. I distinti hanno anche un bel colpo d’occhio, ma la parte centrale della curva è desolante, sembra un campo d’erba spelacchiato e incustodito da tempo.

Finalmente tra una canzone sparata ad un volume improponibile e un tizio francese che mi chiede indicazioni, la partita ha inizio. Il primo tempo è noioso, la Lazio cerca di segnare ma la mole di gioco non produce nulla. Tranne un rigore che Biglia spara sulla traversa.

Ciò che mi colpisce è il costante silenzio della Nord, la quale cerca di alzare qualche coro ma invano. C’è troppa poca gente, le bandiere sono per lo più ammainate, tranne qualche raro sventolio. I tifosi calabresi invece si esaltano e sventolano incessantemente i loro bandieroni colorati, a dir poco.

Il secondo tempo si apre con qualche battibecco, qualche fila sotto la mia, tra tifosi più “attempati” delle due compagini. Gli steward se ne restano a guardare da lontano, poco interessati al diverbio, ma alla fine tutto si sistema spontaneamente.

I tifosi rossoblu, nel frattempo, improvvisano un trenino nel settore ospiti per combattere la temperatura che si sta facendo sempre più rigida e io, ormai quasi congelato, cerco di alzarmi e muovermi un po’ per scaldarmi, quando mi si avvicina un anziano tifoso del Crotone. Cominciamo a parlare e con il suo accento marcatamente calabro mi racconta le poche speranze che nutre verso la propria rosa in chiave salvezza.

Prima di lasciarmi al mio congelamento imminente, si congeda con un “Per noi è già un onore essere qui”, detto con gli occhi lucidi del bambino che entra per la prima volta allo stadio a sostenere i propri idoli.

Immobile segna al 90′ e la tribuna Monte Mario, come il resto dello stadio, esplode in un tripudio di urla, balli e insulti lanciati contro qualsiasi giocatore che ha contribuito a prolungare questa agonia fino all’ultimo minuto.

I tifosi ospiti, oramai ammutoliti, continuano nel loro sventolio assiduo, stremati da novanta minuti di goliardia e partecipazione totale.

Me ne vado con tanta amarezza e con tanto freddo che mi congela le mani. Non riesco ad applaudire questo spettacolo. Non riesco a concepire come nel 2017 non si possa garantire una partita di calcio, in uno stadio decente, in un paese che si considera civile e avanzato come l’Italia. In una città, Roma, che dovrebbe dare l’esempio per l’interesse mediatico che ha in tutto il mondo. Anche e soprattutto in queste manifestazioni sportive.

Mi congedo anche io ascoltando la conversazione tra un padre e un figlio dove il piccoletto chiede perché si sentivano solo i tifosi ospiti, domanda a cui il padre risponde con un silenzio pessimistico, nonostante una sciarpa più logora della mia e uno sguardo che brancola a ricordare chissà quali vecchi tempi, guardando la vecchia e cara Curva Nord ricordando com’era prima che la smembrassero.

Testo di Federico Liberti.
Foto di Giuseppe Scialla.