Potrebbe sembrare ridondante parlare di questo libro di Angelo Carotenuto, dal titolo “Le Canaglie”, pubblicato dalla casa editrice siciliana “Sellerio”. La prima edizione dello stesso risale al 2020 e ai più dovrebbe suonare tutt’altro che nuovo. Poi non siamo proprio soliti parlare di libri calcistici su queste pagine, anche se qualche piacevole eccezione l’abbiamo fatta. La realtà è che, come forse già detto in altre occasioni, la vena calcistica in genere è una delle più battute dai cercatori d’oro, scrittori molte volte improvvisati che inseguono il sogno del best seller avendo alle spalle doti più opache che cristalline. E ci sono case editrici altrettanto colpevoli che negli ultimi anni hanno sguazzato in questa bolla contribuendo, con una selezione davvero poco rigorosa, ad uno spreco di carta che alla fine sarebbe risultata più utile per innescare il fuoco del barbecue o del caminetto che altro. “Sellerio” però è già di per sé una garanzia, come ogni lettore mediamente accanito saprà già.

Angelo Carotenuto, l’autore, proviene dal mondo del giornalismo sportivo e questo “Le Canaglie”, si muove esattamente in quest’alveo, com’è facile intuire dall’evocativa copertina che immortala Giorgio Chinaglia con un fucile fra le mani e circondato da scarpini da calcio, a margine probabilmente di un ritiro o di un allenamento. Il compianto iconico bomber biancazzurro non è il solo protagonista, c’è anche Pino Wilson, Martini, Re Cecconi, Pulici, i giovani Manfredonia, D’Amico e poi Giordano, oltre ovviamente all’allenatore Tommaso Maestrelli, un vero e proprio padre sempre presente per questi ragazzi, nonostante la loro età burrascosa vissuta oltretutto con spavalderia.

A dirla tutta, il vero protagonista è Marcello Traseticcio, fotoreporter che al tramonto degli anni d’oro della dolce vita felliniana, comincia a seguire la Lazio per conto del suo giornale. Una Lazio estrema che nel giro di circa un lustro riuscì a passare dalle miserie della Serie B alla gloria dello scudetto. Una Lazio folle spinta da un pugno di calciatori folli in un periodo storico del nostro Paese a sua volta folle. La partecipazione politica di una generazione che voleva cambiare il mondo, i cortei studenteschi, gli scontri con la polizia, l’estremismo politico, i referendum sul divorzio e l’aborto, la lotta armata, gli attentati, la violenza, le morti, i rapimenti, il cinema, lo spettacolo, le trame oscure.

Amori, omicidi, rivoluzioni: quella che chiamiamo Storia è ciò che avviene tra una partita di calcio e l’altra.

Per quanto lo sfondo storico, sportivo, politico e civile sia molto, molto aderente alla realtà, fondamentalmente si tratta di un romanzo, di un’opera di fantasia che pesca sì spesso nelle vive esistenze dei protagonisti reali, specie dei calciatori, ricostruendole da documenti dell’epoca, ma la “macroeconomia” del canovaccio è pura invenzione. Proprio in ragione di ciò, spetterebbero riconoscimenti doppi all’autore per aver saputo trovare un così perfetto equilibrio tra verità e finzione da lasciare spesso il lettore con il dubbio se il particolare passaggio appena superato abbia o meno un fondo di verità. C’è, per esempio, fra le righe, una vicenda che ricorda molto da vicino il massacro del Circeo. Si può dire tranquillamente che Carotenuto vi abbia attinto a piene mani, non per niente uno dei personaggi di quel “frame” si chiama pure Angelo, come Izzo, anche se poi diversi particolari non collimano esattamente con il famoso e triste caso di cronaca nera.

Ci sono anche un paio di sortite nel mondo del tifo fra il Commando Monteverde e le battaglie fra laziali e romanisti per contendersi la Curva Sud quando ancora la Nord non era stata eretta a tempio dei biancazzurri. È evidente, dai riferimenti che ne emergono, il non indifferente lavoro di ricerca dell’autore anche su questi aspetti più secondari, che magari il grosso dei lettori non avrebbe nemmeno avuto il retroterra per mettere in dubbio, e invece dal mio punto di vista di interno agli ultras, ho apprezzato moltissimo perché mi hanno restituito ulteriormente la sensazione di un lavoro certosino anche in questi piccoli particolari a fronte di una letteratura non di settore, di un giornalismo e di un’opinione pubblica che quando devono parlare di Curve lo fanno solo inzuppando nei pregiudizi e nel selvaggio luogo comune.

Cosa ricordano i bambini della prima volta in cui scoprono uno stadio? L’ascesa lenta, le scale fatte col fiato grosso, l’attesa e la scoperta, il batticuore in petto. Tutto quel verde che si apre all’improvviso una volta in cima, il panorama, l’Olimpico illuminato, il sole, la sensazione d’essere arrivato dentro un’altra vita.

È poi tratteggiato egregiamente anche l’oscuro retrobottega del mondo del calcio, gli affari e le difficoltà della famiglia Lenzini, proprietaria della Lazio, le manovre laterali per estrometterla e impadronirsi del sodalizio cittadino, all’epoca come ancora oggi funziona a varie latitudini, volano per inserirsi nel giro dei palazzinari accreditati per gli appalti migliori o in altre speculazioni economiche più o meno ortodosse.

E c’è anche tanto calcio, tanto spogliatoio, i clan in contrasto fra loro, le zuffe, l’azione conciliante di Maestrelli, gli inviti a cena a casa del mister, l’attenzione e l’affetto ai suoi figli gemelli come credito d’attenzione da poter vantare con il tecnico. Poi la vita notturna, le bravate, i problemi con la legge e la stampa, in definitiva un abilissimo lavoro di umanizzazione di questi soggetti che, nella narrazione attuale del calcio, mainstream o underground, sono per lo più tratteggiati come i supereroi della Marvel.

Anche se non interesserà a nessuno, confesso di aver sempre trovato insopportabile Chinaglia, la sua aria da bulletto e le sue sbruffonate para-politiche, ma non ho potuto non empatizzare con il suo alter ego del libro, con le sue fragilità, con le paure e con quanto di condivisibile si nasconde spesso dietro la corazza di certi duri che in fondo sono solamente soli.

«Se conosci il modo di guardarla, l’angoscia sparisce». Questa fifa è la più utile forma di coraggio.

Per l’approccio insolitamente profondo di una realtà su cui la maggior parte degli osservatori si ferma solo in superficie, questo “Le Canaglie” mi ha ricordato molto da vicino “Il maledetto United” di David Peace ma con il senso di inadeguatezza e la solitudine che in questo caso sono declinate per ognuno singoli che compongono un collettivo forzoso come una squadra di calcio. Se Peace però ha un ritmo quasi sincopato, ossessivo e uno stile ansiogeno e angosciante, Carotenuto, attraverso il fotografo narrante Marcello, ricorrendo copiosamente al romanesco, riesce a rendere tutto scanzonato e molto godibile.

Che voi siate laziali oppure no, in un’editoria sportiva che spesso ci propina immonda immondizia spacciandola per arte, questa è una piccola grande chicca che non dovreste farvi mancare. Lettura davvero consigliatissima.

Matteo Falcone