Arrivo a Lecce dopo un viaggio della speranza di otto ore: Intercity, tutta la costa adriatica da Rimini ad Ancona, e poi Pescara, Bari, Brindisi ed il capolinea. Lecce. La capitale del Salento: tutta bianca, sì, ma col giallorosso che spunta fuori un po’ ovunque. Si sente subito, che il calcio da queste parti è ben più di un semplice sport.
Che Lecce sia la città del Lecce, e che il Lecce sia in generale una sorta di nazionale del Salento, lo si legge un po’ ovunque: sui muri, nei cartelli stradali. E poi nei bar, di fronte alle chiese (bellissime). Un caffè leccese, e cioè con l’aggiunta di latte di mandorla, e mi calo subito nel climax locale: freddo ma con stile. Almeno c’è il sole.
Il giorno della partita però, domina la nuvolaglia: il Via del Mare è quasi una cattedrale nel deserto, notevole a vista d’occhio. Una volta teneva anche 40mila spettatori, oggi la capienza come da ogni parte è ridotta. Anche se insomma: i quasi 22mila abbonati, numeri clamorosi per una squadra che è sempre lì per salvarsi e nulla più, contribuiscono sempre a riempirlo per la sua maggior parte.
Sono 24.910 gli spettatori per Lecce-Bologna: la curva di casa mantiene le mie aspettative, che erano altissime. Un sostegno clamoroso, col quadrante centrale che canta ad oltranza, senza sosta. E quando fa i ripetuti, fa venire giù lo stadio. Ci sono anche pezze (e fumogeni) nella curva opposta: non c’è che dire. Sembra di stare in uno stadio del Sudamerica.
Gli ospiti arrivano davvero in pochi (poco più di un centinaio), in primis perché provati dalle tante trasferte europee che hanno letteralmente svenato i loro portafogli, e in secondo luogo perché la partita alle 18 di domenica, determina perdere una giornata di lavoro. Ma le ferie ormai, nell’anno delle trasferte europee, sotto le Due Torri le hanno esaurite un po’ tutti.
Sul campo viene fuori un pareggio che fa sorridere più il Bologna, per quanto visto nei novanta minuti. Anche se alla fine, per il Lecce sono comunque applausi. E qui al triplice fischio, avviene l’incredibile: cioè il quadrante centrale della curva leccese, che rimane a cantare anche dopo la partita, raccogliendo le provocazioni dei bolognesi (a cui cantano, “A Lecce sempre di meno!”). Non c’è che dire: questa è passione vera. Non voglio immaginare cosa potrebbe succedere, se un anno per caso i salentini finissero in Europa.
Stefano Brunetti