Roma è una città difficile. Tolte le vestigia di un passato ormai remoto, la carcassa che resta miracolosamente in piedi viene costantemente erosa da malaffare, politica gelatinosa, personaggi improbabili che fanno il bello e il cattivo tempo, malcostume e, purtroppo, tanta rassegnazione.

La “cagna in mezzo ai maiali” è sempre più presa di fianco e a tradimento da sciacalli che l’hanno deformata sotto tutti gli aspetti.

Uno di questi è lo sport. Quella che viene definita la capitale d’Italia non riesce a costruire uno stadio nuovo neanche a pagare, mentre altrove si riesce a fare tutto in tempi relativamente brevi. Vittorie nazionali o internazionali, in tutti gli sport di squadra, pressoché zero in quasi 20 anni.

Se un qualsiasi club calcistico prova ad entrare nel professionismo, non trova un impianto adeguato in tutto il territorio capitolino. Del Flaminio neanche a parlarne. Forse è proprio lui il vero simbolo del degrado generale, accompagnato dal suo “fratello minore”, il palazzetto di Viale Tiziano, che necessita di cure massive per non fare la stessa fine.

E il basket? Anche la palla a spicchi ha segnato il declino sportivo dell’urbe immortale. L’autodeclassamento in Serie A2 del 2015, l’incubo dei play-out, le partite per pochi intimi al PalaTiziano, gli abusi di potere verso quei pochi che hanno cercato di esserci sempre e comunque. I derby umilianti contro la Eurobasket.

Fino al lampo di luce di quest’anno, un raggio di speranza dapprima incerto e poi sempre più consistente. Anzi, una vittoria quasi certa a tre quarti di campionato e culminata al photofinish perché si sa, se e quando Roma vince qualcosa non è mai scontato fino alla fine. La sofferenza sportiva fa parte del dna del tifoso romano prima ancora che virtussino.

Era il 1995 quando vidi per la prima volta una partita della Virtus al PalaEur. Sembra buffo, ma non ricordo esattamente quale fosse. Ma ricordo le sensazione e le immagini che mi hanno accompagnato in decine di partite.La fermata Eur Palasport, la salita per arrivare, la collina dove qualcuno osava tagliare. Migliaia di appassionati che si accalcavano ai cancelli. Lo striscione della Brigata (da non confondere con le odierne Brigate). Personaggi in prima linea che tanto hanno dato al tifo del basket capitolino.

Insomma, la Virtus Roma è una pietra miliare della mia vita benché io sia, mea culpa, uno dei tantissimi che l’hanno sempre amata part-time e lasciata sola di fronte ad altre priorità. Credo che questo club meritasse molto di più di una progressiva disaffezione del pubblico anno dopo anno, fino all’indifferenza di queste ultime stagioni.

È un po’ uno scherzo del destino che la Virtus torni in Serie A1 a pochi chilometri dalla terra che ha dato un lavoro a me e a tanti altri romani costretti, controvoglia, a lasciare la propria città perché non offriva opportunità.

Un’occasione per rinforzare quel filo rosso con le mie origini e assistere ad un ritorno che mi sembra qualcosa di non scontato ma, in fin dei conti, veramente dovuto. Perché Roma non può stare in Serie A2 di basket. Così come non può essere una città perdente nello sport. Qualsiasi sport.

Spero che questa magica serata di Legnano sia l’inizio di un’epoca migliore, di una sorta di rivalsa agonistica.

“L’incubo è terminato”, come recita lo striscione dei circa 60 volenterosi che, pur senza un coordinamento centrale (ricordiamo l’assenza forzata delle “Brigate”, qualcuno ci avrà pensato?), hanno sostenuto in piedi la squadra fino alla fine. Questo mentre, allo stesso orario, una presenza molto più corposa di capitolini, 20 km più a sud, sosteneva la Roma nella trasferta milanese contro l’Inter.

Tolti un po’ di freni “professionali”, stavolta anche io mi sono lasciato andare alla fine del match. E pazienza se la signora ultrasessantenne accanto a me, che ha inveito tutto il tempo contro Roma, fosse convinta fino all’ultimo secondo che la Virtus fosse seconda anziché prima. Quanto mi dispiace averle messo il dubbio qualche secondo prima della sirena finale. E, mentre lei controllava sul suo telefono, ero già in campo per le foto finali.

Ci si lascia alle spalle anche campi come questo che, con rispetto parlando, non fanno parte della storia della Virtus.

Sicuramente la Virtus Roma non è la società italiana di basket più titolata, ma il suo posto è uno ed è la serie A1. Bentornata Virtus, per tutto lo sport romano è un momento di festa.

Stefano Severi