L’errore più grande lo commento nel pensare che tutto sommato Leicester sia una meta abbordabile da raggiungere. In primis è il mio passaporto scaduto a ricordarmi che non posso più concedermi il gusto di sbarcare nella Perfida Albione esibendo quella carta d’identità che tanto irritava i gendarmi inglesi e che, quindi, avrò tempi strettissimi per un rinnovo fin qui sistematicamente rimandato dal pessimistico pensiero che non avrei potuto più viaggiare in luoghi ove fosse necessario suddetto documento causa restrizioni Covid.
Il secondo ostacolo è quello economico/logistico: appurato il passaggio alle semifinali dopo il successo sul Bodo, i prezzi da e per il Regno Unito salgono subito vertiginosamente. Dunque non mi rimane che una soluzione arzigogolata, ma più soft sotto il profilo monetario: andata da Ciampino, scalo a Palma de Maiorca, arrivo all’aeroporto di East Midlands e autobus per Leicester. Ritorno con doppio bus (causa cambio a Birmingham) per Manchester e da là aereo per Fiumicino. Un itinerario tutto sommato coerente con le precedenti tappe di questa Conference League. Mai un volo diretto!
Il vento gelido e il cielo grigio mi ricordano immediatamente che qua la primavera non solo ancora deve sbarcare, ma quando lo farà sarà sicuramente molto meno dirompente della nostra. L’autista del pullman tabellato Leicester sembra gradire poco il drappello di tifosi italiani che fa il loro ingresso, un po’ cercando di svicolare il pagamento del biglietto e un po’ rumoreggiando come da classica situazione di trasferta. Mentre i siparietti che si consumano a bordo divertono i passeggeri autoctoni che salgono di fermata in fermata.
Sebbene si tratti della terza semifinale europea della Roma nel giro di pochi anni, quella giallorossa non è certo una piazza abituata a questi palcoscenici. Pertanto il match del King Power Stadium ha suscitato l’interesse della massa, con lunghe file virtuali per accaparrarsi il biglietto del settore ospiti e molte persone che partono anche senza il tagliando, solo per il gusto di rimanere nei paraggi dello stadio e dire: “Io c’ero”, in una dei momenti storici del club. Chiaramente nessuno sa come andrà a finire il cammino europeo della squadra di Mourinho, ma qualunque sarà l’epilogo rimarrà una certezza: l’aver riconquistato quel senso di appartenenza, quell’entusiasmo e quella voglia sconfinata e quasi morbosa di tifare da vicino i colori giallo ocra e rosso pompeiano. Rimarranno a prescindere i sold out dell’Olimpico e il sentir parlare di calcio per strada già dalle prime ore del mattino. Un viatico fondamentale per il futuro prossimo di una società che sembra aver capito l’importanza di compattare l’ambiente.
Salvo qualche rara eccezione le città inglesi non sono certamente note per la loro bellezza. Per questo mi sorprendo quasi nello scoprire Leicester. Nulla di eclatante, sia chiaro. Ma neanche un posto ameno e inospitale in stile Leeds, Birmingham o Coventry. Tanto per fare l’esempio con tre luoghi che in passato mi sono trovato a visitare per puro caso (certo non per volontà). Quella che fu l’antica Ratae Coritanorum sotto il dominio romano, oggi vanta un’importante sede universitaria e per le sue strade si riversano molti giovani. Ripeto: non sarà una meta ideale per le vacanze, ma mezzo pomeriggio – se si è di passaggio – glielo si può tranquillamente concedere.
Come successo ad Arnhem, i supporter romanisti hanno acquistato preventivamente un voucher online per poi ritirare il proprio biglietto presso il meeting point (a tal proposito segnalo il rimborso di 10 Euro a fronte dei 45 iniziali ottenuto dalla Roma per i propri tifosi, causa una formulazione errata del prezzo da parte del club britannico). A differenza di quanto avvenuto in Olanda, tuttavia, ciò non significa “chiudere in trappola” i tifosi attendendo che la polizia li scorti allo stadio. E pure qua siamo sempre alle solite: la fanfara mediatica italiana spende spesso parole e inchiostro per elogiare il modello inglese, dimenticando però di sottolineare le cose veramente migliori di questo modus operandi: chi è deputato alla gestione dell’ordine pubblico difficilmente decide di trattare i tifosi ospiti come topi in gabbia, lasciando agli stessi totale libertà di movimento. Senza contare che i modi degli agenti sono educati e tranquilli, a differenza della boria dei loro colleghi olandesi (e non solo).
Resto dell’idea che l’emulazione del modello inglese non sia esportabile in Italia, considerata la differenza tra modo di vivere il calcio, le Curve e l’esistenza da noi del tifo organizzato (cosa che qua esiste davvero in maniera relativa e comunque da pochi anni). È un modello con cui si riempiono la bocca tanti loschi figuri – che peraltro spesso neanche frequentano gli stadi – ma che presenta troppe sfaccettature divergenti dalla nostra cultura calcistica. Tuttavia, se proprio se ne vuol incensare il funzionamento, lo si faccia con cognizione di causa e non per sentito dire.
E qua ci sarebbe da aprire un capitolo infinito anche solo sull’emissione del Daspo, che da queste parti avviene per mano di giudici imparziali e non della polizia che spesso agisce in termini di rappresaglia verso i tifosi (come succede da noi). Anche se è comprensibile come una tale riflessione richiederebbe uno sforzo abnorme da parte dei nostri giornaletti.
Quando manca circa un’ora e mezza al fischio d’inizio i tifosi romanisti vengono incanalati verso lo stadio, con un corteo che si snoda lungo le rive del fiume Soar. Ecco, diciamo che questo da noi sarebbe abbastanza impensabile, far arrivare un serpentone umano a ridosso degli ingressi del pubblico di casa creerebbe certamente tensioni. Qua si limitano a qualche coretto, sebbene la maggior parte dei tifosi delle Foxes sembrino più che altro divertiti dal passaggio dei romanisti.
Quando si parla di Leicester la mente di ogni calciofilo che si rispetti non può che andare all’inaspettata Premier League vinta nel 2016 sotto la guida di Claudio Ranieri. Non mi piace definirla una favola o un miracolo sportivo, anche perché la stabilizzazione su ottimi livelli del club negli anni successivi e l’ottima situazione finanziaria ci dicono che in ogni caso senza soldi non si canta messa. Tuttavia è sicuramente bello assistere a vittorie non pronosticate e leggere per la prima volta nel palmares di un campionato così altamente competitivo e longevo, il nome di un club che nella propria storia è stato sempre abituato fare saliscendi con le categorie inferiori e che dicerto non rientra nel gotha del calcio inglese.
Forse la parola più adatta è impresa. Perché al netto di giocatori sconosciuti ai più e di un’annata precedente che aveva visto il Leicester prima salvarsi a fatica e poi finire nell’occhio del ciclone per uno scandalo a luci rosse consumatosi durante un viaggio premio a Bangkok (vennero resi pubblici i video di tre giocatori intenti ad offendere razzialmente alcune escort di cui avevano sfruttato le prestazioni) con conseguente licenziamento di allenatore e giocatori coinvolti, si è trattato sicuramente di un’impresa. Per nulla scontata e su cui nessuno avrebbe scommesso. O meglio, in tutta l’Inghilterra furono solo cinque persone a scommetterci.
Trionfo bissato nel 2021 dalla conquista della prima FA Cup in 138 anni di storia, battendo il Chelsea in finale.
Una storia che tuttavia riserva anche una postilla macabra, con la morte di Vichai Srivaddhanaprabha – il presidente artefice dell’ascesa del club – avvenuta nel 2018 proprio a pochi passi dallo stadio, quando l’elicottero da là decollato dopo il match con il West Ham venne coinvolto in un incidente, prendendo irrimediabilmente fuoco. A lui è dedicata la statua posta proprio di fronte alla tribuna principale.
Tornando alla sfida odierna, prima di prendere posto in tribuna stampa mi concedo un giro a tuttotondo dello stadio. Classico impianto britannico, dotato di diversi confort, sebbene non sembri fastidiosamente iper moderno come quelli di Manchester City e Arsenal. La sua apertura è datata 2002, quando venne inaugurato al posto del glorioso Filbert Street (al cui posto oggi c’è un complesso residenziale).
Ed è proprio dallo spirito del vecchio stadio che prende nome il gruppo ultras delle Foxes: gli Union Filbo Spirit. Parlare di tifo organizzato in Terra d’Albione fa sempre strano, eppure va preso atto di un certo fervore che a queste latitudini ormai si protrae da qualche anno. Sono diverse le realtà a poter contare su veri e propri gruppi di tifosi che vivono lo stadio all’italiana. In questo caso i ragazzi degli UFS provvedono anche ad organizzare coreografie e trasferte; nel loro intento c’è quello di restituire allo stadio un ambiente degno di nota.
Volete il mio parere personale? Complessivamente a me non sono per nulla dispiaciuti. Ovvio, il tutto va contestualizzato. I numeri di chi sta in piedi e tifa per tutti i 90′ sono degni di una nostra Eccellenza Campana o Pugliese, ma l’ambiente che si crea in relazione al loro sprono è davvero notevole. Un qualcosa di ben diverso da altri soporiferi stadi inglesi. Una tifoseria partecipante, che anche negli altri settori ha fatto sentire il proprio frastuono (anche con l’aiuto del tamburo!) e che nella sua semplicità s’è dimostrata anni luce avanti a piazze che ormai di altisonante hanno solo il nome.
A proposito della coreografia realizzata stasera, mi fa piacere apprendere che sia stata opera delle menti e delle mani di questo gruppo di ragazzi. Un qualcosa di semplice (cartoncini neri, con una banda blu diagonale, a rappresentare la prima maglia indossata dal club nella sua storia, e la scritta The team we adore since 1884) ma ben realizzata, senza quelle orribili e ridicole pagliacciate preconfezionate dalle società che spesso si vedono a queste latitudini e che lasciano in bocca l’amaro di un calcio davvero plastificato. Per non parlare di quei club che hanno optato per gli striscioni virtuali (vedi Manchester City).
Chiaramente il mio è un giudizio superficiale. Non posso conoscere tutte le dinamiche che ci sono dietro, le eventuali autorizzazioni da chiedere e/o quanto sia importante avere ottimi rapporti con la dirigenza. Ma – come detto in precedenza – parliamo di un’altra cultura calcistica, pertanto non mi sento proprio di guardare con pregiudizio il volenteroso lavoro di questi ragazzi.
Nel settore ospiti prendono invece posto 1.600 tifosi romanisti. I biglietti sono stati polverizzati in mezz’ora e l’entusiasmo si tocca con mano già dai primi cori. Per l’occasione non verranno esposte pezze dei gruppi, ma all’inizio e alla fine un unico striscione con un messaggio eloquente: Fino alla vittoria. Esortazione che raccoglie la frase già esposta sotto la coreografia realizzata contro il Bodo Glimt all’Olimpico e che sottolinea la grande unità d’intenti della tifoseria tutta.
Unità d’intenti che si riassume in una grande prestazione canora, dal primo al novantesimo minuto. I lanciacori posizionati in basso si coordinano alla perfezione, dando al settore la spinta giusta per andare a tempo e farsi sentire a gran voce dai giocatori in campo. Il coro a rispondere “Forza Roma, Roma campione” risulta come un boato davvero notevole, mentre le manate vanno a formare dei veri e propri muri nell’angolo di stadio riservato agli ospiti. Se è vero che generalmente i romanisti nelle trasferte inglesi si esaltano, penso di poter dire che questa risulta tra le migliori prestazioni europee a cui io abbia assistito.
E in Europa – soprattutto in partite come queste – non è mai facile fare bene il tifo. Vuoi per un materiale umano che spesso è sin troppo variegato, vuoi perché si tratta sovente di gare tese, con pre partita tutt’altro che tranquilli. Oggi è la dimostrazione di quanto l’armonia tra tutte le componenti ultras sia fondamentale per la riuscita dello spettacolo Curvaiolo, che io credo ancora riesca a riflettersi almeno in minima parte sul terreno di gioco.
In campo la Roma riesce anche a trovare il vantaggio con Pellegrini, venendo poi raggiunta nella ripresa per un’autorete di Mancini. Un risultato sostanzialmente giusto, che lascia apertissimo il discorso qualificazione in vista del ritorno. Certo, non sarà affatto una passeggiata per la Roma e ci sarà bisogno di una gara quasi perfetta. Anche stasera la differenza tra i ritmi delle squadre inglesi e quelli del nostro campionato è stata a dir poco allarmante. Oggigiorno il Leicester, undicesimo in Premier League, in Italia sarebbe tranquillamente in lotta per la Champions. Questo per sottolineare come oltre alla poca qualità, da noi manchi soprattutto il ritmo.
Al triplice fischio, mentre tutto lo stadio sfolla, i romanisti continuano a cantare. In attesa che vengano loro aperti i cancelli. Rispuntano fuori vecchi cori del repertorio della Sud oltre a un paio di canzoni popolari romane che fanno sempre la loro figura. Rimango quasi solo in tribuna stampa nell’osservare il settore ospiti ancora pieno mentre il resto delle gradinate si è svuotato, lasciando il posto alla scritta Leicester City. Proprio nella tribuna di fronte a me.
Quando l’orologio segna le 22.40 mi avvio. Ho una mezz’ora a piedi fino alla stazione degli autobus. O almeno questo è ciò che credo. Una volta arrivato nel luogo indicato sul mio biglietto, infatti, trovo un capolinea diroccato, completamente sotto lavori. Comprendendo che il mio torpedone non partirà da lì e cominciando ad avvertire un po’ di ansia mi rifugio nell’unico luogo aperto: un night. Solo che invece di pagare qualche sterlina per vedere una spogliarellista prego il tizio posto sull’entrata di indicarmi dove sia la fermata della National Express. Fortunatamente non solo me lo indica, ma mi accompagna anche per qualche metro.
Alle 23.30 sono regolarmente sul pullman in direzione Birmingham. Da là ci saranno altre due ore di attesa prima di cambiare con il bus per l’aeroporto di Manchester. Vi evito tutta la parte per arrivare al gate, dato che lo scalo mancuniano dev’esser stato sicuramente citato in qualche passaggio dell’inferno dantesco!
Stremato ma soddisfatto di aver rispettato la tabella di marcia, alle 11.30 sono a Fiumicino. Una masnada di turisti affolla l’hub capitolino rendendo ancora più lente le procedure per uscire. Il sole è già caldo e il mio abbigliamento invernale cozza tremendamente con il termometro. Eppure, sarà la stanchezza, non ho alcuna voglia di spogliarmi. Così approfittando dell’aria condizionata del Cotral mi concedo l’ultimo sonnellino fino alla metro di EUR Magliana. Dove i sei minuti di attesa sulla banchina mi danno il bentornato a Roma!
Simone Meloni








































































































