La Red Bull ha fatto irruzione nel calcio tedesco già da diversi anni; ma adesso, loro malgrado, se ne stanno accorgendo tutti quei tifosi, in Germania e non solo, contrari alle logiche del calcio moderno.

Dopo una scalata cominciata nel 2009 (con l’acquisizione del SSV Markranstädt), la squadra di Lipsia, detenuta dal colosso mondiale legato alla famosa bibita, è ora in 2.Bundesliga: il club della Germania dell’Est, in meno di un lustro, è passato dalla quinta alla seconda divisione tedesca, infondendo preoccupazione tra le società calcistiche non solo del campionato cadetto, ma anche dell’attuale Bundesliga.

IL COLOSSO RED BULL – Come ormai tutti ben sanno, la Red Bull, che fattura quasi 5.000 miliardi di Euro all’anno, ha investito da sempre nell’immagine legata allo sport, andando ben oltre le semplici campagne di marketing: la multinazionale austriaca, per dare un impatto diretto coi propri valori di riferimento, ha deciso di acquisire direttamente alcune società sportive in tutto il mondo e in più discipline sportive mentre, nel frattempo, il business si espande ai settori della comunicazione web e della telefonia mobile, dove Red Bull è presente come operatore in cinque paesi.

Il caso, almeno finora, più conosciuto al grande pubblico è quello della pluripremiata scuderia di Formula Uno, autentica ammazza-campionato delle ultime stagioni iridate; l’ironia della sorte vuole che la sede della scuderia sia ubicata a Milton Keynes, proprio laddove gioca una delle squadre inglesi più odiate dall’intero mondo del tifo britannico, il Milton Keynes Dons il quale, nel 2004, acquisì il titolo dello storico Wimbledon FC per entrare nel mondo del professionismo. Oltre alla Red Bull Racing, in Formula Uno la scuderia italiana (ma sempre riconducibile, come si evince chiaramente dal nome, alla Red Bull) Toro Rosso fa da “farm team” alla più blasonata consorella, con lo scopo di lanciare giovani talenti nella competizione automobilistica più conosciuta.

LA RED BULL IN AUSTRIA – Ovviamente, come tutti ben sappiamo, non c’è solo la Formula Uno tra gli interessi sportivi della Red Bull. A Salisburgo, dove ha sede la compagnia, dal 2000 la squadra di hockey su ghiaccio è entrata nell’orbita dell’Energy Drink, vincendo, dal 2008 in poi, quattro titoli austriaci.

Il caso che più ha fatto rumore, tuttavia, è legato all’acquisizione, da parte della Red Bull, della storica Austria Salisburgo nel 2005, diventata un caso internazionale. Come il nuovo management dichiarò ormai nove anni fa, in quel momento iniziava la storia di un nuovo club con un nuovo nome, spazzando via la tradizione dell’Austria Salisburgo: i colori sociali cambiarono da viola a biancorosso e il nome, in un primo momento, fu “Red Bull Salzburg FC”, poi cambiato semplicemente in “FC Salzburg” a causa delle regole della Federcalcio austriaca sulle sponsorizzazioni applicate ai nomi delle squadre. Ciò non ha impedito, in ogni caso, alla dicitura “Red Bull”, coi famosi due tori rossi della bibita come simbolo, di apparire nello stemma della squadra. La stessa dicitura, tuttavia, non può essere apposta durante le competizioni UEFA (gli osservatori più attenti si saranno accorti che, in Champions League o in Europa League la squadra di Salisburgo ha lo stemma coi due tori ma senza la scritta “Red Bull”).

La tifoseria si spaccò: nonostante l’ostilità generale iniziale, all’odore delle prime vittorie tanti tifosi iniziarono ad appoggiare il progetto Red Bull (con l’assurdo, per alcuni, di continuare ad andare allo stadio con la sciarpa viola in segno di una continuità mai riconosciuta neanche dalla Red Bull), mentre un buon numero di tifosi, compresa l’intera tifoseria organizzata, ha dato vita e sostenuto la rinascita dell’Austria Salisburgo, ora militante in terza serie austriaca. Ma questa è una storia che, bene o male, conosciamo.

In Austria, comunque, la presenza Red Bull è diventata, di anno in anno, sempre più invadente: in Serie B, la Eerste Liga, il Liefering è di proprietà della stessa Red Bull e serve da “Farm team” per l’FC Salzburg, mentre l’FC Salzburg II (ovvero la Red Bull II) è in Landesliga, il quarto gradino del calcio austriaco (tra l’altro, essa guida il campionato dopo un terzo della stagione).

Morale della favola, nella sola Austria tre squadre nelle prime quattro serie sono della Red Bull, con la seria prospettiva di essere tre nelle prime tre serie.

 

L’ESPANSIONE SPORTIVA NEL MONDO – Ma, per la multinazionale austriaca, il proprio paese di riferimento è diventato, ben presto, troppo poco per suggerire un’immagine vincente nel calcio. Così, ad un brand internazionale, si è unita un’espansione internazionale.

Negli Stati Uniti, nel 2006, la Red Bull rileva la franchigia dei New York Metrostars, nata nel 1996, ed entra nella MLS (Major League Soccer), il campionato di calcio statunitense a numero chiuso e strutturato sul modello della NBA di basket e degli altri sport più seguiti in America. La squadra gioca nella nuova Red Bull Arena che, ironia della sorte, non sorge né a New York né nel suo stato, ma a Harrison nel New Jersey (in realtà a pochissimi chilometri da New York, ma comunque in un altro Stato della Federazione).

Nonostante gli immensi proclami e le tante stelle ingaggiate nel corso degli anni, la Red Bull New York è ancora alla ricerca dei primi successi, tanto che si è anche vociferato dell’abbandono del club da parte della multinazionale austriaca, smentito tuttavia dalla società stessa.

2007, parte il progetto Red Bull Brasile. Come i più appassionati ben sanno, esistono due tipi diversi di campionato nel Paese della samba: il Brasilerao, il campionato federale su base nazionale, e i campionati statali; tutti i principali club partecipano sia all’uno che all’altro, mentre la Red Bull ha optato per il campionato Paulista (dello Stato di Sao Paulo, quindi il più importante assieme al campionato carioca di Rio de Janeiro).

In pochi anni, partendo dalla quarta divisione, la Red Bull è arrivata nella massima serie paulista, con ambizioni non di poco conto. Ci si può chiedere, a questo punto, se siano maturi i tempi per un passaggio al Brasilerao. Neanche a dirlo, la Red Bull non gioca a Sao Paolo ma a Campinas, 90 chilometri di distanza, in un impianto con 20.000 spettatori di capacità.

2008, Red Bull sbarca in Africa, con la squadra omonima in Ghana. L’idea da sempre promossa, per il continente africano, è stata quella di una Academy vera e propria per far crescere i giovani calciatori, più una serie di iniziative di carattere sociale a scopo educazionale e di sostegno. Il verbo è al passato perché, per la prima volta, il progetto non ha avuto i caratteri del successo e, dopo un anno di tentativi, ad Agosto la Red Bull Ghana è stata acquisita dal Feyenoord, la squadra olandese con sede a Rotterdam.

 

L’INGRESSO IN GERMANIA – Ricapitolando: 2005 Austria, 2006 Stati Uniti, 2007 Brasile, 2008 Ghana. Il 2009 segna l’acquisizione, da parte della Red Bull, del SSV Markranstädt, club tedesco militante in Oberliga, quinta serie in Germania.

La squadra si impianta immediatamente a Lipsia, il Markranstädt viene fatto ripartire dal basso dalla stessa Red Bull (va ricordato che parliamo di un paese alle porte di Lipsia con 15.000 abitanti) e il club entra in diretta concorrenza con le storiche Lokomotive Leipzig e Sachsen Leipzig, le squadre locali, almeno fino a quel momento, col maggior seguito (oltre 500.000 abitanti la città, un milione l’intera area urbana).

 

LA DIFFERENZA TRA GERMANIA ED AUSTRIA – Dopo le notevoli contestazioni sorte in Austria quando l’Austria Salisburgo fu acquisita dal “Toro Rosso”, in Germania la Red Bull ha cambiato strategia. Ha scelto di partire dal basso, di programmare una scalata pluriennale, in una città relegata ai margini del sistema calcistico nazionale nonostante il suo potenziale e, soprattutto, di non intaccare la storia dei due maggiori club cittadini.

Ciò non è bastato, a nomea fatta, ad evitare di far etichettare la Red Bull Leipzig come “calcio moderno”: cosa può essere, altrimenti, una squadra senza tradizione alle spalle e che è gestita direttamente da uno dei più grandi colossi economici del pianeta? Ciò nonostante, in un sondaggio pubblicato proprio nel 2009 tra i cittadini di Lipsia, il 70% era favorevole all’ingresso della Red Bull nel calcio locale.

 

LO SCONTRO TRA FILOSOFIA RED BULL ED IL CALCIO TEDESCO – Come del resto in Austria, la Red Bull si è dovuta scontrare con una serie di limitazioni naturali nel calcio tedesco, molto garantista nei confronti dei tifosi e della loro passione. Innanzi tutto il nome: nonostante il classico stemma uguale al logo della bibita, il club ha, ufficialmente, il nome RB Leipzig, che non vuol dire Red Bull, ma Rasen Ball (si potrebbe tradurre come il campo da gioco, o meglio, il manto erboso del campo); questo perché è impossibile, a livello professionistico, inserire nomi identici ad altre squadre professionistiche mondiali. Tuttavia tra colori sociali, stemma e “nickname” della squadra (“The Red Bulls”), il richiamo è assolutamente evidente ed inequivocabile.

Anche qui si gioca nella Red Bull Arena, ristrutturata dalla proprietà nel 2010, la quale altro non è che lo storico Zentralstadion, unico impianto dell’ex Germania dell’Est ad aver ospitato i Mondiali del 2006. 45.000 spettatori, diritto al naming dello stadio per almeno 10 anni e costo di affitto variabile in base alla categoria della squadra.

Risolti i problemi burocratici, sono gli altri club che storcono il naso di fronte alla nuova entità. Il sistema calcistico tedesco prevede che i club professionistici siano detenuti per il 50%+1 delle azioni dai soci del club, questo per far sì che singoli proprietari o multinazionali non possano rilevare l’intero club.

Quando la regola fu definitivamente approvata qualche anno fa dalla Federcalcio tedesca, due furono le eccezioni ufficialmente riconosciute: il Wolfsburg, di proprietà della Volkswagen, ed il Leverkusen, detenuto dalla Bayer. La regola sancita fu che questi due club potevano rimanere a pieno controllo delle rispettive società industriali perché esse operavano da almeno 20 anni nel mondo del calcio ed avevano agito senza speculare a favore delle logiche industriali.

Ormai la regola del 50+1, nonostante sia relativamente giovane, è assolutamente entrata nel cuore e nella consuetudine del calcio tedesco: nel Bayern Monaco il 50%+1 è rappresentato da 225.000 soci, nel Borussia Dortmund da 95.000.

Una prima eccezione al sistema è stata rappresentata dall’Hoffenheim di Dietmar Hopp, tycoon della Sap, colosso informatico tedesco: il miliardario, benché possieda il 96% delle azioni del club, ha aggirato la regola ponendosi un 49% di valore di percentuale di votazione nelle assemblee generali dell’Hoffeinheim. La Red Bull ha trovato un’altra scorciatoia: il 49% del club appartiene ufficialmente al colosso austriaco, il restante 51% è diviso tra 14 dirigenti della stessa Red Bull. Che siano solo degli escamotage è chiaro come la luce del sole, ed è per questo che i club che rispettano appieno la regola criticano fortemente le scappatoie di Hoffenheim e Red Bull.


I TIFOSI E IL NO AL CALCIO MODERNO
– I tifosi più affezionati di Sachsen e Lokomotive sono rimasti fedeli alla tradizione, sostenendo la propria squadra arenata nelle basse leghe interregionali tedesche. Ma, ed è inutile a dirsi, la Red Bull a Lipsia continua a raccogliere seguaci: l’anno scorso la RB ha avuto la più alta media spettatori della 3.Liga, assestandosi oltre i 16.000 presenti di media; quest’anno, in 2.Bundesliga, si registra la quinta miglior media del campionato (24.703 spettatori, con una punta di 34.000). Il tutto esaurito si è raggiunto la scorsa stagione nella partita-promozione.

Insomma, la logica è chiara: i tifosi più fedeli alla tradizione sono pochi, mentre quelli che salgono lestamente sul carro in cambio di vittorie sono molti di più. Una metafora della psicologia umana che, inevitabilmente, si riflette anche nel calcio.

Ovviamente, nessuna tifoseria vede di buon occhio la Red Bull che ha, come obiettivo dichiarato, l’ascesa in Bundesliga ed una successiva lotta per un posto in Champions. L’odore del calcio moderno, già arrivato a folate con l’Hoffenheim, sta diventando un tornado vero e proprio. Striscioni, cori ed iniziative anti Red Bull stanno dilagando in tutti gli stadi.

 

NO ALLA RED BULL”, IL SITO – All’url http://www.nein-zu-rb.de (“No alla RB”) si manifesta pienamente la campagna dei tifosi contro la Red Bull. Le tifoserie aderenti vanno dalla prima alla quarta serie del calcio tedesco, e le tifoserie fondatrici sono Karlsruhe, Kaiserslautern, Darmstadt, Braunschweig, Aue, Monaco, Aalen, Heidenheim, Sandhausen e Ingolstadt.

La pagina Facebook (https://www.facebook.com/neinzurb) va verso i 17.000 like e propone tutte le iniziative attuate negli stadi contro la Red Bull. Il motivo della campagna è spiegato così: “Nel calcio professionistico c’è sempre più la tendenza secondo cui il calcio viene usato come un modo di massimizzare i profitti. Gli investitori privati ​​e le aziende vogliono fare i soldi con il calcio ed usarlo per posizionare al meglio il loro prodotto o business”.

Continua il manifesto del sito: “Per noi, invece, la RB Leipzig è solo una parte del calcio commerciale di oggi – un calcio che si muove in un contesto di interessi capitalistici. Ci rifiutiamo di distinguere tra investitori cosiddetti ‘buoni’ e ‘cattivi’. Per noi c’è differenza tra l’impegno della RedBull rispetto ad altre cosiddette ‘associazioni sportive aziendali’ come il Leverkusen e il Wolfsburg. La RedBull vuole principalmente posizionare il prodotto nel miglior modo possibile – costi quel che costi. Il Leverkusen e il Wolfsburg hanno dovuto sviluppare il loro successo. Il Leverkusen è emerso da subito come club sportivo-aziendale e, al tempo, era un fatto comune che le imprese potessero avere sezioni sportive. Il Wolfsburg ha vissuto una storia simile. Entrambe le squadre hanno dovuto lavorare per il loro successo con poche risorse e nelle stesse condizioni di qualsiasi altro club (…). Solo il TSG Hoffenheim ha un passato simile alla Red Bull”.

Chiari gli obiettivi: “Vogliamo che il nostro sport rimanga equo. Chiediamo quindi un fair play finanziario, che renda impossibile per gli investitori stabilirsi in modo permanente all’interno di un club. A livello internazionale, la UEFA ha già introdotto tale regola. Tuttavia, gli standard di bilanciamento sono ancora troppo elastici. Un imprenditore può investire nella propria squadra fino 45.000.000 in tre anni. Vogliamo che le disposizioni di licenza siano applicate in modo coerente. Logo e nome del club non dovrebbero essere simili a quelli aziendali. Chiediamo che tutti gli elementi di un logo del club, tratti da un brand o da un’azienda, non siano consentiti (ad esempio, i tori rossi nello stemma della RB Leipzig). Vogliamo che sia istituito un sistema che trasferisca le quote societarie della RedBull (la RedBull possiede più del 50% di quota del patrimonio netto del club). Vogliamo che i club siano un luogo di diversità. I fan ed i membri devono essere in grado di partecipare attivamente alla vita del club. Le quote associative devono essere abbordabili. Chiediamo il rispetto dei limiti sulle quote associative. Vogliamo che i club siano un luogo di cultura democratica. Ogni socio deve avere diritto di voto e la possibilità di commentare criticamente gli argomenti. Ci deve essere un numero sufficiente di soci all’interno di ogni club. Il diritto di associazione già si impegna in questo senso, ma non è sufficiente, in quanto viene richiesto solo un numero minimo di membri (ossia sette). Chiediamo pertanto un numero minimo di soci per applicare la regola del 50 + 1. La maggioranza dei club deve essere indipendente”.

 

UN CALCIO AL CALCIO – Alla luce di questa piccola inchiesta, emerge, con l’esempio della Red Bull, un nuovo tipo di calcio, i cui prodomi si sono chiaramente ravvisati da almeno una decina di anni: un calcio non più legato alla tradizione e all’identità di una città, ma espressione di un brand che vuole essere vincente in tutto il mondo. Un brand che non guarda in faccia a niente e nessuno per raggiungere i propri obiettivi.

Un calcio del genere non piace ai tifosi, tuttavia non viene osteggiato in nessuna maniera nei piani alti, così come nei piani bassi: se la Red Bull è costantemente fonte di contestazioni da parte dei tifosi dissidenti, essa riesce comunque a riempire i propri stadi, “brandizzando” persino i nomi di quelli che dovrebbero essere gli stessi gruppi ultras. Quello della Red Bull non è il solo esempio mondiale di club legato esclusivamente all’immagine aziendale, ma è il primo caso di un marchio che ha un progetto che abbraccia più sport e si spalma a livello mondiale. Ci vorrebbero delle regole precise come quelle chieste dai tifosi tedeschi, ma la logica tende a scomparire di fronte al solido denaro contante.

Stefano Severi.