Lettera che manca di fonte perché l’abbiam ricevuta così, in semplice testo. Trasuda comunque nostalgia, ricordi ed emozioni ed abbiamo deciso perciò di condividervela. Se l’autore, il blog o il sito proprietario volesse rivendicarne la paternità, aggiungiamo in un attimo i crediti a pié di pagina.

“Sono passati ormai otto anni da quella sera del 15 novembre. I grandi spettacoli e i grandi amori non dovrebbero finire mai. Quella notte ne finirono moltissimi, spettacoli da brividi e amori decennali. In un vecchio palazzo industriale nella periferia di ovest di Milano si esauriva la storia del più grande, del primo, del più famoso gruppo di tifo organizzato italiano. Dopo 38 anni di cori, sciarpate, trasferte, lacrime e vittorie, battaglie perse e vinte, la Fossa dei Leoni scompariva.

Fossa 68. La maglietta della finale di Manchester con il nome del gruppo di appartenenza e l’anno di fondazione ce l’abbiamo ancora nell’armadio in tantissimi. Già, il sessantotto. Ma non pensatelo come movimento rivoluzionario, come protesta sull’onda dell’entusiasmo rivoltoso, come irruzione della politica negli stadi. È tutto molto più semplice, molto più romantico. Un manipolo di ragazzini che si ritrovava all’ingresso della rampa 18 di San Siro decide di andare a vedere le partite con bandiere e sacchetti di coriandoli e di sostenere la squadra. Erano anni di trionfi: il Milan dello scudetto del Paròn e della seconda Coppa Campioni. Erano anni lontani. Avete letto bene: la rampa 18. Altro che terzo anello, altro che torri, altro che tornelli. Era un altro stadio, un’altra Milano e soprattutto un altro calcio. Per vedere il Milan c’era una possibilità sola: andare allo stadio. Se no ascoltavi “Tutto il calcio minuto per minuto” alla radio. Se no aspettavi i gol in tele. Se no leggevi la Gazzetta la mattina dopo. E allo stadio quei ragazzini ci andavano sempre. Fossa dei Leoni? Che nome è? Il riferimento è ad un vecchio campo di allenamento del Milan dell’epoca e alla sensazione che si provava quando si entrava in quel settore dello stadio. Settore che poi cambiò spostandosi sul rettilineo e poi, a cavallo del 1974, nel proprio habitat definitivo: la curva sud.

Poi la Fossa cresce e i tratti romantici si sfilacciano pian piano. Ma la Storia resta. La Fossa è stimata, temuta e rispettata da tutti i gruppi ultras che si vanno creando lungo lo stivale. I Leoni rossoneri sono il modello, inarrivabile, cui bisogna avvicinarsi. Negli anni ruggenti la Sud è sempre piena. Spesso più del consentito. Perché non ci sono controlli all’interno dello stadio e tutti i ragazzi vogliono andare lì, cantare, esultare, bere e fumare. Negli anni ruggenti ci sono i tamburi, i bonghi, i megafoni. Soprattutto: negli anni ruggenti la Fossa non è zitta. MAI. Su qualsiasi punteggio. Quel uno a due interno subito dalla Cavese in serie B è vissuto da interisti e juventini come motivo di scherno nei confronti dei rossoneri. I milanisti, quelli veri, di vecchio sangue, lo vivono come un vanto: quel giorno a San Siro c’erano 60.000 persone. La Fossa e le Brigate mai in silenzio, sempre al sostegno della squadra. Sul campo si era perso, sugli spalti stravinto. Sei fiero di poterlo dire: “Hic sunt leones”. Come sono lontani oggi quei giorni, con la Curva Sud spopolata in mezzo al deserto di San Siro. Lontani quei momenti da brividi quando dopo gli inni ti ritrovavi lì “con le tre dita della mano alzate, in curva con la Fossa e le Brigate”. Non è certo questa la sede per la beatificazione di un gruppo ultras, con innegabili contraddizioni interne e aspetti legalmente quantomeno discutibili. E’ piuttosto un racconto di rimpianti per un tifo che non c’è più. Nella Sud e a San Siro. La Fossa c’era sempre. Nel commuovente esodo rossonero a Barcellona per la finale con la Steaua, come ad Helsinki. A giocarsi lo scudetto con il Napoli di Maradona e ad Avellino al primo turno di Coppa Italia. Per 38 anni lo striscione “FOSSA DEI LEONI” esposto come un baluardo, come un simbolo, come una bandiera che rappresentava tutti gli aderenti. Non ci interessa se siamo di parte e dimentichiamo, volontariamente, quanto di poco edificante avveniva in curva, perché sottolineiamo qui solo quello che contribuisce a rendere quella della Fossa un’epopea. Nel mondo del tifo organizzato la Fossa ha sempre tenuto un comportamento irreprensibile e corretto nei confronti di tutti ed è per questo unanimemente riconosciuta, ci ripetiamo, come esempio perfetto di Gruppo Ultras. Il primo ad essere nato, l’ultimo ad avere mantenuto quel giusto compromesso che ci deve essere tra tifo normale e mondo ultras. Mai un contatto con la criminalità organizzata, tante opere di bene come i milioni destinati ai terremotati dell’Irpinia, alla Lega per la lotta ai tumori o ad altre associazioni: mai un soldo tenuto per sé, mai un contributo non impiegato per striscioni o coreografie. Solo in un’occasione disertò le trasferte: dopo la tragedia di Spagnolo, ucciso da una lama nera e non rossonera, che con Fossa e Brigate non aveva nulla a che fare.

Non spendiamo parole sulla sudicia vicenda che ha portato allo scioglimento in quella triste sera di viale Bligny. Digos, Vikings, ‘ndrangheta? Non ci interessa. Preferiamo pensare che la Fossa sia finita perché era finito il “suo calcio”, il calcio fatto di cori e tamburi, non di interessi economici. Di nuda passione. Questo calcio, il “calcio moderno” fatto di pay-tv e di stadi vuoti non è il calcio della Fossa dei Leoni. Oggi Dino Risi è bravissimo a dire che “la fede è andare allo stadio quando potresti vederla sul divano”. Oggi resta una Curva Sud che, lentamente e gradualmente, sta cercando di tornare ai fasti di un tempo, una tifoseria onesta che sembra essere riuscita a risolvere i dissidi interni esplosi in quel novembre di tanti anni fa. Un gruppo di ragazzi che si è per forza di cose dovuto adattare a quello che il tempo ha portato. Quello che pulsa dietro allo striscione Curva Sud Milano di oggi è però in fin dei conti lo stesso cuore della Fossa: ragazzi che vogliono cantare per la maglia, per i rossoneri. Come in quel Milan–Cavese di tanti anni fa. Ce la faranno, ce la faremo.

Della Fossa oggi rimane una sola cosa tangibile: il bandierone “BARESI 6”, unico simbolo di continuità. A vederla sventolare quella bandiera, coi buchi e i rattoppi di tante avventure, ti si stringe il cuore, ti emozioni sempre. La bandiera sventola, i Leoni non ci sono più. La bandiera c’è, il Milan è in campo ancora. Per il Milan chi vede sventolare quella bandiera sarà pronto a cantare. Anche se certo, purtroppo, è vero quello che dicono i vecchi: “non sarà mai la stessa cosa”. Abbiamo detto che la Fossa non c’è più perché questo non è il suo calcio. Lo ribadiamo. Ma dentro tutti noi, chi l’ha vissuta e chi se l’è solo fatta raccontare, c’è un sogno. Stupido, forse. Irrealizzabile, certo. La speranza di sentirlo ancora. La speranza di farti mancare un battito per l’emozione. Di guardarti intorno e non capire da dove viene quella voce. Di sorridere. Non lo senti? Sono loro: “Leeeeeeoni armati stiam marciando, siam la Fossa dei Leon Leon Leon Leon Leon”…