Se le maglie della repressione sono parecchio strette nel mondo del calcio, anche nel basket non c’è da meravigliarsi se a una tifoseria viene impedita una trasferta, del resto ormai lo sport è vivisezionato a trecentosessanta gradi ed anche una semplice partita di hockey è messa sotto osservazione. Fantasia al potere verrebbe da pensare e in effetti lo stupore lascia il campo ad un misto di rassegnazione e rabbia.

Inconcepibile pensare a una partita senza una tifoseria ospite al seguito, senza la possibilità di viaggiare e seguire la propria passione. In questo caso la trasferta è chiusa ai tifosi forlivesi, evidentemente pesano le intemperanze della Supercoppa giocata proprio a Livorno, intemperanze che tra le altre cose hanno visto principalmente coinvolte le tifoserie di Roseto e Forlì. Come succede in questi casi, passano quasi in secondo piano gli errori commessi nell’organizzazione del piano sicurezza, è evidente che qualcosa andò storto e malgrado ci tifosi ci abbiano messo indubbiamente del loro, è altresì vero che commettere errori di gestione così evidenti non è comprensibile. E non mi riferisco solo alla giornata della Supercoppa di basket della scorsa stagione, ma anche in questo primo scorcio del campionato di calcio ci sono stati episodi dove il servizio d’ordine ha lasciato a desiderare, non nei numeri ma bensì nelle decisioni intraprese e sistematicamente discutibili. Errori di valutazione? Incapacità? Letture sbagliate del contesto? Difficile dare una risposta corretta, probabilmente viene a mancare quella capacità di rapportarsi col tifoso, l’incapacità di capire le dinamiche di gruppo, l’ottusità di ostinarsi a credere di aver capito quando invece non si è capito. Comprendere il fenomeno del tifo, della curva, dell’essere ultras dovrebbe essere alla base del bagaglio culturale di chi ogni fine settimana, e ormai anche infrasettimanale, gestisce l’ordine pubblico all’interno di un palazzetto o di uno stadio di calcio.

Settore ospite dunque vuoto, dei forlivesi neanche l’ombra perciò l’attenzione vira inevitabilmente sulla tifoseria di casa che si presenta all’appuntamento con numeri più che buoni, il palazzetto è il solito catino dove il colore amaranto domina senza troppi problemi. Gli “Sbandati” sono i direttori d’orchestra del tifo, l’organizzazione come da consuetudine è capillare, un paio di lanciacori spalle al campo, cori che coinvolgono una larga fetta di pubblico e colore donato dai consueti bandieroni. Stasera se esistesse un “fischiometro”, ipotetico strumento per misurare la portata dei fischi, si toccherebbero picchi veramente alti: i direttori di gara scontentano una parte e l’altra e se sulla panchina ospite c’è un’agitazione più unica che rara, il pubblico locale se la prende con gli arbitri prima in maniera pacata ma man mano che passano i minuti, il crescendo è palese tanto che deve intervenire la sicurezza per riportare la calma, interventi che non sono neanche così veloci e indolore. Un bel caos dentro il palazzetto ed è bene rimarcare che se dalla curva non provengono cori al miele verso i giudici di gara, dagli altri settori non ci si limita a qualche urlaccio ma c’è gente che ci va giù un po’ più pesante.

Il tifo segue diligentemente l’andamento della partita che resta vivace e giocata sul filo del rasoio, i padroni di casa sembrano prendere il largo ma vengono prontamente riacciuffati, poi nel finale dell’incontro c’è l’allungo decisivo con il pubblico che quando si alza in piedi e mette le ugole al servizio della squadra, è letteralmente il sesto uomo in campo. La Libertas conquista una bella vittoria, il pubblico festeggia con la squadra mentre da parte forlivese si mastica amaro per qualche decisione arbitrale che sicuramente non è piaciuta. Ma da che mondo e mondo, chi non accusa, almeno in parte, l’arbitro per un risultato negativo? Fa parte della cultura italiana che sarebbe pure da cambiare ma ciò non può essere fatto dall’oggi al domani.

Testo e foto di Valerio Poli