3w993c0_bildLa società mondiale, in questi ultimi anni, sta cambiando in maniera epocale. La ricchezza incredibile di un gruppo sempre più ristretto di persone, a fronte di un sempre più largo impoverimento su larga scala, dovuto anche alla forte erosione del ceto medio nei paesi occidentali, è il frutto di quel processo economico, politico, sociale e culturale che, molto volgarmente, è stato chiamato globalizzazione. Il potere delle multinazionali è in ascesa in maniera algoritmica. Esso potrebbe essere tranquillamente paragonato ad un aspirapolvere fortissimo che acquisisce potere di risucchio quanto più materiale entra nel proprio sacco di raccolta. E chi detiene troppo potere economico diventa pericoloso, perché con tanti soldi si può controllare tutto: gli affari, la politica, il flusso di informazioni, ma anche la vita di un comune cittadino che si fa in quattro per far campare sé e la propria famiglia. Anzi, la stretta connessione tra potere economico, politico e comunicativo (che si dipana da internet ai più semplici giornali, passando per televisione, libri e radio) ha affievolito sempre di più la voce di chi è al di fuori di questa restrintissima cerchia, omologando, quasi sempre con successo, il pensiero comune del cittadino medio, proprio colui che avrebbe a disposizione i mezzi e l’interesse per contrapporsi a questo processo di implosione e di impauperimento .

Nonostante la pressione culturale esercitata dalle lobby e da una comunicazione sempre più asservita ad esse, ovviamente ci sono le voci contrarie, spesso etichettate, in maniera molto speculativa e generalizzata, come movimento no-global. Nonostante una denominazione del genere imporrebbe analisi molto profonde ed ampie, ormai tutto ciò che viene definito “no-global” è associato a movimenti di sinistra estrema, giovani incappucciati che spaccano le vetrine e bande riottose che attaccano le forze dell’ordine. Un po’ lo stesso discorso, per tornare finalmente a noi, degli ultras: fino a poco più di un decennio fa l’ultras era associato, neanche in maniera necessariamente maligna, a dei ragazzi, raggruppati negli stadi, che volevano dare quel qualcosa in più al tifo per la propria squadra. Più in generale, gli ultras si sono da sempre marcati come movimento di aggregazione e di pensiero giovanile, ben distante dai valori e dai cliché di una società perbenista e benpensante. Borghese, per raffrontarla ad un termine ormai quasi estinto per via della situazione sociale attuale.

Negli ultimi anni, a causa del proprio potere evocativo, delle connotazioni culturali e del magnetismo di una massa ben distinta e colorata, il movimento ultras è andato fuori dai nostri confini, come un virus inarrestabile. Mentre in Italia i nostri gruppi si scioglievano a causa della continua e spietata repressione, nel resto del mondo si è assistito ad una moltiplicazione incredibile di formazioni ultras. Gli ultras in tutta Europa. Gli ultras in Marocco. Gli ultras negli Stati Uniti d’America. Gli ultras in Australia. Gli ultras in Giappone. Gli ultras ormai quasi ovunque, prima, magari, come semplice imitazione folcloristica dell’Italia e poi, in seguito, come movimento cosciente della propria forza e della propria libertà di pensiero. Al punto che, in paesi come l’Egitto o la Turchia, essi sono diventati attori primari nelle piazze destinate a cambiare un mondo non più accettato per quello che è. O almeno a provarci. Perché è vero, ci sono la curva, la partita, la squadra di calcio, la città da onorare, le bandiere da sventolare e le coreografie da preparare. E tanti giovani insieme, anche se si ritrovano per un motivo futile come sostenere undici ragazzi che corrono dietro ad un pallone, si scambiano idee. E lo scambio di idee fra giovani, la storia ce lo insegna da secoli, va fermato. Con qualunque mezzo.

La forza aggregativa di una massa, da che mondo è mondo, fa paura a chi detiene il potere ed i propri privilegi. Soprattutto quando si evade dallo sport e si entra nel sociale, protestando prima, magari, contro il carobiglietti e il divieto di accendere una torcia, ma poi finendo con un malcontento sempre più dilagante verso chi ha favorito, continua a favorire e favorirà il malessere di una società sempre più povera e sempre più estraniata dalla realtà. I ragazzi dietro lo striscione, facendo massa, hanno il loro palcoscenico. Vero, assolutamente non virtuale. Ed un palcoscenico, se non condivide le idee di chi comanda, è sempre temuto. E si sa come fermare le voci del dissenso. Ormai non c’è più neanche bisogno della violenza. Si mette in moto una macchina del fango incredibile. “Voi avete il vostro stadio, noi abbiamo le nostre televisioni, i nostri giornali, i nostri opinion leader, i nostri politici, noi abbiamo tutto. Potete predicare bene quando volete, ma se commettete un errore anche minimo ve lo moltiplicheremo per un milione. Ogni vostra mela marcia verrà mediaticamente eletta a vostro rappresentante. Vi dipingeremo brutti e cattivi, vi faremo diventare socialmente emarginati perché, mettetevelo in testa, comandiamo noi. Non vi vogliamo nei nostri stadi, nelle nostre manifestazioni griffate, e nemmeno nelle pubbliche piazze perché ci date fastidio. Vi faremo del male e, se possibile, vi addebiteremo anche cose su cui non c’entrate niente. Tanto la gente crederà a noi, perché le immagini da far vedere le scegliamo noi. E questo è quanto”. Questo, in sintesi, è ciò che il lobbista pensa nei confronti degli ultras, ma anche di ogni oppositore in generale. E, quando si hanno i mezzi per farlo, dal pensiero all’azione ci passa un attimo.

Siamo di fronte a cambiamenti sociali ormai inevitabili e, nello stesso tempo, è diventata inevitabile la reazione delle masse, così come la controreazione di chi detiene troppo potere e troppi privilegi che non si vogliono cedere. Gli ultras si sono scoperti prim’attori in un palcoscenico pericolante ma, nello stesso tempo, per chi detiene la freschezza della gioventù, affascinante e pieno di adrenalina. E, dopo Napoli-Fiorentina di Coppa Italia, forse per la prima volta (anche se ci sono stati più volte i prodomi, come quando fu ucciso Gabriele Sandri, con reazioni nelle curve di tutto il mondo) gli ultras si sono scoperti come una comunità divisa ma, nello stesso tempo, unita e, soprattutto, senza frontiere. Le manifestazioni globali per il processo Raciti hanno portato, probabilmente in maniera irreversibile, ad un processo di revisione del caso ormai ineludibile. La teoria del capro espiatorio colpevole a priori, nonostante le reazioni sdegnate di stampa, politici e lacchè di vario tipo, ora dovrà fare, inevitabilmente, un confronto più attento con le perizie dei RIS e con le tante lacune probatorie del processo. La reazione delle curve su scala mondiale ha fatto vacillare molte certezze del cittadino medio e, clamorosamente, persino di qualche giornalista un po’ più illuminato. Anche nel caso del celebre capo ultrà napoletano diffidato per la maglietta su Speziale e per aver tenuto a bada una curva in un momento di altissima tensione, c’è stata una revisione completa di quanto proposto dai media in un primo momento, e persino un celebre leader politico, è passato in fretta ed in furia da una condanna al ragazzo ad una sua riabilitazione (proprio in un comizio tenuto nel suo quartiere) completa, rivalutando persino, con qualche battuta, il ruolo sociale antagonista e veritiero del movimento ultras.

Mentre, tutto sommato, la strategia massiva dei media del post Napoli-Fiorentina sta perdendo completamente pezzi e credibilità, il movimento ultras di casa nostra continua in un continuo bondage soffocante, masturbandosi e, allo stesso tempo, uccidendosi coi propri gesti. La reazione unitaria contro l’uso di armi in un contesto sportivo è mancata, nonostante il caso D.S. presenti più ombre che luci e la sua connessione col mondo degli ultras appare sempre più labile. Sta mancando una rivisitazione collettiva dei nostri errori degli ultimi anni e delle nostre tante contraddizioni. Si continua a tenere posizioni estreme da un capo e accettare i diktat della repressione dall’altra. Si continua in maniera nauseante a creare una dicotomia manicheistica tra tifoserie buone e cattive, invece di debellare, una volta per tutte, il marcio nelle curve. Quel marcio che ha nomi e cognomi e che andrebbe cacciato a pedate. O, qualora non fosse possibile, almeno emarginato o isolato. Vengono beatificate persone che sono tutt’altro che esempi o che, al limite, andrebbero lasciate in pace. Si continua ad andare allo stadio senza valori di riferimento, quando persino gli hooligans russi li hanno. La massa di ragazzi che vanno entusiasti e in buona fede allo stadio, con tante idee e buoni propositi, si lascia sopraffare da chi invece va solo per tornaconto personale. O per la volontà autolesionistica di voler distruggere tutto, senza un perché. Forse è il momento di reagire anche noi, perché i veri nemici, là fuori, stanno ridendo di noi. Delle nostre contraddizioni. Del nostro suicidio.

Stefano Severi.