Da quando esistono i divieti, le restrizioni e tutte queste amenità, mi trovo sempre in grande difficoltà nel commentare partite senza la tifoseria ospite o con settori chiusi. L’istinto iniziale sarebbe proprio quello di lasciar perdere. Soprattutto quando di fronte sai che, in tempi non sospetti, avresti avuto una tifoseria storica, calda e compatta come quella bergamasca. Oggi non ci saranno. Effetto tessera del tifoso, scorie radioattive di un calcio del 2016 che va sempre più sgretolandosi, di pari passo con la società (in)civile che lo circonda. Quella delle città militarizzate e della caccia alle streghe. Per intenderci.

E sulla scorta di tutto ciò si basa perfettamente l’ignoranza di un organo che ormai ha fatto scuola in tema di gestione all’amatriciana e tavole rotonde che hanno come unico obiettivo quello di interdire trasferte e vietare il vietabile, in base al discriminatorio concetto di città dalla quale si proviene. Ovviamente parliamo del magico, mitico, unico e inimitabile Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive. Quest’organo, che va ricordato (affinché non passi in cavalleria) non avrebbe assolutamente nessun potere decisionale ma soltanto la facoltà di dare “pareri” ai vari Questori e Prefetti, ha decretato la gara in questione “a rischio”, dopo le scaramucce tra atalantini e interisti della giornata precedente. Già, peccato che anche i sassi sappiano che gli ultras della Dea non hanno aderito alla tessera del tifoso, pertanto coloro i quali occuperanno il settore ospiti, difficilmente arriveranno alle duecento unità e saranno solo e soltanto famiglie e semplici tifosi.

Sta di fatto che il Matusa è circondato dalle classiche transenne che da quest’anno, ogni qual volta il match è contrassegnato dal bollino rosso imposto dalle tavole rotonde (speriamo che almeno si portino dietro anche Re Artù, ovviamente nei panni del caro e vecchio Arturo Di Napoli), fanno la loro spavalda apparizione.

Dopo l’ennesima sconfitta, rimediata sul campo del Toro, il popolo giallazzurro ha voluto dare l’ennesimo esempio di fedeltà in questa stagione finora a dir poco tribolata, richiamando tutti alla rotatoria di fronte all’ingresso dello stadio, dove generalmente transita il pullman della squadra. Al passaggio del torpedone, infatti, i calciatori sono accolti da cori, bandiere, torce e fumogeni. Nell’era in cui si è soliti contestare sempre e comunque, anche con la squadra ancora in corsa per i propri traguardi, è sicuramente un qualcosa di ammirabile. Perlomeno un tocco di normalità, oserei dire.

Quando la giornata sta conoscendo i suoi ultimi sprazzi di luce, decido di entrare all’interno dello stadio, che come sempre presenta un ottimo colpo d’occhio. Come ampiamente descritto in precedenza, nel settore ospiti solo qualche famiglia e alcuni bambini presumibilmente appartenenti a delle scuole calcio (indossano tutti la stessa divisa). Uniche note di colore sono lo sporadico sventolio di bandierine nerazzurre e dei cori che di tanto in tanto vengono lanciati.

Su fronte ciociaro la gara, ovviamente, ha un’importanza particolare. Un altro passo falso metterebbe a serio repentaglio qualsiasi discorso inerente la salvezza, rischiando di staccare il Frosinone dalle dirette concorrenti. Il pubblico lo capisce e sin dalle prime battute sostiene a gran voce l’undici di Stellone. La Nord risponde presente all’appello e  si cimenta in una prestazione continua e di ottimo livello. Oltre all’incessante sventolio di vessilli nella parte inferiore del settore, gli ultras ciociari offrono diverse manate e cori a rispondere, aumentando i decibel soprattutto nel secondo tempo, quando il match volge alle fasi conclusive e i padroni di casa, nonostante diversi tentativi, non riescono a pervenire al gol. Si conclude infatti 0-0, un punto che può accontentare gli orobici ma che resta certamente indigesto ai laziali.

Al triplice fischio ci sono comunque gli applausi dello stadio, con il pubblico che, come detto in apertura, quest’anno ha fatto un chiaro patto d’onore con la squadra: non contestare mai, al di là di qualsiasi risultato. Lascio il Matusa abbastanza trafelato, il mio pullman passerà tra poco e non ho altro tempo per trattenermi. Resta un solo rammarico: quello di non aver potuto assistere alla sfida del tifo, senza la controparte lombarda il duello ha perso molto. Ma siamo in Serie A, e forse quel calcio patinato e delle Superleghe di cui ci parlano da anni è molto più vicino di quanto pensiamo. La domanda è: ma ai piccoli club e alle piccole tifoserie conviene ancora aspirare a questi palcoscenici? Spesso è più bello avere la libertà di tifare, respirare il vero calcio delle serie minori e andare tranquillamente in trasferta piuttosto che giocare contro club titolati, in situazioni più consone a un ambiente da playstation che a una sana e genuina partita di pallone.

Simone Meloni.