Astraendoci anche solo per un attimo dai fatti di cronaca nera che hanno caratterizzato la partita di Anfield, credo sia giusto dare ai nostri lettori la possibilità di leggere anche un nostro classico resoconto della partita. Se non altro per quello che Liverpool-Roma è stata e sarà sempre per le due tifoserie.

 

La “battaglia” di Via del Corso

Sebbene il fischio d’inizio fosse fissato per le 19:45 locali di martedì 24 aprile 2018, questa partita è iniziata molto prima. Dalla vendita dei biglietti, che penso vada quanto meno menzionata, giusto per far capire quanta fame di calcio ci sia a Roma e quanto determinati momenti diventino giocoforza tragicomici.

Due sono le nottate passate da centinaia di ragazzi e signori attempati fuori il Roma Store di Via del Corso. Occhi stanchi, cambi turno al lavoro, gente che si è addormentata sui sampietrini, nel cuore della Capitale. La palpitazione e l’ansia per rimediare tutti i biglietti delle trasferte precedenti, utili ad acquistare il ticket in prelazione.

C’era chi si faceva i conti su quanti biglietti sarebbero dovuti rimanere in vendita libera e chi gestiva gli appelli in base ai bigliettini posseduti dai presenti. C’era pure chi – armato di saliva e ditino – girava l’angoletto infilandosi nei vicoletti per cercare di cancellare il nome apposto a penna sui biglietti di Barcellona-Roma: “Se er nome nun corrisponde all’abbonamento rompono li cojoni!”.

Attimi di tensione e nervosismo al momento della vendita, gente che ha pianto per non esser riuscita a prendere un tagliando e tanti dubbi su come non si sia riusciti ad arrivare alla vendita libera. Modalità di vendita contestatissime dai tifosi, anche in virtù della confusione generata da quella per la gara di ritorno, all’Olimpico.

La cosa certa è che molti tagliandi sono finiti in mano a bagarini o pseudo tali. Risultato? È ancora possibile riscontrare online la vendita degli stessi a cifre esorbitanti. Si va dai 400 ai 1000 Euro.

Credo che per quanto riguardi i biglietti per la partita dell’Olimpico si debba fare una seria riflessione sulla vendita attraverso i canali telematici: oggigiorno il bagarino non è più lo scapestrato di turno che si presenta fuori dallo stadio con la mazzetta di tagliandi, bensì un personaggio che sa muoversi bene nel mare magnum della rete, arrivando anche ad hackerare sistemi di vendita. Per questo genere di eventi, non sarebbe meglio bandire totalmente la vendita telematica e consentire solo quella attraverso pochi punti vendita fisici? Si creerebbero code, è vero, ma si assicurerebbe una maggiore limpidezza.

A tal merito abbiamo raccolto la testimonianza di un tifoso della Roma residente a Milano, presente a Liverpool malgrado non sia riuscito ad acquistare il biglietto del match. Il suo appello a una migliore organizzazione delle vendite è alquanto eloquente:

 

Road to Liverpool

Il mio viaggio inizia domenica sera alle 23:30, con il più classico dei Flixbus per Verona. Da là treno per Venezia la mattina successiva, aereo per Leeds e ancora pullman per Liverpool. Quasi ventiquattrore in giro, accompagnato solo da uno zaino, qualche panino e 3/4 birre mandate giù tra l’Italia e l’Inghilterra.

La prima nota di colore è il passaggio dal Veneto allo Yorkshire. Che più o meno equivale allo spostamento da una località caraibica a una polare. Il mio è chiaramente un paradosso, ma la forte escursione termica risulta comunque fastidiosa.

Liverpool attorno a mezzanotte sembra essere una città ancora viva. Incontro un amico e decidiamo di farci un giro per il centro dopo aver posato il bagaglio in ostello. Ci sono tanti ragazzi ma nessuna traccia di italiani. In molti hanno alloggiato nella vicina Manchester o addirittura a Londra, mentre la maggior parte del contingente giallorosso arriverà in città soltanto l’indomani.

Non c’è praticamente traccia di poliziotti in giro per la città e sebbene la militarizzazione sia una prerogativa eccessivamente italiana, rimaniamo alquanto sorpresi considerando la gara a rischio e le possibili scie lasciate dai fumi dell’alcol. Faccio presente che ammiro il modello inglese di gestione dell’ordine pubblico sotto molti punti di vista. Non facendo ovviamente riferimento a quel “modello inglese” acritico spesso invocato dai media italiani come panacea di tutti i mali del calcio.

Mettiamo subito le cose in chiaro: i sudditi di Sua Maestà non hanno certo eliminato scontri e tensioni a margine delle partite, ed è sufficiente fare una rapida ricerca online per dimostrarlo. Del resto la perfezione non può essere di questo mondo e spesso, in terra d’Albione, si preferisce non dare eco a incidenti o turbolenze, proprio per non intaccare questa nomea di oasi felice che ormai tutto il sistema calcistico britannico si è costruito agli occhi del mondo.

Comunque è vero che le forze dell’ordine locali preferiscono il dialogo e il buon senso con i tifosi, pur restando rigide e inflessibili se una regola viene trasgredita. In Inghilterra a nessuno è mai venuto in mente di vietare una trasferta o costringere i tifosi a presentare i propri documenti per acquisire un biglietto o un abbonamento.

Non so se questo raggiungimento del karma (dal loro punto di vista) può aver influito nella leggerezza con cui è stato organizzato e gestito il servizio d’ordine di questa partita. Di certo le tante testimonianze che si sono avvicendate in questi giorni e la brutta vicenda capitata a Sean Cox gettano più di un’ombra sulla perfezione del lavoro effettuato dai bobbies.

Lo abbiamo raccontato (qui e qui) e in questo pezzi mi limiterò solo a qualche accenno, volendo parlare di altro.

È altrettanto vero che Liverpool rappresenta uno spartiacque per il modo di fare ordine pubblico in Gran Bretagna. Una nazione falcidiata, almeno fino alla fine degli anni ottanta, da veri e propri disastri nei propri stadi. Culminati con la tragedia di Hillsborough, il 15 aprile 1989, quando a causa di una folle gestione dell’afflusso dei tifosi alla semifinale di FA Cup morirono 96 supporter del Liverpool. Ci sono voluti più di vent’anni per ammettere che i veri responsabili di quella tragedia furono le forze dell’ordine, anziché i tifosi dei Reds, vittime di un’infame campagna denigratoria da parte di molti tabloid nazionali, su tutti The Sun.

Paradossalmente l’Inghilterra è divenuto ormai un Paese che tiene molto più in considerazione i tifosi rispetto all’Italia. Due esempi su tutti? La grande discussione in atto ormai da anni sulle reintroduzione delle standing area (già avvenuta in alcuni stadi) e il progressivo abbassamento dei biglietti per i tifosi ospiti.

Già, proprio quei biglietti che a Liverpool hanno generato tanto malumore tra i tifosi che andranno all’Olimpico e saranno costretti a pagare ben 85 Euro, a fronte delle 48 Sterline (56 Euro) pagate dai romanisti ad Anfield. Fate voi il raffronto tra gli stadi, i settori ospiti e il costo medio della vita nei due Paesi e traete le vostre conclusioni.

 

Matchday

La mattina di martedì il cielo annuncia pioggia, come nella più classica delle tradizioni inglesi. I goccioloni bagnano Liverpool e il suo mare. La gente sembra ampiamente fregarsene e già dalle 9 riempie pub bevendo birre e mandando già full english breakfast. Fanno altrettanto gli italiani che alla spicciolata cominciano ad arrivare. Nel frattempo le strade sono un tripudio di bandiere biancorosse e tifosi che indossano maglie e sciarpe della squadra allenata da Klopp.

Ecco, in questo già si nota – ad esempio – una certa differenza con Londra, ma anche con la vicina Manchester. Gli scousers hanno la fama di essere tifoseria calda e viscerale. E sono odiati in tutta l’Inghilterra, che vede in loro un modo zingaresco di professare la propria fede. Sarà anche per questo che ho sempre avuto la curiosità di vederli all’opera. Pur sapendo che ormai di quella tifoseria che saliva sulle navi senza pagare e rubava le autoradio a rotta di collo è rimasto ben poco.

La zona del porto – un tempo uno dei posti più malfamati di tutta l’Inghilterra – risulta carina e accogliente, totalmente ristrutturata e ricca di musei sulla città e sulle sue tradizioni storiche e marinare. Da là, camminando lungo il Mersey, è possibile avvicinarsi ad Anfield. E cominciare a respirare l’aria della partita.

I Reds tornano in una semifinale di Champions League dopo diversi anni e – come detto – la città è in fibrillazione. Malgrado la pioggia che continua a cadere imperterrita in tanti sono appostati laddove passerà il pullman della squadra per salutarlo con torce e fumogeni. Un’usanza molto poco inglese, che viene però ripetuta ad ogni occasione simile. Con il Manchester City, ai quarti di finale, questo aveva creato non pochi problemi a causa di qualche oggetto lanciato verso il pullman dei Citizens. Tanto è vero che nella conferenza del giorno precedente Klopp ha invitato i propri tifosi a non assaltare il pullman della Roma.

Sta di fatto che a livello emotivo e passionale è davvero bello vedere questo assembramento di gente con sciarpe, torce, fumogeni e bandiere caricare i propri idoli. Sono in tanti a salire addirittura sui blindati della polizia, che si limita ad osservare. A onor del vero il giorno successivo la Merseyside Police dichiarerà di aver aperto un’indagine per individuare i possessori degli artifizi pirotecnici. 

Prima di entrare tappe d’obbligo sono il cancellone con la scritta “You’ll never walk alone” e la targa in memoria della Strage di Hillsboroug. Luoghi culto, per diversi motivi, della Liverpool calcistica.

Le entrate di Anfield sono alla “vecchia maniera”, quelle tipiche degli stadi inglesi di una volta. Diciamo che l’afflusso nel settore ospiti non è dei più ordinati, con bobbies e steward che non sembrano dare grande peso né al controllo dei biglietti né tanto meno a quello “corporale”. Cosa che posso dire non sia esattamente normale in Inghilterra. Mi basta pensare alle esperienze di Old Trafford, City of Manchester e Stamford Bridge, con steward pronti a tastare ogni parte del corpo. La mia non è certo una lamentala, ma una constatazione su come forse il dispositivo di sicurezza abbia preso un po’ a cuor leggero tutta la giornata. Per essere netti: non si giocava contro il Sutton United o lo Yeovil Town. Forse non era molto chiaro.

Che dire dello stadio? Penso il più bello a livello strutturale/ambientale visto nel Regno Unito. Senza troppi fronzoli, ma moderno. Non altezzoso (in stile Emirates Stadium) ma confortevole. Ma soprattutto caldo e vivo. Sarà stata la dirompente partita dei Reds e l’entusiasmo per l’importanza della posta in palio, ma praticamente per 90′ la Kop e buona parte delle tribuna si sono fatte sentire in maniera impeccabile, con diversi fumogeni accesi ai gol. Quasi tutti in piedi peraltro (altra particolarità per essere uno stadio inglese).

Avendo visto nel giro di pochi mesi due tempi celebrati del calcio internazionale come il Westfalenstadion di Dortmund e Anfield, posso tranquillamente dire che almeno nel secondo caso la fama è meritata. Sia chiaro, non parliamo del Marakana di Belgrado e neanche di uno stadio italiano mediamente caldo, ma per quello che gira nella Perfida Albione siamo davvero oltre ogni più rosea aspettativa. Non so se in campionato si raggiungano questi livelli, tuttavia l’orgoglio degli scousers è veramente ammirevole in questa serata di aprile.

E il settore ospiti? Forse un po’ per quanto successo fuori, forse per il pesante passivo e forse anche per la dubbia composizione (tanti sono sembrati davvero alla prima trasferta della vita) la performance non è esattamente delle migliori. Dopo un primo tempo discreto, nella ripresa i giallorossi calano vistosamente, riprendendosi nel finale con i due gol che riaccendono una flebile fiammella di speranza per il ritorno e protraendo i propri cori anche oltre il fischio finale, in un moto d’orgoglio di chi comunque ha macinato migliaia di chilometri dopo l’immane fatica per acquistare il biglietto.

Beninteso, in una partita del genere occorre anche tenere conto della tensione legata alla partita. Il popolo romanista aspettava una sfida del genere da oltre trent’anni e nelle settimane precedenti l’ha caricata all’inverosimile. Forse in maniera autolesionista, come spesso gli avviene. Cinque gol in sessanta minuti hanno proiettato negli occhi dei presenti un film già visto decine di volte, con una probabile umiliazione difficile da sopportare per chi nel calcio ripone tutte le proprie speranze, gioie e delusioni.

Sul post partita abbiamo già detto negli articoli relativi agli scontri. Il deflusso è stata forse la parte più critica e peggio gestita di tutta la giornata. Personalmente, dovendo tornare verso Londra in macchina, riesco a districarmi abbastanza agevolmente.

Mi aspetta ancora un viaggio della speranza: cinque ore di macchina, due di aereo verso Milano e tre di treno per Roma. Ma tutto sommato resta nel cuore e nella mente un’altra esperienza da raccontare.

Ultimo pensiero va al tifoso dei Reds attualmente in coma farmacologico a cui auguro una pronta ripresa per tornare a occupare il suo abituale posto nella Kop!

Simone Meloni