Difficile trovare le motivazioni per varcare il fatidico cancello ed addentrarsi in un “Armando Picchi” praticamente deserto, per di più se hai vissuto, più o meno direttamente, gli anni in cui questo stadio sembrava proprio non bastare, in cui c’era una vera e propria corsa al biglietto con file ai botteghini che si dipanavano per buona parte del manto stradale. Gli anni della serie A? Macché, il Livorno era una squadra scalcinata che vivacchiava, con alterne fortune, in quella che un tempo era la serie C1, ma al netto della posizione in classifica e dei giocatori che indossavano la maglia, la città si identificava in una squadra e la domenica non c’era neanche da chiedersi dove andare: lo stadio, la curva ed il Livorno erano un’unica cosa. E per i più appassionati c’era la corsa al vicino palazzetto dello sport dove giocavano a quel gioco dove non si usano i piedi e dove la palla si tocca con le mani. Anche il basket aveva i suoi seguaci ed a quanto mi hanno sempre raccontato, Livorno era un’isola felice.

Cos’è successo in questo arco di tempo è dura a spiegare, non perché manchi tempo e voglia ma perché tutte le ipotesi sono valide e tra queste ce ne saranno sicuramente di più valide e di meno valide, il fatto incontrovertibile è che lo stadio, anche in questa partita, presenta dei vuoti immensi, sembra una cattedrale nel deserto dove la tristezza più assoluta è lo speaker di turno, che si sbatte nel prepartita per coinvolgere un pubblico che di seguire le sue indicazioni proprio non ne vuol sapere, così il botta e risposta nome – cognome del giocatore viene necessariamente abolito e rimandato ad altre date.

C’è contestazione? Questo sì, altro aspetto incontrovertibile ed infatti uno striscione in Curva Nord chiarisce, almeno in parte, il comportamento della tifoseria. Ma anche in questo pomeriggio quando l’ala più radicale dei tifo labronico alza qualche coro contro il presidente Spinelli, dagli altri settori dello stadio si alzano più fischi di disapprovazione che applausi di vicinanza: il consenso della curva è praticamente ridotto al lumicino, segno di un reale e tangibile scollamento tra le varie anime della tifoseria.

Forse servirebbe fare un po’ di chiarezza, confrontarsi e vedere se c’è la possibilità di seguire una linea comune, perché sembra che domenica dopo domenica, o comunque partita dopo partita, all’interno dello stadio ci siano due anime contrapposte, quelli contro Spinelli e quelli che ancora lo appoggiano. Ormai il contenzioso diventa invalicabile, aspetto che mi lascia un po’ di amaro in bocca perché il tifoso, così come l’ultras, dovrebbe ad un certo punto andare al di là di presidenti, dirigenti o addirittura giocatori: dovrebbe innanzitutto fare il proprio dovere, presentarsi alo stadio, seguire la squadra e sostenerla per quanto dovuto e semmai, in ultima istanza, contestare se c’è da contestare.

Beninteso, la gestione Spinelli è ormai arrivata al capolinea, difficile riportare l’entusiasmo in una tifoseria che stagione dopo stagione ha visto allontanarsi quei personaggi carismatici sui quali poggiavano le speranze di vittoria, sembra proprio che tutto l’ambiente sia caduto in una profonda crisi depressiva e per certi versi autolesionista che viene portata avanti per il solo scopo di confermare che la ragione sta da una parte e non dall’altra. Con un Livorno ultimo in classifica e con un mercato al momento fermo ai blocchi di partenza, con una curva apertamente sul piede di guerra e con un restante stadio che sembra il deserto dei Tartari, la salvezza diventa una meta difficilmente raggiungibile. A veder la cosa da un altro punto di vista, quello a noi più caro, sembra proprio che il raggiungimento o meno della salvezza, sia il danno minore da valutare.

Valerio Poli