Qualche giorno fa lessi un articolo su come il calcio possa far a meno degli ultras. E così su due piedi si può anche avvallare questa tesi, del resto nel passato il calcio ha fatto a meno del quarto uomo, della Var, della visibilità delle televisioni e di tanti altri aspetti. Oggi il calcio fa a meno di Pelè e Maradona, della Coppa delle Coppe e di quella dei Campioni con solamente le squadre vincitrici dei propri campionati nazionali eppure il calcio, inteso come sport e come industria, continua ad andare avanti.

Poi c’è l’altra faccia della medaglia, ovviamente in una nazione come l’Italia piena di qualunquisti e tuttologi, a parlare di calcio e soprattutto di tifo, ultras e stadio ci pensa sia la massaia mentre prepara i tortellini fatti in casa, sia l’allenatore plurivittorioso, sia il giornalista più incline a disquisire di tattiche, diagonali e sovrapposizioni. Tutti vengono fatti parlare fuorché gli ultras. Il campionato più bello del mondo, oggettivamente, è diventato una ruota di scorta, superato per interesse, incassi e merchandising dalla Premier League e dalla Liga spagnola mentre venticinque anni, e mi tengo basso, di repressione hanno portato di fatto a desertificare i nostri spalti. Com’era la storiella di riportare le famiglie allo stadio? Alla prova dei numeri mi sa che tale obiettivo sia miseramente fallito.

Si dirà che conta il business, il calcio è un’industria perciò deve produrre utili, il tifoso non conta e ciò che si deve privilegiare sono gli abbonamenti alle pay tv: in un progetto a breve – medio termine ciò sarebbe probabilmente anche un’idea vincente, ma al giorno d’oggi ci troviamo con una serie di club pesantemente indebitati e con la sola Juventus che, ultime stagioni a parte, ha saputo cavalcare la novità con uno stadio di proprietà unito a buoni risultati in campo europeo. Il resto è un dramma, sportivo ed economico, ciò dimostra come la strada intrapresa non sia quella giusta o in alternativa i dirigenti delle squadre italiane siano degli incompetenti.

Oggi ci troviamo di fronte ad un virus che stravolge le nostre vite e se dal punto di vista economico e sociale stiamo attraversando un periodo mai vissuto in precedenza, anche dal punto di vista sportivo non mancano le novità che si stagliano all’orizzonte: campionati che devono necessariamente proseguire per non far saltare il sistema, formazioni che vengono diramate più sulle indicazioni mediche che non su quelle sportive e stadi chiusi al pubblico. La conseguenza è un sistema economico ancora più traballante che in passato, con il pubblico che si sta via via disinnamorando di questo sport, si sta disabituando ad intendere lo stadio come spazio aggregativo.

Oggi la parola d’ordine è “o tutti o nessuno”, i mille posti disponibili (o il 15% dell’intera capienza di un impianto) è norma giudicata insoddisfacente da parte degli ultras, ma a ben vedere anche lo sportivo medio si è ben guardato dal farsi strappare il ticket d’ingresso per assistere ad uno spettacolo fortemente sottotono. Di slogan, in passato, gli ultras ne hanno partoriti a decine, alcuni anche piuttosto pungenti, mentre in altre occasioni non sono passati dalle parole ai fatti. Questo però è un ultimo grido per continuare a vivere le gradinate a misura di persona, per il Covid magari si troverà una cura, per il nostro calcio e per l’ambiente stadio non basterà una semplice aspirina.

Probabilmente il calcio può fare a meno degli ultras ma così facendo anche gli sportivi potranno fare a meno del calcio. Almeno di quello che ci vogliono (vorrebbero?) proporre.

Valerio Poli